Trattamento sanitario obbligatorio: quali i confini col consenso informato del paziente?

Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – e, ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario.

Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Cassazione Civile (n. 509 dell’11 gennaio 2023) che tratta il delicato tema dei confini tra trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e consenso informato del paziente.

 

Il caso

Un paziente si reca presso il Centro di Salute Mentale della propria città per ritirare copia della propria cartella clinica, e in tale occasione viene trattenuto, anche mediante l’ausilio della forza pubblica, per essere sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio.

Il trattamento segue l’iter autorizzativo e di convalida previsto dagli artt. 33 – 35 della Legge 833 del 1978, e si rende necessario a causa della manifestazione, da parte del paziente, di un “disturbo delirante cronico in fase di scompenso”. Peraltro, dopo 16 giorni di trattamento, il paziente dichiara di accettare volontariamente la prosecuzione dei trattamenti terapeutici propostigli.

Nonostante ciò, passato qualche tempo, lo stesso agisce in giudizio (per ben due volte) contro la locale Azienda Socio-Sanitaria ed il Ministero dell’Interno al fine di ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza del sopra descritto trattamento obbligatorio.

La domanda risarcitoria viene comunque rigettata; vediamo qual è l’esito della recente valutazione del caso da parte della Corte di Cassazione.

 

Rapporti tra TSO e consenso informato

Il tema centrale affrontato dall’ordinanza oggi in commento è il rapporto tra TSO e consenso informato del paziente.

Dopo aver ricordato i fondamenti dell’istituto del consenso informato (per una breve disamina vedi i miei precedenti post sul tema), la Suprema Corte precisa che

il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza” (purché questi si profilino, comunque, “a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso”, e siano inoltre “tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona”), ovvero che non “si tratti di trattamento sanitario obbligatorio“.

L’ospedalizzazione in regime di trattamento sanitario obbligatorio per disturbo mentale costituisce un evento intriso di problematicità, essendo associata ad una presumibile condizione di incapacità del paziente a prestare un valido consenso al trattamento.

Nonostante, dal punto di vista normativo, un paziente sia considerato, secondo una visione dicotomica, ovverosia capace oppure incapace, la realtà clinica suggerisce che possano esistere degli spazi di autonomia e libertà decisionale residui anche in pazienti sottoposti a TSO.

“Un approccio di tipo multidimensionale, basato sulla valutazione, nel singolo paziente, della capacità a prestare consenso (mental capacity), costituisce un possibile terreno sul quale ricostruire, all’interno della relazione medico-paziente, un percorso di ripristino della capacità di prestare consenso alle cure.”

 

Le condizioni per il TSO

Esistono tuttavia alcune situazioni nelle quali si può prescindere dal consenso del paziente; tra queste, i casi di urgenza terapeutica, quando il paziente non è in grado di esprimere alcun consenso (per esempio, è privo di sensi) e quelli previsti dagli artt. 33-35 della Legge 833/78, appunto, in tema di trattamenti sanitari obbligatori.

La procedura per disporre un TSO viene attivata da parte di un medico che verifica e certifica l’esistenza:

– dell’avvenuta convalida della proposta – che deve essere motivata – da parte di un altro medico, dipendente pubblico, generalmente uno specialista in psichiatria;

– dell’emanazione da parte del Sindaco dell’ordinanza esecutiva (entro 48 ore dalla convalida);

– della notifica al Giudice Tutelare (entro 48 ore dall’emanazione dell’ordine del Sindaco), che provvede a convalidare o meno il provvedimento.

La durata del provvedimento è di 7 giorni, con possibilità di proroga se persistono le tre condizioni necessarie, o di cessazione se anche solo una delle condizioni viene meno (da comunicare al Sindaco ed al Giudice Tutelare).

Sulla base di tali presupposti procedurali, il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nel caso in commento è il seguente:

“Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, sia pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario.

Si può intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni:

a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;

b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti;

c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.”

 

Il TSO come evento terapeutico straordinario finalizzato alla tutela del paziente

Il passaggio interessante del provvedimento è il faro acceso dalla Suprema Corte sulle finalità del TSO, che deve essere essenzialmente

“finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente … non … considerato una misura di difesa sociale”

ed attivato solo dopo aver ricercato, con ogni iniziativa possibile, il consenso del paziente ad un intervento volontario, oltre che ovviamente a seguito della procedura prescritta dalla legge.

 

Le conclusioni nel caso in commento

Nel caso descritto, il TSO era stato attivato in quanto il paziente risultava affetto da un disturbo delirante cronico in fase di scompenso, dopo il rifiuto reiterato degli interventi terapeutici proposti, nella comprovata sussistenza dei tre presupposti sopra visti ed in conformità del procedimento prescrittivo e di convalida previsto dalla legge.

Il ricorso del paziente è stato dunque rigettato, con condanna del ricorrente al rimborso delle spese legali sostenute dalle altre parti.

 

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LEGGI L’ORDINANZA

Cassazione Civile, sez. III, n. 509 dell’11 gennaio 2023