Abbandono di garza all’interno del sito chirurgico e responsabilità dei componenti dell’équipe

Tutti i componenti dell’équipe medico-chirurgica – a partire dal primo operatore fino allo strumentista – sono personalmente responsabili della corretta e diligente osservanza della Raccomandazione n. 2 del marzo 2008 del Ministero della Salute (“Raccomandazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale nel sito chirurgico“) e rispondono – in sede sia penale sia civile – in caso di sua violazione.

Oggi torniamo sul tema della responsabilità per lavoro d’équipe per esaminare una sentenza della Cassazione Penale (la n. 824 del 2022) concernente un caso di dimenticanza di una garza nella cavità addominale del paziente.

 

Il caso

Una signora, a seguito di parto cesareo, lamenta malessere, dolori e gonfiore all’addome. Dimessa dall’ospedale nonostante i sintomi, la paziente continua a lamentare acuti e insoliti dolori al punto che, dopo una serie di esami ecografici che segnalano l’anomala presenza di versamenti addominali e materiale purulento (curati con terapia antibiotica), è costretta a sottoporsi a TAC, la quale evidenzia la presenza di un corpo estraneo, con fili metallici affastellati, sopra la tuba uterina destra. La paziente viene dunque nuovamente operata e, in tale occasione, viene estratta dal suo corpo una garza.

La paziente presenta dunque denuncia-querela contro i componenti dell’équipe medica; il Tribunale condanna gli imputati alla pena di due mesi di reclusione per aver cagionato alla paziente lesioni personali colpose; nel dettaglio:

– i medici chirurghi per non aver eseguito, prima della chiusura della cavità operatoria, una toilette addomino-pelvica corretta, diligente e avveduta

– lo strumentista e l’infermiera di sala per l’inosservanza dei protocolli di verifica stabiliti della struttura ospedaliera e per aver errato nel conteggio delle pezze impiegate nell’intervento, così da provocare alla paziente un ascesso in fossa iliaca destra da corpo estraneo con fistola cronica, con violazione, in particolare, della Raccomandazione n. 2 del marzo 2008 del Ministero della Salute (“Raccomandazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico”).

Solo la specializzanda viene poi assolta…

Solo in sede d’appello uno dei medici chirurghi viene poi assolto per “l’insussistenza di un sufficiente grado di colpa. La Corte valorizza, in questo caso, la circostanza che il sanitario in questione avesse partecipato all’intervento in qualità di medico in formazione specialistica, e dunque che la stessa agisse con autonomia vincolata alle direttive impartitele dalla tutor-operatrice principale, “rispetto alla quale non aveva né la possibilità di sostituirsi, né la facoltà di poter operare in sua vece”.

Per tutti gli altri operatori la condanna viene confermata.

Il primo operatore risponde al pari dello strumentista?

La risposta è positiva.

La responsabilità del capo dell’équipe medica sorge infatti dal fatto stesso di essere investito del ruolo di chirurgo principale che esegue l’intervento, posto che il controllo sul numero delle garze non può ritenersi un compito residuale, affidato esclusivamente al personale ausiliario o paramedico. È stato infatti affermato che

“grava sul capo dell’equipe medico chirurgica il dovere, da valutarsi alla luce delle particolari condizioni operative, di controllare il conteggio dei ferri utilizzati nel corso dell’intervento e di verificare con attenzione il campo operatorio prima della sua chiusura, al fine di evitare l’abbandono in esso di oggetti facenti parte dello strumentario (quale una garza)”

(Cass. Pen., Sez. IV, n. 54573 del 20 luglio-6 dicembre 2018).

Per un approfondimento sulle varie responsabilità a carico dei componenti dell’équipe chirurgica, vedi anche il mio precedente postLavoro in équipe: chi risponde in caso di abbandono di presidi chirurgici nel corpo del paziente?”.

Nel caso oggi in commento, la posizione del capo-équipe è aggravata non solo dall’omesso controllo in corso d’intervento, ma anche dal fatto di avere omesso – nonostante il malessere e gli acuti dolori lamentati dalla paziente subito dopo il parto – ogni controllo clinico e strumentale sulla stessa che, se posti in essere, avrebbero – in ipotesi – permesso di asportare rapidamente la garza ed evitarle le successive complicanze intervenute.

D’altra parte, di nessun pregio sono state giudicate le impugnazioni dei vari operatori coinvolti (e, in particolare, dello strumentista) che lamentavano, al riguardo, la mancata diversificazione della posizione degli imputati in ordine alla commisurazione della pena e del conseguente obbligo di risarcimento del danno in favore della parte civile. Infatti, da un lato, la motivazione della sentenza impugnata non appare, secondo la Corte, viziata da asserzioni irragionevoli o paradossali in relazione alla allegata disparità di trattamento tra coimputati; dall’altro lato, ai fini delle statuizioni civili, l’impugnazione risulta del tutto irrilevante, “sussistendo tra (tutte le parti coinvolte, N.d.R.) una responsabilità solidale quanto al risarcimento dei danni” in favore della parte civile.

E se la lesione fosse il risultato… di un parto precedente?

Nel merito, le difese degli imputati si concentrano sul fatto che la dimenticanza della garza nell’addome della paziente non potesse essere collegata in modo certo all’intervento di parto cesareo sopra visto, ben potendo tale incidente essersi verificato in epoca antecedente, e cioè in occasione di un’altra analoga operazione effettuata nel 2007, in occasione di una precedente gravidanza della paziente, “ben potendo una garza derelitta in una cavità endoaddominale non cagionare dolori o provocare reazioni dell’organismo per molti anni”.

Secondo la Corte, anche questo motivo è infondato. Infatti, in esito al primo taglio cesareo, subito 5 anni prima l’intervento in discussione, la paziente non aveva accusato alcun fastidio né dolore, e i vari esami ecografici eseguiti durante la successiva gravidanza non avevano evidenziato la presenza di nessuna situazione anomala. Pertanto, «non è logicamente e ragionevolmente sostenibile quanto ipotizzato negli atti di appello interposti dai difensori di (omissis) in merito alla possibilità che quella garza fosse rimasta inerte nella cavità pelviche della donna sin dal ….. 2007 senza dare dolori né scatenare reazioni nell’organismo».

Sulla base di quanto precede, i ricorsi sono stati rigettati agli effetti civili, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile.

La sentenza impugnata è stata tuttavia annullata senza rinvio agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 824 del 2022