L’annullamento dell’ordinanza che dispone un trattamento sanitario obbligatorio non implica che il paziente destinatario del provvedimento, per ottenere un risarcimento, sia esonerato dal dover dimostrare l’esistenza del danno ingiusto subito in conseguenza del trattamento.
Pertanto, anche in caso di illegittima sottoposizione a TSO, è necessaria la prova delle conseguenze dannose subite da parte del destinatario, che non discendono automaticamente dalla dichiarazione di illegittimità del provvedimento, né sono risarcibili in via equitativa in mancanza di prova.
Ad ogni modo, i comportamenti illeciti (come un TSO illegittimo) possono essere rilevanti in termini di danno non patrimoniale anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancora di più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica.
Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Cassazione Civile (n. 33290 del 19.12.2024 che tratta il delicato tema del risarcimento del danno conseguente a trattamento sanitario obbligatorio (TSO).
Il caso
Una signora, a seguito di un diverbio avvenuto con un vicino di casa durante una sagra, viene sottoposta a TSO per nove giorni.
A seguito di impugnazione, il provvedimento viene dichiarato illegittimo e la signora agisce in giudizio contro il sindaco, l’Asur di Urbino, l’Asur Marche, la guardia medica chiamata ad intervenire dal 118, il primario del Pronto Soccorso, lo psichiatra presso il reparto di salute mentale dell’Ospedale di ricovero, l’agente di polizia municipale ed il maresciallo che l’avevano fermata, chiedendo che tutti venissero condannati nei suoi confronti al risarcimento dei danni subiti, individuati nel danno alla salute per somministrazione ingiustificata di psicofarmaci e per l’illecita privazione della libertà personale, entrambi da liquidarsi con criterio equitativo.
Il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, rigettano la domanda per mancanza di prova del danno allegato.
Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.
Il TSO come procedimento per la tutela del fragile (e dei terzi)
La Cassazione ricorda innanzitutto che il TSO integra un evento terapeutico straordinario, che può accompagnarsi a terapie farmacologiche o, in casi estremi, a misure di contenzione personale, imposte per preservare la salute e la sicurezza del paziente in condizione di fragilità psichica e di quanti vengano a contatto con lui.
Il TSO può essere disposto anche senza il consenso informato del paziente ove, a fronte di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, non sia possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere e il paziente rifiuti gli interventi terapeutici proposti.
In punto vedi anche il mio precedente post “Trattamento sanitario obbligatorio: quali i confini col consenso informato del paziente?”
La sottoposizione al TSO avviene all’esito di una complessa procedura, che si articola in:
- visita del paziente da parte del medico di medicina generale e dello specialista di psichiatria, entrambi operanti in un ospedale pubblico
- richiesta a doppia firma da parte dei due medici volta a segnalare la necessità di sottoposizione del paziente al trattamento
- successiva ordinanza sottoscritta dal sindaco (autorità di vigilanza del territorio in materia sanitaria) dispositiva del TSO
- vaglio di controllo ed emissione del decreto di convalida da parte del giudice tutelare.
Nel caso in commento la paziente, portata in ospedale, era stata visitata dai due medici che avevano richiesto per lei il TSO, ma l’ordinanza sindacale era stata successivamente annullata perché giudicata priva di adeguata motivazione.
TSO illegittimo: quali le conseguenze per il paziente?
Secondo la Cassazione, in caso di sottoposizione di una persona a TSO illegittimo, può evidenziarsi un duplice illecito, che consiste:
- nella illegittima privazione della libertà personale del paziente
- nella sottoposizione a trattamenti sanitari e farmacologici contro la propria volontà.
Secondo un noto precedente della Cassazione (n. 3900/2016), la sottoposizione a TSO, pur illegittimo ed annullato, non attribuisce però automaticamente al destinatario del provvedimento il diritto al risarcimento del danno derivante dai suddetti illeciti.
A tale fine, il paziente deve individuare i danni ingiusti che sono conseguenza del trattamento subito. Per esempio:
- la sofferenza morale patita per il ricovero;
- il discredito sociale che può derivare dalla sottoposizione a trattamento sanitario coatto;
- il danno alla salute conseguente alla somministrazione dei farmaci.
