Sintomi aspecifici del paziente e diagnosi differenziale

Come comportarsi se i sintomi manifestati dal paziente sono aspecifici? Il parere di due Tribunali a confronto.

 

Oggi vi segnalo due sentenze rispettivamente del Tribunale di Milano e del Tribunale di Catanzaro, entrambe del marzo scorso, che hanno trattato due casi di decesso del paziente caratterizzati da omissione della diagnosi per mancanza di specificità dei sintomi lamentati dal paziente stesso.

 

Il caso trattato dal Tribunale di Catanzaro

Un signore chiede l’intervento del Servizio 118 lamentando forti dolori al petto ed immobilità dell’arto inferiore destro; durante il tragitto in ambulanza, il paziente viene visitato e gli viene praticata terapia infusiva per endovenosa.

Giunto al Pronto Soccorso con “codice giallo” per “dolore toracico”, il paziente viene intervistato dalla triagista, che riclassifica il caso come “codice bianco” per “disturbi neurologici e paresi”. Passano circa tre ore ed il paziente, non essendo stato ancora visitato, decide spontaneamente di allontanarsi e di lasciare l’Ospedale.

Il giorno seguente, nel primo pomeriggio, il paziente lamenta nuovamente forte dolore toracico con irradiazione al collo ed all’esofago; viene sottoposto a visita domiciliare da parte del medico curante e successivamente viene trasportato in Pronto Soccorso da moglie e figlio, dove gli viene nuovamente assegnato un “codice bianco“; dopo circa un’ora dall’arrivo il paziente viene sottoposto a vari accertamenti (consulenza gastroenterologica e consulenza cardiologica), ma decederà dopo alcune ore.

Il decesso risulterà poi ascrivibile a rottura di “aneurisma acuto dissecante di tipo A” interessante il tratto ascendente dell’aorta.

Il procedimento penale successivamente instaurato accerterà l’inadeguatezza dell’attività professionale dell’infermiera che ha sottovalutato la situazione del paziente all’arrivo al Pronto Soccorso.

 

Il caso trattato dal Tribunale di Milano

Analogamente al caso precedente, un signore chiede l’intervento del Servizio 118 lamentando un improvviso e fortissimo dolore al torace, con irradiamento alla spalla ed alla mandibola. Trasportato d’urgenza presso il Pronto Soccorso, viene visitato dal cardiologo di turno e sottoposto a vari esami – ECG, esami ematochimici, radiografia al torace, TAC dell’encefalo senza contrasto – all’esito dei quali il paziente viene dimesso con consiglio di assumere antinfiammatori minori se il dolore si fosse ripresentato.

Quattro giorni dopo, mentre si trova presso a sua abitazione, il paziente subisce un arresto cardiocircolatorio; viene chiamato nuovamente il Servizio 118 che procede a diversi tentativi di rianimazione, ma senza risultato. Il paziente decede poco dopo al Pronto Soccorso.

Anche in questo caso, il decesso viene attribuito a dissecazione aortica (di tipo I secondo la classificazione di DeBakey).

 

Il risultato delle due consulenze tecniche

In entrambi i casi, i parenti dei pazienti hanno iniziato una causa contro gli ospedali per ottenere il risarcimento dei danni subiti per la perdita del congiunto, allegando che una corretta e tempestiva diagnosi sarebbe stata in grado di salvare loro la vita. Nel caso calabrese, viene dedotta in particolare la responsabilità dell’infermiera addetta al triage, pure convenuta personalmente in giudizio.

La valutazione data dal consulente tecnico nominato d’ufficio dal giudice in merito all’appropriatezza della condotta tenuta dagli operatori sanitari in ciascuno dei due casi è stata molto diversa.

Nel caso trattato dal Tribunale di Catanzaro ha giocato sicuramente un’influenza centrale il fatto che il paziente si sia allontanato spontaneamente dal Pronto Soccorso, condotta che ha “impedito o ritardato valutazioni cliniche e strumentali che avrebbero potuto condurre ad una diagnosi corretta”.

Ad ogni modo, il consulente ha valutato il declassamento del caso da codice giallo (assegnato al momento di intervento del 118) a codice bianco effettuato dall’incaricata del triage – elemento che ha determinato il protrarsi dell’attesa del paziente in Pronto Soccorso e, verosimilmente, anche il suo successivo allontanamento – come corretto, sulla base della attenuazione dei sintomi lamentati dal paziente.

Analogamente, la classificazione come codice bianco anche del secondo accesso del paziente all’Ospedale – al quale seguirà la morte in poche ore – è stata considerata corretta proprio per l’aspecificità dei sintomi lamentati dal paziente (dolore al petto irradiato a mandibola e spalla). A seguito degli accertamenti eseguiti, al paziente verrà poi assegnato un codice verde.

I controlli diagnostici disposti presso il Pronto Soccorso vengono considerati adeguati e completi. Secondo il Tribunale di Catanzaro, la condotta del personale sanitario, proprio per l’aspecificità dei sintomi caratterizzanti la patologia, non è censurabile.

Per converso, nel caso trattato dal Tribunale di Milano, nonostante la tempistica di intervento estremamente tempestiva (10 minuti dall’arrivo in Pronto Soccorso) e conseguente irrilevanza del codice di triage (verde, anziché giallo) attribuito, sarà proprio l’aspecificità dei sintomi a portare i consulenti, prima, ed il Giudice, poi, a valutare come inidoneo l’intervento, questa volta, dei medici del Pronto Soccorso per omessa diagnosi differenziale.

 

Cos’è la diagnosi differenziale e quando procedervi

Ma che cos’è la diagnosi differenziale?

