Condizioni e limiti dell’utilizzo della radiodiagnostica in odontoiatria

Nel contesto dell’attività odontoiatrica, possono ritenersi giustificate ed ammesse solo quelle pratiche radiodiagnostiche che sono complementari, e cioè possono costituire un valido ausilio diretto ed immediato per lo specialista, e che presentano il requisito – sia funzionale, sia temporale – di essere “contestuali”, “integrate” ed “indilazionabili” rispetto allo svolgimento di specifiche prestazioni proprie della disciplina. In mancanza, il professionista è passibile di procedimento ed irrogazione di sanzioni penali.

Oggi vi segnalo una recentissima sentenza della Cassazione Penale (n. 36820 del 29 settembre 2022) che delimita il perimetro della liceità dell’esecuzione diretta della TAC Cone Beam e degli altri esami radiodiagnostici da parte dell’odontoiatra.

Il caso

Con sentenza 3.11.2021, il Tribunale di Palermo ha condannato in sede penale un odontoiatra al pagamento di un’ammenda (pena poi condizionalmente sospesa), per aver esposto numerosi pazienti – nel dettaglio, 25 – a radiazioni ionizzanti con apparecchiature “Cone beam”,senza giustificarne il ricorso, senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici” (reato di cui all’art. 14, co. 1, D.Lgs. 187/2000). Vediamo qual è l’esito del ricorso dell’odontoiatra in Cassazione.

La complementarietà dell’attività radiodiagnostica svolta dall’odontoiatra

L’esecuzione di esami radiodiagnostici da parte dell’odontoiatra – inclusa la tomografia computerizzata con tecnologia Cone Beam (CBTC) – è da considerarsi lecita (e non richiede, per il relativo svolgimento, l’ausilio di un medico specialista in radiologia), in quanto abbia la caratteristica della complementarietà, e cioè possa considerarsi “un’attività diagnostica di ausilio diretto al medico specialista o all’odontoiatra per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina” (art. 7, comma 1, n. 8 del d.lgs. 101/2020, “Norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti” che ha sostituito, con previsione sovrapponibile, l’abrogato art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 187/2000).

Ciò significa che le attività radiodiagnostiche complementari all’esercizio clinico possono essere svolte dal medico chirurgo (in possesso della specializzazione nella disciplina in cui rientra l’attività complementare stessa) o dall’odontoiatra nell’ambito della propria attività professionale specifica. Non possono dagli stessi essere effettuati esami per conto di altri soggetti o professionisti sanitari pubblici o privati, né essere redatti o rilasciati referti radiologici (art. 159, comma 13, D.Lgs. 101/2020, analogo all’abrogato art. 7, co. 4, D.Igs. n. 187/2000).

L’utilizzo dei raggi X deve essere giustificato ed espressamente consentito dal paziente

È ben vero che non tutte le indagini radiologiche comportano gli stessi rischi per il paziente (per esempio, la moderna CBCT ha ridotto moltissimo l’esposizione alle radiazioni rispetto alla TAC convenzionale, permettendo di ottenere una migliore risoluzione tridimensionale delle immagini con un’esposizione ai raggi X di circa 23 volte inferiore rispetto alla TAC convenzionale); resta il fatto che le dosi di radiazioni assorbite durante gli esami vanno a sommarsi a quelle assorbite dal paziente nelle attività di tutti i giorni, e che i potenziali effetti negativi collegati ad esposizioni mediche ai raggi X (che si aggravano nel caso di indagini in pazienti in età pediatrica e neonatale, così come nel caso di pazienti in gravidanza) dipendono dalla dose di radiazioni assorbite nel corso del tempo.

Con riferimento specifico alla CBCT, le «Raccomandazioni per l’impiego corretto delle apparecchiature TC volumetriche «Cone Beam» del maggio 2010 (tuttora applicabili) prevedono, a carico del professionista sanitario, gli obblighi:

  • di informativa al paziente in merito ai rischi e benefici connessi all’esposizione alle radiazioni ionizzanti, da rendersi in modo facilmente comprensibile e chiaro
  • di redazione di una relazione clinica a motivazione dell’esame, contenente le informazioni riguardanti la giustificazione della pratica nel caso concreto (cd. principio di appropriatezza) e l’indicazione della dose che verrà somministrata
  • di preventiva acquisizione del consenso informato scritto del paziente all’esame mediante utilizzo di radiazioni ionizzanti (sul punto, si veda anche l’art. 165 del D.Lgs. 101/2020: “il medico specialista informa il paziente sui rischi radiologici connessi con la procedura e si assicura che il documento di consenso sia esplicito rispetto a tali rischi“).

Cosa deve intendersi per giustificazione dell’esame?

Ma torniamo al caso in commento.

La violazione contestata all’odontoiatra è relativa, in particolare, alla mancata ottemperanza del professionista agli obblighi di giustificazione ed ottimizzazione delle procedure, previsti dagli artt. 157 e 158 del D.Lgs. n. 101/2020 (speculari agli artt. 3 e 4 dell’abrogato D.Lgs. 187/2000).

Il principio di giustificazione si basa essenzialmente sul bilancio costi/benefici: il beneficio diagnostico o terapeutico dell’esposizione alle radiazioni (anche solo potenziale) deve essere superiore al costo biologico che il paziente paga sottoponendosi all’esame.

