Il contenzioso in medicina: quali mezzi per difendersi in caso di contestazione?

Trovate qui di seguito il mio nuovo post per la sezione “Aspetti Legali in Dermatologia” del sito ISPLAD.

Buona lettura!

La nostra serie dedicata al contenzioso in medicina continua questa settimana concentrandosi su di un argomento noto ma frequentemente sottovalutato: l’adeguata tenuta e conservazione della documentazione clinica del paziente.

La corretta tenuta della documentazione clinica: uno strumento doppiamente prezioso

La corretta compilazione e conservazione di accurata documentazione clinica, radiografica e dei consensi alle cure del paziente è, da un lato, la base irrinunciabile per garantire l’eccellenza delle terapie e, dall’altro lato, lo strumento fondamentale di autotutela del sanitario in caso di contenzioso con il paziente.

L’obbligo di tenuta e conservazione della cartella clinica dei pazienti non è appannaggio dei soli ospedali

Se, in generale, non v’è dubbio in merito all’esistenza di un obbligo legale concernente la tenuta della cartella clinica da parte sia delle strutture pubbliche (art. 7, D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128) che delle strutture private (art. 35, D.P.C.M. 27 giugno 1986), altrettanto indubbio è il fatto che, laddove il paziente faccia richiesta di conoscere, in dettaglio, le prestazioni sanitarie ricevute e di avere copia di una certificazione al riguardo, qualsiasi professionista medico abbia l’obbligo di provvedere al relativo rilascio: gli articoli da 24 a 26 del Codice di Deontologia Medica sono chiari al riguardo.

L’eventuale violazione delle relative disposizioni espone il professionista medico alla possibile irrogazione di sanzioni disciplinari: una recente pronuncia della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (segnalata sul Web), ha confermato la decisione di una CAO territoriale di sospendere un medico dall’esercizio della professione per un mese per non avere consegnato al paziente, che ne aveva fatto richiesta, la documentazione attestante le cure resegli, e ciò perché la condotta del sanitario è stata giudicata in contrasto con l’art. 25 del Codice di Deontologia Medica.

Né dimentichiamo che l’art. 4, co. 2 della Legge Gelli-Bianco ha recentemente rivisitato la disciplina in tema di rilascio di copia della documentazione clinica al paziente che ne faccia richiesta, imponendo alle strutture termini brevissimi per adempiere.

Come si riflette l’imperfetta tenuta della documentazione clinica sulla posizione processuale del medico in caso di contestazioni

Un’accurata (o meno) tenuta della documentazione clinica del paziente, d’altra parte, si riflette anche sulla posizione del medico (o della struttura) in giudizio, in caso di possibili contestazioni da parte del paziente.

Da un lato, la violazione, da parte del medico, dell’obbligo di curare e di controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati comporta non solo una mancanza deontologica, ma anche un inesatto adempimento della propria prestazione professionale (così Cass. Civ., Sez. III, n. 20101 del 18 settembre 2009); in tema, si veda anche il mio precedente post “Cartella clinica lacunosa: le regole dell’onere della prova in giudizio”.

Dall’altro lato, l’incompletezza della documentazione clinica può ritorcersi contro il professionista sanitario  e consentire di presumere come provati in giudizio i fatti in essa non annotati ed il nesso fra gli stessi ed il danno alla salute riportato dal paziente.

“La difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato”.

Questo può accadere solo a determinate condizioni, e cioè:

  • quando il medico abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno lamentato dal paziente, e
  • proprio la mancata annotazione di tale condotta lesiva nella documentazione clinica da parte dello stesso professionista, abbia reso impossibile al paziente di offrire la prova del collegamento causale tra detto comportamento ed il danno riportato dal paziente (in tal senso, Cass. Civ., Sez. III, n. 14261, dep. 8 luglio 2020).

Da quanto precede risulta evidente che ogni ipotetica sciatteria (o, peggio, “riserva mentale”) nella compilazione della documentazione clinica, che si risolva nella mancata o imprecisa annotazione di questo o quell’accadimento o condotta da parte del professionista sanitario, va accuratamente scongiurata per evitare di sortire risultati potenzialmente disastrosi sotto il profilo della difesa in giudizio del professionista.

Meglio annotare tutto e bene e ciò perché, anche sotto un profilo meramente formale, un giudice sarà tendenzialmente più positivamente impressionato da una documentazione accuratamente tenuta, completa ed adeguatamente conservata, piuttosto che da una documentazione sciatta e lacunosa. Inoltre, un documento scritto generato contemporaneamente ai fatti contestati riveste un valore di attendibilità nettamente superiore rispetto a ricostruzioni posteriori, orali o scritte che siano.

Ognuno è artefice della propria fortuna

D’altra parte, una volta che il paziente abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico (e ciò può avvenire, come abbiamo visto, anche tramite presunzioni), e cioè di aver subito un aggravamento della sua situazione patologica o l’insorgenza di nuove malattie, e del collegamento causale tra il suddetto danno e la condotta del medico,

“è successivo onere del debitore (sanitario o struttura) provare o di avere esattamente adempiuto o che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè o di avere svolto l’attività professionale con la diligenza richiesta …, oppure che sia intervenuta una causa esterna, imprevedibile o inevitabile (che abbia reso impossibile il rispetto delle leges artis)”

(così, da ultimo, Cass. Civ., n. 26907 del 26 novembre 2020).

In altri termini, per andare esente da responsabilità, l’obbligato (medico o struttura che sia) dovrà fornire la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esiti negativi per il paziente sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile, cioè inevitabile, non imputabile o non riconducibile alla condotta sanitaria, che ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.

“Se, invece, resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della diligenza professionale (ovvero, come detto, resta indimostrata l’imprevedibilità o l’inevitabilità di tale causa di impossibilità), le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore”

e cioè sul sanitario o sulla struttura.

È evidente che una documentazione clinica ben tenuta può essere di grandissimo aiuto per aiutare a soddisfare questa prova liberatoria, ma non basta: è altresì indispensabile per qualsiasi professionista medico approntare un sistema che garantisca la corretta conservazione della documentazione nel tempo e ne consenta il recupero in modo semplice e completo: sul punto, vedi anche gli approfondimenti del mio precedente post Su chi grava l’obbligo di conservazione della cartella clinica?

Naturalmente, in caso di contestazione di responsabilità professionale, per andare esenti da responsabilità non basterà provare di avere accuratamente compilato la scheda clinica del paziente o di aver correttamente raccolto il suo consenso scritto al trattamento sanitario, ma questi elementi consentiranno di presentare la posizione del professionista in trasparenza, senza nulla nascondere, e di dimostrare un corretto approccio alla pratica clinica.

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LEGGI I DOCUMENTI

Codice di Deontologia Medica, artt. 24 – 26

Art. 4, Lg. n. 24, 8 marzo 2017

Cass. Civ. Sez. VI, n. 26907 del 26 novembre 2020