In sede di triage, al personale infermieristico compete non solo la rilevazione dei parametri vitali e la completa raccolta dei dati rilevanti, ma compete altresì un giudizio di carattere valutativo dei sintomi riscontrati e riferiti.
Per quanto l’infermiere non goda di autonomia valutativa e diagnostica, i suoi compiti non si limitano alla meccanica compilazione della scheda di triage, dovendo lo stesso valutare lo stato obiettivamente rilevabile del paziente al fine di giungere ad una valutazione di gravità del caso ed alla corretta compilazione della scheda stessa.
Oggi vi segnalo una recente sentenza della Cassazione Penale (n. 15076 del 16 aprile 2025) in tema di responsabilità dell’infermiere per le attività di triage.
Il caso
Una signora viene accompagnata in Pronto Soccorso dai familiari in preda ad un violento attacco d’asma.
L’infermiera addetta al triage assegna alla paziente un codice di accesso di colore verde (indice di differibilità) e la conduce in un’altra stanza, in attesa dell’intervento del medico di turno, in quel momento impegnato con un altro paziente. La paziente, nonostante manifesti difficoltà respiratorie, viene lasciata senza alcuna forma di monitoraggio delle sue condizioni.
Il quadro clinico si aggrava rapidamente e il successivo intervento medico, pur corretto, non riesce ad impedire il decesso della paziente per arresto cardio-respiratorio, dovuto ad “insufficienza respiratoria acuta da attacco asmatico di tipo 2“.
All’infermiera viene contestato di aver omesso:
– di valutare correttamente la gravità del quadro clinico della paziente, soggetto asmatico, nel momento di ingresso al Pronto Soccorso, attribuendole così un codice di accesso inadeguato, e
– di monitorare i parametri vitali della stessa,
così determinando un ritardo nell’intervento medico e il decesso della paziente.
Il Tribunale condanna l’operatrice sanitaria per omicidio colposo; la Corte d’Appello riforma solo parzialmente la sentenza, dichiarando di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato ma confermando la condanna della stessa al risarcimento del danno subito dalle parti civili, in solido con la ASL, responsabile civile.
Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.
Le omissioni in tema di triage contestate all’infermiera
Secondo i giudici del merito, nel caso in commento l’infermiera
- ha violato le linee-guida per l’effettuazione del triage, compilando relativa la scheda in modo scorretto e incompleto, indicandovi soltanto alcuni dei parametri previsti ed omettendone altri che sarebbero stati essenziali (quali epoca di insorgenza dell’attacco asmatico, eventuali allergie e patologie pregresse, dati relativi a cibi o farmaci assunti) a rendere chiara l’eziologia del disturbo
- ha sottovalutato il grave stato di insufficienza respiratoria della paziente, basandosi unicamente sulla rilevazione di un positivo valore di ossigenazione del sangue ed omettendo di annotare nella scheda di triage una descrizione delle condizioni fisiche della donna (quali l’incapacità di camminare, il relativo ingresso in Pronto Soccorso su sedia a rotelle e le gravi difficoltà dell’eloquio), tutti elementi di strategica rilevanza per la valutazione della estrema urgenza del caso
- ha omesso di monitorare le condizioni della paziente, così non rilevando tempestivamente il loro peggioramento.
In sintesi, viene contestato all’infermiera di aver tenuto una condotta negligente ed imperita, di fatto impedendo un tempestivo intervento medico ed un anticipo nella somministrazione della terapia, circostanze che avrebbero evitato il decesso della paziente.
La difesa dell’infermiera…
La difesa dell’infermiera si basa fondamentalmente sulla contestazione dell’erronea individuazione, da parte dei giudici di merito, delle regole e criteri di diligenza professionale violati e, in buona sostanza, dell’erronea applicazione della disciplina in materia di triage per affermare la responsabilità dell’operatrice.
