Dattiloscritto, verbale o manoscritto? La forma del consenso informato

In tema di consenso informato, è ben possibile che una prova del consenso sia data mediante indizi, quando realmente, in un certo momento temporalmente definito, c’è stata effettiva richiesta ed effettiva percezione del consenso.

Di conseguenza è valido un modulo di espressione del consenso in parte dattiloscritto ed in parte manoscritto qualora, considerate le circostanze del caso concreto, risulti che alla paziente siano state date anche verbalmente tutte le informazioni necessarie per porla nella posizione di esprimere consapevolmente il suo consenso alle cure proposte.

Oggi torniamo su un tema a me caro con una pronuncia della Corte di Cassazione (la n. 32124 del 10 dicembre 2019) concernente la forma del consenso informato.

Il caso

Una signora, già sottoposta a trapianto di rene, viene sottoposta dopo alcuni mesi ad ulteriore intervento di rimozione di “una voluminosa ernia discale calcificata dorsale”.

Seguono complicanze e la contrazione di un’infezione da aspergillo, quindi altri due interventi d’urgenza, con esito negativo. Dopo una lunghissima degenza ed un ulteriore intervento per cercare di stabilizzare la patologia, la paziente decede.

Gli eredi agiscono dunque contro l’Azienda Ospedaliera ove la paziente era ricoverata e contro il medico che l’aveva operata contestando, in particolare, l’inidoneità del consenso dato dalla paziente all’esecuzione degli interventi.

Il Tribunale accoglie le domande di risarcimento dei danni; la Corte d’Appello sovverte invece il giudizio di primo grado, ritenendo idoneo il consenso prestato dalla paziente. Oggi esaminiamo l’esito del ricorso in Cassazione.

Il consenso deve essere libero ed informato

Come noto, il consenso libero e informato del paziente è volto a garantire la libertà di autodeterminazione terapeutica dello stesso, consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare – in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale – la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla.

Ma quale contenuto deve avere l’informazione data al paziente in funzione del consenso e, soprattutto, quale forma deve avere il consenso per essere espresso validamente?

L’informazione data al paziente deve essere completa

L’informazione deve innanzitutto concernere la natura dell’intervento, i suoi rischi, la portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni verificabili.

Ma l’informazione non deve concernere solo la possibilità di esito negativo dell’intervento e di aggravamento delle condizioni di salute del paziente in conseguenza dell’esecuzione del trattamento. Il paziente deve infatti essere informato anche in merito ad

“un possibile esito di mera “inalterazione” delle (sue condizioni) (e cioè del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista è tenuto, e che il paziente può legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale) e pertanto della relativa sostanziale inutilità”,

con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico (spese, sofferenze, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire nuovi interventi ecc.) che ne possono derivare. A fronte dell’allegazione da parte del paziente di inadempimento dei suddetti obblighi,

“è onere della struttura e del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze”.

Per approfondimenti, vedi anche il mio precedente post “Consenso informato (parte seconda): l’estensione dell’obbligo informativo”.

Anche l’acquisizione del consenso con modalità improprie ne esclude la regolarità

La Corte evidenzia poi come la struttura e il medico vengano in effetti meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omettano del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisiscano con modalità improprie il consenso.

Ma quando il consenso è “acquisito impropriamente”? Si è ritenuto inidoneo un consenso:

 

E’ valido Il consenso acquisito solo verbalmente?

Con riferimento al consenso acquisito verbalmente, la Cassazione ha peraltro più volte ribadito in passato che la relativa idoneità non deve essere aprioristicamente esclusa in termini assoluti, dovendo piuttosto valutarsi le modalità del caso concreto (vedi, recentemente, Cass. Civ. n. 10325 del 10 aprile 2018):

In presenza di riscontrata (sulla base di documentazione, testimonianze, circostanze di fatto) prassi consistita in (plurimi) precedenti incontri tra medico e paziente con (ripetuti) colloqui in ordine alla patologia, all’intervento da effettuarsi e alle possibili complicazioni si è invero ritenuto idoneamente assolto dal medico e/o dalla struttura l’obbligo di informazione e dal paziente corrispondentemente prestato un pieno e valido consenso informato al riguardo, pur se solo oralmente formulato.