In particolare, nel caso in commento, secondo la Cassazione l’esposizione dei pazienti alla TAC “Cone Beam” non poteva essere considerata “giustificata”, in quanto gli esami non erano da considerarsi “contestuali, integrati e indilazionabili” rispetto all’espletamento della connessa procedura specialistica.

Il punto di vista dell’odontoiatra

Secondo l’odontoiatra, invece, l’utilizzo dell’apparecchiatura diagnostica era da ritenersi corretto e giustificato. In particolare:

  • ciascuno dei 25 pazienti interessati era stato sottoposto all’uso della Cone Beam per fini diagnostici in materia odontoiatrica, posto che l’esito dell’esame in questione era fondamentale per conoscere le condizioni in cui si trovava il paziente e l’applicabilità di un determinato piano terapeutico, non potendosi prescindere da un’accurata analisi delle condizioni della struttura ossea della bocca, prima di valutare l’entità e la fattibilità di un intervento implantologico
  • la ratio della normativa in materia è volta non solo a limitare la sottoposizione dei pazienti alle radiazioni ionizzanti, ma anche e soprattutto ad evitare che la struttura medica in possesso di un apparecchio radio-diagnostico possa pensare di sostituirsi ai centri radiodiagnostici specializzati
  • pertanto, i requisiti di contestualità, integrazione e indilazionabilità dell’attività diagnostica complementare non ricorrono qualora un soggetto di rechi da un odontoiatra solo al fine dell’effettuazione dell’esame; diversamente, tali requisiti ricorrono sempre quando il paziente si rechi presso lo studio specialistico per ottenere un trattamento terapeutico per curare una propria affezione ed effettuare l’esame diagnostico sia necessario per il medico al fine di poter elaborare un piano terapeutico preciso ed individualizzato, anche qualora il paziente decida poi di non sottoporsi all’intervento proposto dallo specialista.

Contestualità, integrazione ed indilazionabilità del trattamento secondo la Cassazione

Secondo la Cassazione, le argomentazioni del medico non sono convincenti. Infatti, i requisiti di contestualità, integrazione ed indilazionabilità dell’esame diagnostico non sono in re ipsa, ma devono sempre essere esaminati in un’ottica di giustificazione dell’esame diagnostico.

“Possono … ritenersi giustificate ed ammesse solo quelle pratiche complementari che, per la loro caratteristica di poter costituire un valido ausilio diretto ed immediato per lo specialista, presentino il requisito sia funzionale che temporale di essere “contestuali”, “integrate” ed “indilazionabili” rispetto allo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina.”

Come devo, dunque, essere interpretati questi requisiti?

Per “contestuale” si deve intendere tutto quello che avviene nell’ambito della prestazione stessa ed è ad essa rapportabile.

Il requisito della “contestualità” attiene

  • sia l’ambito temporale in cui si sviluppa la prestazione strumentale specialistica
  • sia all’ambito funzionale necessario al soddisfacimento delle finalità della stessa prestazione specialistica,

in quanto l’esame deve essere “in grado di apportare elementi di miglioramento o arricchimento conoscitivo, utili a completare e/o a migliorare lo svolgimento dello stesso intervento specialistico di carattere strumentale”.

Ulteriore requisito richiesto per legittimare l’esecuzione di accertamenti radiodiagnostici complementari è l’indilazionabilità:

“la pratica complementare, per risultare utile ed efficace, deve risultare funzionalmente non dilazionabile in tempi successivi rispetto all’esigenza di costituire un ausilio diretto ed immediato al medico specialista o all’odontoiatra per l’espletamento della procedura specialistica stessa”.

La soluzione nel caso concreto

Alla luce di quanto precede, la sottoposizione dei pazienti alle radiazioni ionizzanti da parte dell’odontoiatra in questione è stata valutata in contrasto con le condizioni espressamente poste dalla normativa di riferimento o, “come altrettanto efficacemente ha evidenziato il giudice di merito, interpretando in modo esageratamente estensivo i requisiti stessi,

<<atteso che pur potendo in astratto riconoscersi la sussistenza del requisito della “integrazione” dell’attività radiodiagnostica complementare svolta, nel caso di specie difettavano sicuramente i requisiti della contestualità e della indilazionabilità (come dimostrato dalla circostanza che su 25 pazienti, 12 di essi, pur essendo stati sottoposti all’esame, non avevano poi effettuato alcun trattamento odontoiatrico), mentre la restante parte si era sottoposta a talune prestazioni, ma non contestualmente alla sottoposizione alle radiazioni ionizzanti.>>”

Alla luce di quanto precede, il ricorso è stato rigettato e l’odontoiatra condannato alla rifusione delle spese di giudizio.

Risulta evidente come, al fine dell’utilizzo della tecnica «Cone Beam», sia richiesta un’attenta analisi dei suoi vantaggi e limitazioni, non potendo in nessun caso essere minimizzati i rischi di esposizione alle radiazioni ionizzanti prodotti da tali sistemi, prendendo erroneamente a presupposto che la dose da essi impartita possa essere considerata trascurabile. Nei principi che stanno alla base della radioprotezione, infatti, nessuna dose è di per sé trascurabile, in quanto per ogni esposizione sussiste sempre il rischio di possibili lesioni.

Se siete interessati ad approfondire gli aspetti sopra indicati e le caratteristiche che devono avere l’informativa ed il consenso informato del paziente, trovate i miei riferimenti di contatto nella sezione “Contatti” del blog.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 36820 del 29 settembre 2022