La (dis)organizzazione aziendale non può costituire un’esimente per i danni causati ai pazienti

La mancanza di mezzi o di personale qualificato della struttura sanitaria, lungi dal costituire una esimente di responsabilità, può integrare una tipica ipotesi di inadempimento dal momento che, per dare la prova liberatoria, la struttura deve dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, la quale non può evidentemente essere costituita da una colpevole deficienza organizzativa.

Oggi vi segnalo una interessante ordinanza della Cassazione Civile (n. 11224 del 26 aprile 2024) di particolare interesse sotto il profilo del rilievo esimente (o meno) delle eventuali carenze dell’organizzazione aziendale.

Il caso

Una signora si reca in Pronto Soccorso lamentando dolore toracico, lacerante e lancinante, forte sudorazione e ipertensione arteriosa. La paziente viene sottoposta a consulenza cardiologica, ECG ed a prelievo per dosaggio di enzimi cardiaci, risultato negativo. Nell’attesa della rinnovazione di tale esame (da ripetere, secondo protocollo, dopo quattro ore), viene formulata una prima diagnosi di natura gastrica del dolore e la paziente viene spostata in medicheria.

Durante questo lasso di tempo, la paziente riferisce alla sorella di avvertire ancora dolori allo sterno, per quanto più sopportabili, probabilmente a causa della somministrazione di fiale di Toradol.

Ripetuto il test del dosaggio degli enzimi cardiaci, lo stesso dà nuovamente esito negativo, per quanto i dolori tornino ad aumentare.

Durante la notte – dopo circa 7 ore di attesa – la paziente ha un malore e viene sottoposta a tentativi di rianimazione, ma decede da lì a poco. Nel certificato di morte, viene individuata come causa del decesso “aneurisma disseccante aorta, emopericardio, arresto cardiaco”.

Viene presentata denuncia penale e svolta causa civile per il risarcimento dei danni.

Il Tribunale accoglie le domande dei figli; la Corte d’Appello riforma però integralmente la decisione di primo grado, ritenendo corretta la condotta dei medici e rigettando la richiesta di risarcimento.

I motivi della decisione di secondo grado

La Corte d’Appello, sulla scorta della consulenza tecnica d’ufficio già espletata in primo grado, ha rigettato le richieste dei figli della paziente sulla base di due elementi principali.

Innanzitutto i Giudici d’appello, preso atto della quasi totale assenza di documentazione clinica prodotta in giudizio (costituita unicamente dalla consulenza cardiologica assunta in Pronto Soccorso e dal certificato di morte), hanno valorizzato negativamente (vale a dire a danno dei figli superstiti della paziente) tale mancanza, ritenendo che la “evidente carenza della cartella clinica” e la “mancanza di un referto necroscopico certo e inoppugnabile” rendessero la causa del decesso della paziente incerta e, dunque, non raggiunta la prova della domanda di condanna al risarcimento del danno.

In altri termini, la carenza della documentazione clinica, lungi dall’essere considerata penalizzante nella valutazione della diligenza di struttura e medici, è stata valorizzata dalla Corte per escludere qualsiasi negligenza o imperizia di questi ultimi, reputando incensurabile nel merito la condotta attendista tenuta dagli stessi.

In secondo luogo, secondo la Corte d’Appello, nel caso in commento non vi fu il tempo materiale (essendo tarda notte) “di sottoporre la paziente ad esami strumentali non certo di routine, quali la TC o la RM (probabilmente nemmeno disponibili in un presidio ospedaliero di secondaria importanza come quello di …)” o ad ecocardiografia esofagea, richiedente “personale altamente qualificato e collaborazione da parte del paziente”,… “ tantomeno, ottenutane una chiara indicazione per l’intervento chirurgico d’urgenza…,  sarebbe stato materialmente possibile organizzare un’equipe di cardio-chirurghi adeguatamente specializzati, con relativa assistenza di anestesisti-rianimatori e personale di sala chirurgica, difficilmente disponibile in un Ospedale secondario come quello di …”.

Anche qui, le carenze della struttura, lungi dall’essere considerate penalizzanti nella valutazione della condotta e dell’organizzazione della stessa, sono state valorizzate in un’ottica dirimente della responsabilità.

Vediamo qual è l’esito della valutazione della Cassazione a seguito del ricorso dei figli della paziente.

L’incompletezza della documentazione clinica non paga

In merito alla valutazione delle carenze della cartella clinica e della lacunosità della documentazione sanitaria, che aveva di fatto reso impossibile la ricostruzione dell’evoluzione clinica della patologia, nonché delle attività diagnostiche, strumentali e cliniche svolte dai sanitari dall’entrata della paziente in Pronto Soccorso al momento del suo decesso, e che aveva reso incerta la stessa individuazione della causa precisa della morte, la Cassazione rileva l’errore di diritto incorso dalla Corte d’appello.

L’errore, nel dettaglio, consiste nel non aver tenuto conto di tale palese carenza nella formulazione del giudizio di responsabilità (od irresponsabilità) della struttura sanitaria.