La diagnosi differenziale consiste in un percorso per esclusione, utile per scartare o confermare la responsabilità del medico in caso di erronea diagnosi.

In termini generali, è configurabile una responsabilità del medico (nel nostro caso, del medico del Pronto Soccorso) se sottovaluta i sintomi lamentati dal paziente, qualora l’omessa diagnosi ovvero l’omesso ricovero abbia ritardato l’intervento che, con elevato grado di probabilità logica, ne avrebbe evitato il decesso.

In particolare, se i sintomi sono aspecifici, spetta al medico di fare i dovuti accertamenti per giungere alla diagnosi corretta, tenendo conto della eventuale urgenza e delle condizioni di salute del paziente.

“Dal medico del pronto soccorso non è consentita la sospensione del giudizio e se non ci sono sintomi chiari, [ovvero, in caso di sintomi]  aspecifici, ambigui, ambivalenti occorre procedere alla diagnosi differenziale se non vi sono particolari ragioni di urgenza, oppure convocare i medici dei possibili reparti interessati da un eventuale ricovero per affidare a medici specialisti una valutazione più approfondita”

(così D. Chindemi, “La responsabilità del medico e della struttura sanitaria pubblica e privata”, 2018, ed. UTET giuridica, pag. 110).

Occorre insomma verificare se era possibile un esito diverso e più favorevole al paziente se lo stesso, ad esempio, fosse stato prontamente avviato alle indagini diagnostiche necessarie, nella immediatezza della visita a cui egli si era sottoposto presso il Pronto soccorso.

 

Le conclusioni dei due casi in sintesi

Secondo il Tribunale di Catanzaro, sulla base della valutazione del consulente tecnico nominato d’ufficio, il rischio di mortalità del paziente in rapporto al relativo quadro clinico desumibile dalla documentazione, relativa ad una procedura chirurgica eseguita in seconda giornata

“era perfettamente sovrapponibile a quella che si poteva ipotizzare alle ore 21:30 del giorno precedente”.

Pertanto, il comportamento del personale sanitario dell’Azienda Ospedaliera, e in particolare l’infermiera addetta al triage,

“non ha di fatto ridotto le chances di sopravvivenza del Sig. (omissis)”.

Posto che, secondo il Tribunale, è onere del paziente dimostrare il nesso causale provando che la condotta del sanitario è stata causa del danno, secondo il criterio del “più probabile che non”, e visto che in questo caso la causa del danno è rimasta incerta, la domanda risarcitoria è stata rigettata:

“l’aspecificità caratterizzante la patologia lamentata … induce ad escludere qualsiasi responsabilità a carico del personale”.

Diverso è il parere dei consulenti nominati dal Tribunale di Milano, riferito alla condotta del medico di Pronto Soccorso, secondo i quali

“proprio per la varietà della sintomatologia l’ipotesi della dissecazione va sempre tenuta presente fra le possibilità della diagnosi differenziale, anche alla luce del fatto che la mortalità riportata è significativamente ingravescente più passa il tempo”.

La diagnosi differenziale, che si pone essenzialmente con le sindromi coronariche acute, spesso si avvale di strumentazioni diagnostiche non disponibili in Pronto Soccorso. Secondo i consulenti tecnici del Tribunale milanese

“La sfida è quella di praticare un sospetto diagnostico in grado di anticipare nel più breve tempo possibile una diagnosi accurata che consenta di indirizzare l’indagine diagnostica in modo efficace soprattutto quando le prime immagini routinarie risultino negative per altre patologie”.

Nel caso in commento, i dati anamnestici raccolti avrebbero dovuto indirizzare i sanitari a formulare una diagnosi differenziale, che invece è mancata. Rinviamo al testo della sentenza per i dettagli.

I consulenti hanno dunque considerato come “condotta negligente ed imperita” dei sanitari quella di non aver considerato nel caso in questione, in diagnosi differenziale, “un’altra possibile e non rarissima causa di dolore toracico improvviso e violento in particolare la dissecazione aortica diagnosticabile con una TAC toracica con mezzo di contrasto”. Viene inoltre valutata come “grave omissione terapeutica” il fatto che al paziente non venne consigliato di ritornare in Ospedale all’eventuale ripresa del dolore.

Nel caso in commento, i consulenti tecnici d’ufficio hanno ritenuto che

“un diverso intervento diagnostico avrebbe determinato la possibilità di sopravvivenza del paziente nella misura dell’80%”.

Secondo il Tribunale milanese, “una volta accertati gli inadempimenti dei sanitari … ed accertato che l’evento … verificatosi rientra fra i probabili effetti di quegli inadempimenti, il nesso causale fra la condotta e l’evento dannoso deve ritenersi esistente in tutti i casi in cui possa affermarsi, in base alle circostanze del caso concreto, che la condotta alternativa avrebbe impedito il verificarsi dell’evento sulla base di un ragionevole criterio probabilistico”.

Sulla base di quanto precede, le domande degli eredi sono state accolte.

 

Per concludere

Abbiamo visto oggi due casi simili, valutati dai consulenti tecnici in maniera differente – sia pur con riferimento a profili di responsabilità di figure di operatori sanitari anche diverse – e che hanno portato i giudici a conclusioni diametralmente opposte.

Resta sempre prudente per il medico di Pronto Soccorso, in caso di pazienti con sintomi aspecifici, valutare la possibilità di una diagnosi differenziale.

 

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LEGGI LE SENTENZE

Tribunale di Milano, sentenza n. 2814 del 9 marzo 2018

Tribunale di Catanzaro, sentenza n. 489 del 21 marzo 2018