Responsabilità della struttura per i danni al paziente: si, ma solo se riferibili alla sua attività

La struttura sanitaria, che si sia limitata a concedere in locazione alcuni suoi immobili ad una società di medici, non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura ed un medico, o una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi

Oggi vi segnalo un’ordinanza della Cassazione Civile (n. 8163 del 27 marzo 2025) che riporta interessanti chiarimenti sul tema della responsabilità della struttura per i danni riportati dal paziente.

Il caso

Un signore viene sottoposto ad un intervento laser agli occhi presso una Casa di Cura privata, dal quale derivano importanti danni. Il paziente si rivolge dunque al Tribunale chiedendo di condannare il medico al risarcimento del danno riportato. Il medico chiede al Tribunale di chiamare in causa sia la struttura sia la compagnia d’assicurazione.

Il Tribunale rigetta la domanda del paziente, ritenendo dubbio il nesso di causa tra l’intervento ed il danno riportato dal paziente; la Corte d’Appello riforma in parte la decisione, pur ridimensionando grandemente il risarcimento richiesto dal paziente.

La Casa di Cura ricorre tuttavia in Cassazione contestando la propria estraneità rispetto alla condotta del medico.

Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.

La difesa della Casa di Cura

Nel caso in commento, la Casa di Cura si è difesa in giudizio allegando che, tra casa di cura e medico, non intercorreva alcun tipo di rapporto idoneo a rendere la prima responsabile delle condotte del secondo: tra le parti (in realtà, tra la struttura ed una società di medici, di cui era socio il professionista responsabile del danno) era infatti intercorso solo un contratto di locazione, avente ad oggetto un locale con relativa strumentazione all’interno della struttura.

In generale, la struttura può essere chiamata a rispondere della condotta del medico solo se costui sia un dipendente, un ausiliario o un collaboratore della struttura stessa, ossia contribuisca alla prestazione professionale complessivamente considerata; non essendo il rapporto di locazione un rapporto di collaborazione professionale, lo stesso non è considerabile un titolo idoneo per gravare la struttura dei danni conseguenti all’attività del professionista (così come il mero proprietario e locatore di un negozio non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni causati da un commerciante-conduttore dei locali ad un proprio cliente).

La decisione della Corte d’Appello

Secondo la sentenza d’appello, la difesa della Casa di Cura non è fondata. Infatti, tra casa di cura e medico intercorre un contratto con effetti protettivi verso il paziente, dal quale, “a fronte del pagamento del corrispettivo, sorgono a carico della clinica obblighi di tipo alberghiero, di messa a disposizione del personale, di fornitura dalle strutture necessarie, nonché di quanto necessario anche a far fronte all’insorgere di eventuali complicazioni“.

La Casa di Cura è responsabile dei danni conseguenti all’opera del chirurgo ai sensi dell’art. 1228 c.c. poiché, sebbene tra la stessa e il medico non esista rapporto di lavoro subordinato, quando il chirurgo opera all’interno della clinica, assume la veste di ausiliario necessario della struttura stessa.

… e la decisione della Cassazione

Secondo la Suprema Corte, invece, la difesa della Casa di Cura coglie nel segno.

La responsabilità della struttura per il fatto del medico, sia prima che dopo la legge Gelli-Bianco del 2017, è una responsabilità per fatto proprio.

Se la struttura risponde per fatto proprio, l’obbligazione è propria, sebbene eseguita da altri (ausiliario, dipendente), e ciò significa che la struttura ha assunto direttamente l’obbligazione di effettuare la prestazione sanitaria.

Questo significa che la struttura risponde degli eventuali danni se

  • abbia assunto direttamente l’obbligazione di effettuare la prestazione sanitaria nei confronti del paziente, e dunque la struttura sia coinvolta nella stessa
  • la struttura si sia avvalsa dell’opera del medico (in forma autonoma o dipendente, art. 7 l. n. 24 del 2017) nell’adempimento della propria obbligazione, o in un qualche modo condivida con il medico l’interesse alla prestazione sanitaria.

Perché la struttura risponda del fatto del medico, vi deve dunque essere un titolo giustificativo ed un rapporto di tipo professionale tra medico e struttura, in forza del quale il medico collabori con la struttura stessa alla prestazione.

Anche a voler considerare la responsabilità della struttura come responsabilità non per fatto proprio ma per fatto altrui, deve esistere un rapporto con il medico che giustifichi il fatto che la struttura risponde per la condotta di costui, e dunque un coinvolgimento di interessi inerenti alla prestazione sanitaria.

Un mero rapporto di locazione non è sufficiente per fondare la responsabilità della struttura

In entrambi i casi, secondo la Cassazione, non basta un rapporto di locazione tra la struttura sanitaria ed una società di cui è socio il medico che ha operato: la locazione, infatti, non comporta l’assunzione di una obbligazione alla prestazione sanitaria in capo al locatore, né può dirsi che costui tragga utilità dall’attività svolta dal conduttore nei locali dati in godimento.

La struttura risponde del fatto del medico sul presupposto che tra i due esista un rapporto volto alla esecuzione della prestazione sanitaria, in cui la Casa di Cura abbia un interesse anche proprio alla prestazione sanitaria, interesse che non può dirsi però implicato dalla mera locazione di alcuni locali.

Secondo la Cassazione, sono ininfluenti al fine di affermare la responsabilità della struttura anche

  • la circostanza che, nel caso in commento, una parte del canone di locazione fosse costituito da una percentuale sugli utili della società professionale
  • il fatto che la strumentazione utilizzata dal medico fosse fornita in godimento dalla Casa di Cura come parte della locazione.

Infatti, il fatto che una parte minima del corrispettivo (5%) sia costituita da una percentuale sugli utili non è idoneo a trasformare il contratto di locazione in un contratto di collaborazione professionale; d’altra parte, la locazione ben può estendersi alla strumentazione tecnica, e ciò non rende la casa di cura responsabile dell’operato di chi quegli strumenti utilizza (salvo ovviamente il difetto di funzionamento degli stessi).

D’altra parte, qualora la struttura sanitaria affidi la logistica delle sue attività ad altro soggetto, non viene esclusa la responsabilità dell’affidante per i danni causati dal medico nella seconda struttura, purché il medico che ha operato presso la stessa abbia rapporti con l’affidante (così Cass. Civ. 34516/2023).

Responsabilità, in ultima battuta, della società professionale del medico

Infine, conclude la Suprema Corte, nella misura in cui la Casa di Cura – come in questo caso – ha concesso in locazione i suoi locali ad una società di medici, sorge una diversa struttura di riferimento tenuta a rispondere del fatto dei propri medici a favore del paziente.

Per concludere

Alla luce di quanto precede, la Suprema Corte ha cassato la sentenza e rinviato il caso alla nuova decisione della Corte d’Appello d’origine, in diversa composizione, che dovrà decidere il caso alla luce del seguente principio di diritto:

“la struttura sanitaria che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili ad una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi ad un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura ed un medico, ed a maggiore ragione tra una struttura ed una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi”.

Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!

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LEGGI L’ORDINANZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 8163 del 27 marzo 2025