È del tutto evidente che le notizie, normalmente desumibili dalla cartella clinica (sulla evoluzione della patologia, sull’attività diagnostica, clinica e strumentale espletata dai sanitari e, soprattutto, sulla causa del decesso del paziente) sono fondamentali per la formulazione del giudizio sulla sussistenza del nesso causale tra il decesso e l’ipotizzata negligenza o imperizia dei medici, soprattutto in fattispecie, come quella in esame, in cui la stessa patologia ipotizzata e formalmente certificata (ma non sostanzialmente accertata) nell’atto necroscopico, può assumere una duplice tipologia, l’una trattabile chirurgicamente, l’altra trattabile farmacologicamente, con diverse probabilità di successo nelle due ipotesi.

Nel caso in commento, dice la Cassazione, è stato violato il principio secondo cui l’inadempimento dell’obbligo di corretta e tempestiva compilazione e tenuta della documentazione sanitaria acquisibile presso la struttura non può ritorcersi a danno del paziente; infatti

in tema di responsabilità medica, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione (ex multis, Cass. n.12218/2015; Cass. n. 27561/2017; Cass. n. 26248/2020)”.

Ritenere eventuali mancanze nella corretta compilazione e tenuta della documentazione clinica irrilevanti o, ancora peggio, dirimenti dell’eventuale responsabilità medica finirebbe per premiare condotte professionali negligenti a danno di pazienti (ed eredi) dalle stesse gravemente danneggiati.

Per approfondimenti, vedi i miei post nella sezione dedicata alla documentazione clinica.

La deficienza organizzativa della struttura non può costituire una causa esimente della sua responsabilità

In secondo luogo, gli eredi contestano l’omesso esame del fatto che, durante tutta la permanenza nel Pronto Soccorso, la paziente aveva continuato ad avvertire il forte dolore toracico (solo mitigato dalla somministrazione di potenti antidolorifici), circostanza che avrebbe dovuto immediatamente far sorgere nei sanitari il sospetto di dissezione dell’aorta, anticipando le relative indagini strumentali, senza attendere l’esito della ripetizione degli esami enzimatici.

Secondo la Cassazione, il motivo di ricorso coglie nel segno.

La Corte d’Appello, infatti, è incorsa in un errore di giudizio, oltre che in omesso esame di fatto decisivo e discusso, nel momento in cui ha ritenuto che, anche ammettendo un tempestivo approccio al percorso diagnostico strumentale finalizzato all’accertamento della (eventuale) patologia aortica, tale percorso avrebbe comportato la necessità di eseguire esami “non certo di routine”, i quali non sarebbero stati “probabilmente nemmeno disponibili in un presidio ospedaliero di secondaria importanza”.

Queste argomentazioni, per la Cassazione, sono illegittime per molteplici ragioni:

  • in primo luogo, perché non tengono conto della circostanza che, alla stregua delle osservazioni formulate dai periti del Tribunale, la diagnosi di dissezione dell’aorta, sebbene conseguibile con maggiore certezza con esami effettivamente complessi ed invasivi (quali la ecocardiografia transesofagea e l’angio-TAC), avrebbe tuttavia potuto essere formulata anche sulla base di accertamenti ordinari, quali l’ecocardiogramma o la RX del torace;
  • in secondo luogo, perché il rilievo circa la mancanza di mezzi e di personale è stato formulato sulla base di una mera congettura, in difetto di allegazioni delle parti;
  • in terzo luogo, perché

“la mancanza di mezzi o di personale qualificato della struttura sanitaria, lungi dal costituire una esimente di responsabilità, può integrare una tipica ipotesi di inadempimento, dal momento che, per dare la prova liberatoria, la struttura deve dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, la quale non può evidentemente essere costituita da una colpevole deficienza organizzativa.”

Analoghe considerazioni valgono con riguardo all’esclusione della responsabilità della struttura in ragione della verosimile impossibilità di effettuare l’eventuale operazione chirurgica.

Dato atto che il trattamento chirurgico (complesso, ma con una rilevante probabilità di riuscita, con sopravvivenza valutata nel 75% dei pazienti sottoposti) sarebbe stato necessario solo in presenza di un certo tipo di dissezione aortica, che altrimenti avrebbe potuto essere trattata con successo con terapia farmacologica, la Corte di merito avrebbe dovuto chiedersi se, nell’ipotesi in cui i sanitari dell’Ospedale, anziché attendere passivamente l’esito degli esami enzimatici, avessero tempestivamente indagato anche le eventuali cause alternative dei suoi sintomi, anche mediante esami strumentali routinari (RX o ecocardiogramma) la sussistenza della dissezione aortica in atto,

“il problema della mancanza di mezzi e uomini per l’eventuale (ma non necessariamente richiesto) trattamento chirurgico, ove pure esistente, sarebbe stato o meno superabile con il tempestivo trasferimento della paziente.”

Per concludere

Alla luce di quanto precede, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso degli eredi della paziente e rinviato la causa alla Corte d’Appello di provenienza, in diversa composizione, per un nuovo giudizio basato sui principi sopra illustrati.

Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento.

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A presto!

LEGGI IL DOCUMENTO

Cassazione Civile, Sez. III, n. 11224 del 26 aprile 2024