La sofferenza dei danni, però, non va solo allegata, ma anche provata (es. va provato il peggioramento della salute riportato a seguito della somministrazione dei farmaci). Secondo il sopra citato precedente della Cassazione, il primo e principale tra i danni derivabili dal TSO è proprio quello conseguente all’uso coatto dei farmaci; tuttavia, in caso di libera scelta dell’interessato di protrarre il trattamento anche oltre i limiti imposti dal TSO, sarebbe il paziente stesso a riconoscere l’inesistenza di danno alcuno.
I motivi alla base delle sentenze dei primi due gradi di giudizio
Nel caso in commento, secondo le Corti di merito, tale prova non era stata data. Infatti:
- non era stato provato che i farmaci, forzatamente somministrati, avessero causato un danno alla salute della ricorrente
- la paziente viveva già, anche prima della sottoposizione al TSO, in una condizione di disagio psichico e con significative difficoltà relazionali, per cui non era possibile apprezzare se le sue condizioni fisiopsichiche, la sua credibilità sociale e la sua immagine fossero peggiorate a causa del trattamento
- quanto alla privazione della libertà personale, il TSO – pur se annullato – non è equiparabile alla ingiusta detenzione, la cui disciplina non è dunque applicabile, neppure in via analogica.
Secondo la Corte d’Appello, la forzata privazione della libertà personale della ricorrente, i trattamenti farmacologici da questa subiti, la conseguente destabilizzazione del suo già precario equilibrio, la perdita di reputazione sociale sono fatti sostanzialmente irrilevanti nel caso in commento, proprio perché si trattava di una persona fragile (la “matta” del paese) e il cui rapporto con gli altri era già problematico prima che si verificassero i fatti per cui è causa.
Il TSO non è equiparabile all’ingiusta detenzione
La Cassazione conferma innanzitutto che l’illegittima sottoposizione a TSO non è equiparabile all’ingiustificata detenzione in carcere (per la quale la legge prevede il riconoscimento di un indennizzo forfettario, calcolabile automaticamente sulla base dei giorni di ingiustificata privazione della libertà) essendo quest’ultima un istituto di stretta interpretazione, non applicabile in via analogica al TSO.
Evidenzia tuttavia che:
- la privazione della libertà personale può determinare sia uno stato di sofferenza, sia un pregiudizio alla sfera dinamico-relazionale del destinatario del provvedimento di TSO
- la condizione di eventuale fragilità psicologica o psichica del paziente non esclude automaticamente la necessità d’indagine su tali aspetti da parte del Giudice, ma anzi gli impone l’adozione di modalità e mezzi di accertamento del danno (che, in ogni caso, deve essere provato dal paziente) idonei, cioè che tengano conto della particolare condizione del danneggiato (per esempio, il supporto di uno psicologo)
- va dunque accertato caso per caso – e non escluso a priori – se la privazione della libertà personale abbia determinato una particolare sofferenza o se, al contrario, sia stata poco o per nulla percepita come tale dal soggetto, come pure verificato se ed in che misura il rapporto già eventualmente difficoltoso con gli altri della persona psicologicamente fragile sia stato negativamente intaccato – nell’immagine e nella considerazione sociale – dalla sottoposizione a TSO.
La soluzione nel caso concreto
Alla luce di quanto precede, la sentenza d’appello è stata giudicata errata, posto che si traduce nella mancanza di una corretta verifica dell’esistenza e dell’entità dei danni-conseguenza subiti dal paziente.
“In altri termini, va ribadito… che i comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza come danno non patrimoniale, nelle sue componenti della sofferenza pura e del danno dinamico relazionale, anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica. Diversamente opinando si arriverebbe all’estrema, inaccettabile conseguenza, di affermare che gli episodi di violenza, di minaccia, di dileggio che si consumano a danno di persone psichicamente instabili o comunque che si collocano ai margini della società, e di illegittima privazione della libertà personale nei confronti di queste persone non producono mai alcun danno perché queste persone anche prima non godevano di elevata considerazione sociale o perché le stesse, avendo un equilibrio fragile e instabile, non sono in grado di avvertire il peso delle umiliazioni o di soffrire per la privazione della propria libertà.”
Per concludere
Alla luce di quanto precede, la sentenza impugnata è stata cassata e rinviata alla Corte d’Appello di provenienza, in diversa composizione, per un nuovo giudizio.
Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!
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