Danni a seguito di sperimentazione clinica: chi risponde nei confronti del paziente?

La casa farmaceutica, promotrice di una sperimentazione clinica, può essere chiamata a rispondere – a titolo contrattuale – dei danni sofferti dai pazienti arruolati a causa di un errore dei medici sperimentatori, soltanto ove risulti, sulla base dell’accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della stessa casa farmaceutica.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Corte di Cassazione (n. 10348 del 10 aprile 2021) in tema di responsabilità per i danni causati ai pazienti a seguito di sperimentazione clinica.

 

Il caso

Una signora affetta da carcinoma mammario, dopo essere stata trattata con intervento chirurgico di asportazione parziale e con terapia chemioterapica, viene invitata da due medici operanti nel Policlinico ove viene curata a partecipare alla sperimentazione di un nuovo farmaco.

Dopo alcuni mesi alla paziente viene diagnosticato uno scompenso cardiaco dovuto a patologia cardiovascolare e la cura sperimentale viene sospesa. Ritenendo le problematiche cardio-circolatorie conseguenza diretta della somministrazione del farmaco oggetto di sperimentazione (essendo indicate come possibile effetto collaterale del farmaco sperimentale anche nel modulo di consenso informato), la paziente conviene in giudizio il Policlinico presso cui è in cura e la società farmaceutica che ha fornito il farmaco sperimentale, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale accoglie la domanda della paziente; la Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado. Secondo quest’ultima, la responsabilità dell’Azienda ospedaliera e della società farmaceutica era da ravvisare «non tanto e, comunque, non solo nella inadeguatezza delle informazioni somministrate (alla paziente, in ordine ai rischi del farmaco, N.d.R.) prima della sottoposizione al programma sperimentale», quanto invece nella «inadeguata valutazione della ben maggiore incidenza del rischio di insorgenza di gravi patologie cardiologiche» conseguente alla somministrazione di quel farmaco «in pazienti già affetti da cardiopatie e già sottoposti a chemioterapia con antibiotici antraciclinici». Gli appellanti si erano concentrati sul punto della corretta e completa informazione fornita alla paziente in ordine ai possibili effetti cardiotossici del farmaco, ma non avevano in alcun modo superato l’argomentazione – mossa loro dal Tribunale – dell’errata valutazione del rapporto costi-benefici ai fini del reclutamento della paziente nel programma sperimentale.

Vediamo qual è l’esito della valutazione della Corte di Cassazione.

 

Come va inquadrata l’attività di sperimentazione dell’azienda farmaceutica?

Secondo le Corti di merito, nel caso specifico, la responsabilità dell’azienda farmaceutica promotrice del programma sperimentale di cura, «attraverso un protocollo attuato da medici indicati come sperimentatori delegati», non va inquadrata tanto nello schema dell’attività pericolosa ex art. 2050 c.c. (sul punto, vedi anche il mio precedente post “Effetti indesiderati rari del farmaco: quando l’azienda farmaceutica risponde dei danni?”) bensì come responsabilità di natura contrattuale, in forza di un «contatto sociale» tra l’azienda stessa ed i pazienti.

In conseguenza di tale impostazione l’azienda farmaceutica è dunque chiamata a rispondere degli eventuali danni sofferti dai pazienti nel contesto delle attività di sperimentazione, anche qualora gli stessi siano conseguenza di errori commessi dai medici del centro sperimentale, posto che sia il centro che i medici agiscono, in relazione alle attività di sperimentazione, quali “ausiliari” dell’azienda farmaceutica.

 

Il “contatto sociale qualificato”

La categoria della responsabilità da «contatto sociale» in ambito di responsabilità sanitaria è stata elaborata, a partire dalla fine degli anni ’90, per inquadrare – nell’ambito dello schema contrattuale – la responsabilità dei medici dipendenti di strutture sanitarie che, pur in assenza di un rapporto propriamente contrattuale coi pazienti, entravano in rapporto immediato con gli stessi, effettuando prestazioni in tutto sovrapponibili a quelle scaturenti da un contratto di prestazione di opera professionale; tale categoria (ora superata dalla Legge Gelli-Bianco) presuppone l’accertamento di un rapporto diretto fra due soggetti (il “contatto”, per l’appunto) che valga a far sorgere obblighi di condotta assimilabili a quelli derivanti dal contratto e che comporti una successiva valutazione in termini contrattuali dell’eventuale responsabilità conseguente alla prestazione svolta.

Nel caso in commento, l’inquadramento dell’attività sperimentale nello schema della responsabilità (contrattuale) da contatto sociale viene contestata dall’azienda farmaceutica sulla base della considerazione che:

° tra la stessa ed il paziente non si era instaurato “alcun contatto sociale qualificato”, e che

° «il ruolo della casa farmaceutica consiste nel fornire alle strutture sanitarie i farmaci, anche sperimentali, lasciando al medico ogni scelta di somministrazione e/o, in caso di cure sperimentali, di valutazione di idoneità del paziente».

