L’accettazione di un degente presso una struttura ospedaliera comporta l’assunzione di una prestazione strumentale ed accessoria – rispetto a quella principale di somministrazione delle cure mediche, necessarie a fronteggiare la patologia del ricoverato – avente ad oggetto la salvaguardia della sua incolumità fisica e patrimoniale, quanto meno nelle forme più gravi di aggressione, incluse le infezioni.
Questa settimana vi segnalo una recente sentenza della Cassazione (la n. 28989 dell’11 novembre 2019), appartenente al cosiddetto “decalogo di San Martino” di quest’anno, in tema di decesso del paziente a causa di infezione da stafilococco ed onere della prova in giudizio.
Il caso
Una paziente, ricoverata in ospedale, contrae un’infezione da stafilococco aureo, a seguito della quale decede.
Le indagini tecniche svolte nel corso del giudizio di responsabilità iniziato dagli eredi nei confronti dell’azienda sanitaria e dei medici coinvolti evidenziano la riconducibilità del decesso all’infezione contratta dalla paziente nel corso del ricovero, ma escludono che la condotta tenuta dai medici chiamati a giudizio abbia avuto una qualsiasi rilevanza al riguardo.
La Corte d’Appello, in accoglimento dell’appello proposto dagli eredi della paziente ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, condanna dunque l’azienda ospedaliera al risarcimento dei danni subiti dagli attori, confermando il rigetto delle domande avanzate nei confronti dei medici.
Esaminiamo l’esito dell’impugnazione della struttura sanitaria avanti alla Corte di Cassazione.
L’accettazione del paziente presso la struttura comporta l’assunzione dell’obbligo di salvaguardarlo in senso globale
Secondo la Cassazione, la decisione impugnata applica correttamente i principi consolidati nella giurisprudenza della stessa Corte, ai sensi della quale
“L’accettazione di un degente presso una struttura ospedaliera comporta l’assunzione di una prestazione strumentale ed accessoria – rispetto a quella principale di somministrazione delle cure mediche, necessarie a fronteggiare la patologia del ricoverato – avente ad oggetto la salvaguardia della sua incolumità fisica e patrimoniale, quanto meno nelle forme più gravi di aggressione.”
Tali aggressioni includono, ovviamente, anche le infezioni, contro le quali la struttura ospedaliera deve adottare tutte le misure ed i protocolli necessari alla relativa prevenzione e cura.
L’onere della prova nelle cause in materia di infezioni nosocomiali
Come abbiamo visto, le indagini tecniche svolte in corso di causa avevano accertato, nel caso in commento, la riconducibilità dell’insorgenza della patologia, risultata letale per la paziente, alla condotta della struttura sanitaria che ne aveva accettato il ricovero.
Avendo dunque gli eredi della paziente provato la sussistenza di un preciso nesso di causa tra le mancanze della struttura sanitaria, da un lato, ed il decesso della paziente, dall’altro lato, sarebbe gravato sulla struttura – per andare esente da responsabilità – l’onere di fornire la prova che il suo inadempimento era in realtà riconducibile ad una causa autonoma, ad essa non imputabile, in coerenza al principio, consolidato nella giurisprudenza di Cassazione, in forza del quale
“in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’insorgenza di una nuova malattia e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinanza diligenza.”
La Cassazione conferma dunque il “doppio ciclo” probatorio nelle cause di responsabilità medica, il primo a carico del paziente ed il secondo – a condizione che il primo sia stato soddisfatto – a carico della struttura sanitaria.
Per l’esame di un caso simile – concernente un procedimento per il risarcimento dei danni derivanti da infezione da stafilococco non aureo, in cui le domande della paziente sono state però rigettate per mancanza di prove e ritenuta per contro corretta l’applicazione dei protocolli di profilassi infettiva in ambito ortopedico da parte dell’istituto ospedaliero – e per un approfondimento della tematica dell’onere della prova nelle cause di responsabilità medica, si veda anche la sentenza n. 28992, sempre pubblicata l’11 novembre 2019.
Per concludere
Sulla base di quanto precede, la Cassazione ha confermato la correttezza del ragionamento dei giudici d’appello nel sancire la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, non avendo la struttura provato che il suo inadempimento era dipeso da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza.
Per un approfondimento sul tema delle infezioni nosocomiali, si veda anche il mio precedente post “Le infezioni ospedaliere: un problema grave e diffuso”.
Ci aggiorniamo presto con un altro, interessante argomento!
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