In particolare, viene allegato:
- che i dati anamnestici omessi (quali la difficoltà di movimento ed il tempo trascorso dall’ inizio dell’attacco asmatico), che avrebbero reso la scheda di triage incompleta, non sarebbero inclusi tra quelli rilevanti in base alla disciplina applicabile
- che l’infermiera si era correttamente limitata a descrivere il quadro dei sintomi da essa rilevati e riferitile, risultando fuori dalle sue competenze la possibilità di formulare una diagnosi circa la patologia della paziente.
… e la decisione della Suprema Corte
Secondo la Cassazione, le contestazioni della difesa non sono fondate.
Nel caso in commento, i giudici di merito hanno infatti correttamente verificato il rispetto delle linee guida applicabili, osservando che l’infermiera, pur avendo registrato i parametri vitali, aveva omesso di annotare in modo completo le condizioni fisiche della paziente e di valutare complessivamente l’urgenza del caso in base a tutta la sintomatologia riscontrata, così contravvenendo alle prescrizioni delle suddette linee guida. In particolare:
“L’attività del triage si articola in: accoglienza: raccolta di dati, di eventuale documentazione medica, di informazioni da parte di familiari e/o soccorritori, rilevamento parametri vitali e registrazione…
Il triage deve essere svolto da un infermiere esperto e specificatamente formato, sempre presente nella zona di accoglimento del pronto soccorso ed in grado di considerare i segni e sintomi del paziente per identificare condizioni potenzialmente pericolose per la vita e determinare un codice di gravità per ciascun paziente al fine di stabilire le priorità di accesso alla visita medica”.
Secondo la Cassazione,
“Al personale infermieristico compete non solo una completa raccolta di dati, non limitata alla rilevazione dei parametri vitali, ma compete altresì un giudizio di carattere valutativo dei sintomi riscontrati e riferiti”.
È ben vero che l’infermiere non gode di autonomia valutativa e diagnostica, dovendosi mantenere ben salda la distinzione tra le competenze del personale infermieristico e quelle del personale medico; tuttavia, il compito dell’infermiere non si limita alla meccanica compilazione delle schede, dovendo lo stesso valutare lo stato obiettivamente rilevabile del paziente al fine di giungere ad una valutazione di gravità del caso ed alla corretta compilazione della scheda di triage.
Nel caso in commento:
- la corretta annotazione dello stato della paziente al momento dell’arrivo e l’acquisizione di informazioni più precise (tra le quali il fatto che la paziente soffriva, fin da bambina, di un’asma bronchiale di tipo allergico) avrebbero condotto più tempestivamente ad una corretta diagnosi del caso (insufficienza respiratoria acuta conseguente ad un attacco asmatico di tipo 2, causato con ogni probabilità dalla ingestione, durante la cena, di sughi pronti contenenti solfiti, sostanze fortemente allergizzanti)
- il corretto adempimento del dovere di monitoraggio dei parametri vitali avrebbe permesso di rilevare il rapido aggravarsi delle condizioni della paziente e di avvisare il personale medico della necessità di intervenire immediatamente.
Con specifico riferimento al dovere di monitoraggio, la Corte ricorda che
“l’infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, gravando sullo stesso un obbligo di assistenza effettiva e continuativa del soggetto ricoverato, atta a fornire tempestivamente al medico di guardia un quadro preciso delle condizioni cliniche ed orientarlo verso le più adeguate scelte terapeutiche…
Il dovere di monitorare la stabilità delle condizioni dei pazienti presenti rientra, pertanto, tra gli obblighi specifici del personale infermieristico di pronto soccorso, il quale, nel caso in cui si verifichino particolari situazioni di emergenza, idonee a pregiudicare la salvaguardia del bene tutelato, ha l’obbligo di allertare i sanitari in servizio, anche in altri reparti dell’ospedale, al fine di consentirne l’intervento in supporto”.
Per concludere
Alla luce di quanto precede, nonché della conferma della sussistenza del nesso di causalità tra condotta omissiva dell’infermiera ed evento, la Corte ha rigettato i ricorsi dell’infermiera e dell’AUSL, confermando la sentenza impugnata e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali anche delle parti civili.
Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento.
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