In conseguenza di ciò, l’azienda non potrebbe essere chiamata a rispondere per un errore commesso dai medici in questione, bensì solo per in caso di errore proprio.

 

L’attività di sperimentazione dell’azienda farmaceutica implica “contatto sociale” col paziente?

Secondo la Cassazione, il ricorso dell’azienda farmaceutica è, sotto il profilo appena visto, fondato.

Va infatti esclusa, nel caso in commento, la possibilità di fondare la responsabilità contrattuale della casa farmaceutica su un preteso “contatto sociale”, posto che è pacifico che la paziente ha avuto rapporti diretti soltanto con i sanitari dell’Azienda Ospedaliera.

“L’affermazione di una responsabilità (non “da contatto”, ma propriamente) contrattuale può pertanto conseguire soltanto all’accertamento dell’assunzione, da parte della (azienda farmaceutica, N.d.R.), di un’obbligazione nei confronti della (paziente, N.d.R.) a seguito del suo reclutamento nel programma sperimentale; e ciò sia direttamente che indirettamente e, in questo secondo caso, a condizione che tale reclutamento risulti riferibile (oltreché alla struttura ospedaliera) anche alla casa farmaceutica, in modo che l’inadempimento individuato a carico dei sanitari (quale quello evidenziato dalla Corte territoriale) risulti imputabile anche alla società farmaceutica a norma dell’art. 1228 c.c..”

La Corte di Appello, invece, non si era preoccupata di accertare il contenuto concreto del contratto intercorso fra l’Azienda Farmaceutica e l’Ospedale e, in particolare, se quest’ultimo consentisse di qualificare i medici sperimentatori come ausiliari (non solo dell’Ospedale, ma anche) della casa farmaceutica, di cui quest’ultima si avvalesse nell’adempimento di un’obbligazione assunta nei confronti dei pazienti.

Secondo la Cassazione, un “rapporto di ausiliarietà” fra medici sperimentatori e casa farmaceutica non può essere presunto per il solo fatto che quest’ultima sia promotrice della sperimentazione, né che abbia interesse ad ottenere i risultati della sperimentazione,

“dovendosi accertare in concreto, in base alla concreta conformazione della convenzione di sperimentazione fra la casa farmaceutica produttrice del farmaco e la struttura ospedaliera nel cui ambito si è svolta la sperimentazione (mediante la somministrazione del farmaco ai pazienti), se vi sia stata partecipazione -anche mediata- della casa farmaceutica al reclutamento e alla gestione dei pazienti sottoposti alla cura sperimentale”,

tale da consentire di qualificare la struttura ospedaliera e i medici “sperimentatori” come ausiliari della prima.

 

L’inquadramento dell’eventuale responsabilità del promotore della sperimentazione nei confronti del paziente

Né la normativa in tema di sperimentazioni (e, in particolare, il D.Lgs. 211/2003) scioglie il nodo della qualificazione del rapporto fra il promotore della sperimentazione e il paziente partecipante allo studio.

Secondo la Cassazione, l’inquadramento dell’eventuale responsabilità del promotore della sperimentazione nei confronti del soggetto che vi si sia sottoposto comporta la necessità di verificare – caso per caso – se la sperimentazione sia stata demandata integralmente allo sperimentatore, oppure se il promotore abbia conservato una gestione della stessa che consenta, per i suoi concreti contenuti, di imputargli direttamente o indirettamente (per il tramite dell’attività svolta dai medici) anche i danni conseguenti ad errori verificatisi nella fase di esecuzione (come quello conseguente ad errori nel reclutamento dei pazienti).

Per concludere,

“Deve dunque affermarsi… che la casa farmaceutica che abbia promosso, mediante la fornitura di un farmaco, una sperimentazione clinica – eseguita da una struttura sanitaria a mezzo dei propri medici – può essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale dei danni sofferti dai soggetti cui sia stato somministrato il farmaco, a causa di un errore dei medici “sperimentatori”, soltanto ove risulti, sulla base della concreta conformazione dell’accordo di sperimentazione, che la struttura ospedaliera e i suoi dipendenti abbiano agito quali ausiliari della casa farmaceutica, sì che la stessa debba rispondere del loro inadempimento (o inesatto adempimento) ai sensi dell’art. 1228 c.c.; in difetto, a carico della casa farmaceutica risulta predicabile soltanto una responsabilità extracontrattuale (ai sensi dell’artt. 2050 c.c. o, eventualmente, dell’art. 2043 c.c.), da accertarsi secondo le regole proprie della stessa.”

Sulla base di quanto precede, il ricorso dell’Azienda farmaceutica è stato accolto ed il caso rinviato ad altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà rivalutarlo sulla base dei principi sopra individuati.

 

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LEGGI LA SENTENZA

Cass. Civ., Sez. III, n. 10348 del 10 aprile 2021