L’impostazione è confermata anche da una recente sentenza del Tribunale di Roma (la n. 1856 del 28 gennaio 2020) in tema di consenso informato in ambito odontoiatrico, secondo la quale

Ovviamente la documentazione scritta non rappresenta l’unico mezzo che debba (anteriormente almeno alla legge 217/2017) dar prova della comunicazione al paziente di un’informazione completa, aggiornata ed a lui comprensibile ben potendo – in relazione ai connotati della vicenda – procedersi a informare il paziente con indicazioni a voce purché corrispondenti ai requisiti sopra menzionati Deve, quindi, escludersi che possa competere all’attore un qualsivoglia risarcimento per la violazione del protocollo di acquisizione del consenso informato, potendo viepiù ritenersi che i rapporti tra l’attore e il dott. … al tempo dei fatti e l’entità routinaria delle attività di cure non necessitassero della necessaria documentazione del consenso acquisito in forma scritta, non essendosi conseguite dalle pratiche di cure e interventistiche alcuna conseguenza imprevedibile o inattesa”.

Ma attenzione: ricordiamo che l’Art. 1 Legge 22.12.2017, n. 219 ha stabilito che “Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, deve essere documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Pertanto, ora ed in futuro, la documentazione scritta o videoregistrata del consenso dovrà essere la regola.

 

La soluzione nel caso concreto

Nel caso in commento, la Corte di Cassazione confermato la correttezza dell’impostazione adottata dalla Corte d’Appello e dunque l’avvenuta e corretta acquisizione del consenso della paziente all’intervento, considerando che:

  • un mese e mezzo prima dell’operazione il medico convenuto si era recato presso lo studio del primario del reparto di radiodiagnostica, anch’esso dipendente dello stesso ente ospedaliero e cognato della paziente ove, alla presenza di quest’ultima, era stato informato della sua storia ed obiettività clinica;
  • erano seguiti altri due incontri, sempre nello studio del citato primario, nel corso dei quali il medico convenuto, alla presenza dei parenti della paziente, aveva valutato le patologie della stessa, la necessità di procedere all’intervento ed i rischi connessi, incluse le eventuali complicanze e possibili infezioni;
  • il primario del reparto di radiodiagnostica era stato presente anche all’intervento chirurgico.

Non basta. È stato provato che la paziente aveva sottoscritto un modulo di consenso informato nel quale, tra l’altro, si leggeva: “… dichiaro di essere a conoscenza che le mie condizioni generali mi espongono alle seguenti complicanze aggiuntive: emorragia intra e post-operatorie, deficit sensitivo/motorio agli arti inferiori, disturbi post-operatori, infezioni post-operatorie” etc..

Mentre la prima parte del modulo era dattiloscritta, le parole da “emorragia” ad “infezioni post-operatorie” erano manoscritte. Secondo la Cassazione, il modulo appare l’approdo di un percorso seguito negli incontri medico-paziente e proprio le aggiunte manoscritte, puntualmente riferite alla situazione della paziente, rendono irrilevanti le ulteriori contestazioni sul relativo contenuto, al riguardo ulteriormente osservando:

è ben vero che, secondo l’insegnamento della Suprema Corte non è ammissibile un consenso presunto, tacito o per facta concludentia, tuttavia, come pure ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, è ben possibile una prova mediante indizi del consenso prestato quando realmente in un certo momento temporalmente definito c’è stata effettiva richiesta ed effettiva percezione del consenso.

Anche tenuto conto il supporto diretto dato alla paziente da un professionista sanitario – il citato primario di radiodiagnostica – è stata ritenuta innegabile l’adeguatezza dell’informazione e il corretto adempimento della relativa obbligazione gravante sui sanitari.

Sulla base di quanto precede, la Corte ha rigettato il ricorso degli eredi della paziente, compensando le spese del giudizio di cassazione.

Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!

Nel frattempo, resta collegato e iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.

A PRESTO!

 

LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 32124 del 10 dicembre 2019