Paziente col morbo di Parkinson sparisce dalla struttura di ricovero: chi ne risponde?

Mentre il paziente, in quanto titolare del rapporto contrattuale di spedalità, può agire per il ristoro dei danni cagionati dall’inadempimento della struttura sanitaria mediante azione contrattuale, gli eventuali congiunti – fatte salve specifiche eccezioni – possono agire per il ristoro dei danni da essi autonomamente subìti – in via mediata o riflessa – solo con azione extracontrattuale.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Cassazione Civile (n. 11320 del 7 aprile 2022) concernente gli obblighi di protezione e garanzia della struttura sanitaria a favore del paziente e i limiti dei cd. effetti “protettivi” anche a favore di soggetti terzi.

Il caso

Un signore, affetto da morbo di Parkinson, si ricovera presso la struttura sanitaria per intraprendere un percorso di riabilitazione motoria; dopo soli tre giorni dall’inizio del ricovero, improvvisamente il signore scompare, senza comunicare ad alcuno il suo allontanamento dalla struttura e senza più dare notizie di sé; le successive ricerche, protrattesi per anni, non danno alcun esito.

La moglie incardina dunque una causa contro la struttura sanitaria per contestare l’inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dalla struttura stessa (e, in particolare, dell’obbligo di vigilanza e protezione del paziente ivi ricoverato), quantificando i danni per la scomparsa del marito in circa 910.000 euro.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano le richieste della signora; vediamo qual è l’esito della valutazione della Corte di Cassazione.

Quale responsabilità della struttura verso soggetti diversi dai pazienti?

La Corte di Cassazione parte innanzitutto dalla considerazione che la moglie del paziente deve considerarsi come estranea al contratto di spedalità stipulato dal marito con la struttura sanitaria; ciò considerato, la responsabilità di quest’ultima nei suoi confronti (non trattandosi di un paziente) va qualificata come di natura extracontrattuale.

Ciò implica che, per ottenere un risarcimento, la signora avrebbe dovuto fornire la prova:

  • dell’esistenza, a carico della struttura, un dovere di costante sorveglianza sul marito, giustificato da una minorazione cognitiva di quest’ultimo
  • della violazione colposa di tale dovere di vigilanza
  • del pregiudizio che da questo fatto sarebbe conseguito alla ricorrente, e
  • del nesso causale tra il fatto colposo e il danno.

Secondo la Corte, però, nessuna omissione colposa del dovere di vigilanza e protezione del paziente deve ritenersi occorsa nel caso in commento.

Un obbligo di costante sorveglianza e protezione sarebbe infatti stato configurabile a carico della struttura solo in presenza di una condizione di menomazione psichica del paziente, nella specie insussistente.

Sul tema degli obblighi di vigilanza, vedi anche il mio precedente postSuicidio del paziente e responsabilità della struttura per violazione degli obblighi di vigilanza“.

Per contro, in base alle risultanze istruttorie del caso in commento e, in particolare, la testimonianza dello specialista neurologo che aveva avuto in cura il paziente e le annotazioni contenute nella sua cartella clinica, era emerso che il paziente era sempre parso persona lucida, mentalmente sana, perfettamente capace di intendere e di volere ed autosufficiente, e che il morbo di Parkinson aveva in lui provocato solo difficoltà nella deambulazione e, in generale, nel movimento (motivi per cui lo stesso si era volontariamente determinato al ricovero riabilitativo presso la struttura sanitaria in questione), ma non anche la compromissione delle sua capacità cognitive.

La non configurabilità del suddetto obbligo di vigilanza e protezione trovava peraltro conferma anche nella stessa conformazione architettonica della struttura sanitaria, che offriva prestazioni di riabilitazione motoria in un ambiente aperto, dotato di parco e con affaccio sulla spiaggia, alla quale degenti potevano liberamente accedere.

Quando il contratto tra struttura e paziente produce effetti protettivi anche nei confronti dei terzi?

La ricorrente contesta, in secondo luogo, la circostanza che il contratto tra paziente con il medico o con la struttura non ha un’efficacia limitata alle sole parti, ma produce effetti (cc.dd. “effetti protettivi”) anche nei confronti dei terzi (in particolare il coniuge e i prossimi congiunti) i quali, ove subiscano in proprio un pregiudizio in conseguenza dell’inadempimento del debitore (c.d. “danno riflesso”), possono chiederne il ristoro con azione di natura contrattuale.

Ma, secondo la Corte, il principio secondo il quale, nell’ambito delle prestazioni sanitarie, il contratto può avere efficacia protettiva anche verso i terzi deve essere circoscritto alle sole relazioni contrattuali intercorse tra la gestante e la struttura sanitaria (o il professionista) che ne segua la gestazione e il parto.

“Viene in considerazione, in particolare, il contratto stipulato dalla gestante, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza oppure l’accertamento, e correlativa informazione, di eventuali patologie del concepito, anche in funzione del consapevole esercizio del diritto di autodeterminarsi in funzione dell’interruzione anticipata della gravidanza medesima. L’inesatta esecuzione della prestazione che forma oggetto di tali rapporti obbligatori, infatti, incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre talché la tutela contro l’inadempimento deve necessariamente essere estesa a tali soggetti, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati.”

Al di fuori di queste specifiche ipotesi, poiché l’esecuzione della prestazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione di soggetti terzi, torna applicabile la regola generale e cioè, da un lato, che non è predicabile un “effetto protettivo” del contratto nei confronti di terzi e, dall’altro lato, non è identificabile una categoria di soggetti (quand’anche legati da vincoli rilevanti, di parentela o di coniugio, con il paziente) qualificabili come  “terzi protetti dal contratto”.

Ciò non vuoi dire che i prossimi congiunti del paziente-creditore, ove abbiano subìto in proprio delle conseguenze pregiudizievoli che siano un riflesso dell’inadempimento della struttura sanitaria (cosiddetti danni mediati o riflessi), non abbiano del tutto la possibilità di agire in giudizio per ottenere il ristoro di tali pregiudizi. Tuttavia, si applicherà in tali casi la disciplina della responsabilità extracontrattuale, con i relativi limiti, anche in tema di onere della prova.

La soluzione nel caso concreto

Nel caso oggi in commento, la Corte di Cassazione ha giudicato corretta l’applicazione delle regole sopra viste da parte della Corte d’Appello là ove la stessa, nella sentenza, ha motivatamente considerato:

  • che il paziente era persona mentalmente sana e perfettamente capace di intendere e di volere
  • che dunque non esisteva alcun obbligo specifico di sorveglianza continua a carico della struttura sanitaria
  • che lo stesso contegno tenuto dal paziente poco prima del suo spontaneo allontanamento – allorché egli era stato notato in una situazione di piena serenità, mentre si trovava in compagnia di due signore sulla spiaggia vicina alla struttura – confermava la non configurabilità di un tale dovere di sorveglianza.

Sulla base di queste motivazioni, il ricorso è stato rigettato e la ricorrente condannata al rimborso delle spese legali ed al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 11320 del 7 aprile 2022