Neurologo non responsabile per l’omesso intervento se il paziente aveva poche possibilità di sopravvivere

Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione dell’atto medico doveroso ed evento lesivo per il paziente non può ritenersi sussistente sulla base della sola probabilità statistica di accadimento dell’evento, fondata su generalizzazioni scientifiche, ma deve essere verificato sulla base della caratterizzazione del fatto storico e delle particolarità del caso concreto

Questa settimana vi segnalo una sentenza della Cassazione Penale (n. 12353 del 17 aprile 2020) concernente la valutazione del nesso di causa tra omissione di interventi dovuti dal medico ed esiti lesivi sofferti dal paziente.

Il caso

Una paziente viene sottoposta a TAC presso un Policlinico Universitario, dalla quale emerge una situazione gravissima di idrocefalo triventricolare, tale da richiedere un intervento immediato. La paziente viene inviata d’urgenza presso il reparto di neurologia di altro nosocomio, ma qui il medico di guardia omette di sottoporla urgentemente ad intervento di derivazione liquorale esterna, volto a ridurre la pressione intracranica mediante la fuoriuscita del liquido cefalorachidiano dal cranio. Ne segue il danneggiamento grave ed irreversibile del cervello della paziente ed il decesso della stessa.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello riconoscono il medico responsabile del reato di omicidio colposo della paziente a causa dell’omissione del dovuto intervento.

Oggi vediamo qual è l’esito dell’esame della Cassazione.

Il motivo principale di ricorso del medico

Il motivo principale di ricorso in Cassazione del medico concerne il nesso causale tra l’omissione di un atto medico e l’evento lesivo sofferto dal paziente.

In sintesi, il medico lamenta che le Corti di merito non avrebbero adeguatamente valorizzato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio, in cui i consulenti avevano ritenuto

“altamente improbabile che se anche l’intervento… fosse stato eseguito immediatamente presso l’ospedale civico… la paziente si sarebbe salvata”.

Più precisamente, i periti erano giunti alla conclusione che

“Con un quadro così drammatico di idrocefalo, se non lo operi nelle prime due ore, il paziente è destinato ad andare male” (rectius: morire)… “però parlare di percentuale è difficile, ma credo all’80, 90 per cento sarebbe andato male, comunque” (così l’esame di uno dei componenti del Collegio).

Il Tribunale e la Corte d’Appello, per contro, avevano dato preminentemente valore a tutta una serie elementi (la giovane età della paziente – 29 anni -, il fatto che la stessa non soffrisse di altre patologie, la relativa semplicità dell’intervento da eseguire e la consapevolezza del medico di dover intervenire senza ritardo) senz’altro ad alto impatto emotivo, ma non avevano proceduto alla corretta formulazione del problema causale, al fine di stabilire se un intervento tempestivo del medico avrebbe potuto effettivamente scongiurare l’esito infausto del decesso della paziente.

I principi in tema di nesso causale per i reati omissivi impropri

La Corte di Cassazione ripercorre innanzitutto i principi in materia di accertamento del nesso di causalità nel reato omissivo improprio.

È “causa” di un evento quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa).

Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale (cioè contro i fatti), sulla base del quale si fonda la teoria della causalità accolta dal nostro Codice Penale.

Ma cos’è il giudizio controfattuale?

Si tratta dell’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe comunque verificata, oppure no, la medesima conseguenza (nel nostro caso, il decesso del paziente). Se la risposta fosse positiva, la condotta in questione sarebbe ininfluente in un’ottica causale, non costituendo causa (necessaria) dell’evento.

Per fare questa operazione, è innanzitutto necessario:

  • ricostruire con precisione tutta la sequenza dei fatti che hanno condotto all’evento
  • valutare quale sia la condotta (in questo caso, l’omissione) rilevante dell’agente (medico), e se si tratti di un atto dovuto
  • ipotizzando come realizzata quella condotta, valutare se l’evento lesivo (morte o comunque danno al paziente) sarebbe stato evitato o differito.

“Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”.

Ma attenzione: per la conferma dell’ipotesi accusatoria, la probabilità di accadimento dell’evento non andrà valutata solo sulla base di leggi statistiche, ma sarà necessario “verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile”, al fine di escludere l’interferenza di fattori causali alternativi.

La conclusione è dunque che

“Sussiste… il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa”.

In mancanza di un “alto grado di credibilità razionale” di collegamento tra omissione ed evento, sussisterà dunque quel “ragionevole dubbio” sufficiente a neutralizzare l’ipotesi accusatoria.

La soluzione nel caso in commento

Secondo la Corte di Cassazione, la Corte d’Appello non ha applicato correttamente i principi in materia.

Pur accertato che il medico in questione aveva probabilmente sottovalutato o mal giudicato la situazione in cui si trovava la paziente, nonché la palese erroneità della sua condotta attendista, i periti hanno accertato che le lesioni neurologiche sofferte dalla paziente erano già irreversibili quando la stessa giunse alla sua attenzione e, anche qualora fosse stata praticata un’appropriata terapia medica, la stessa sarebbe stata «probabilmente poco efficace».

Sarebbe dunque stato «altamente improbabile che se anche l’intervento di derivazione ventricolare esterna fosse stato eseguito immediatamente presso l’ospedale civico dopo oltre 6 ore di una così grave e drammatica ipertensione endocranica, la paziente si sarebbe salvata».

Sul piano scientifico, mancava un’“alta probabilità logica – fondata su evidenze scientifiche e sui dati indiziari del caso concreto – che l’esecuzione dell’atto dovuto dal sanitario avrebbe potuto salvare la vita della paziente: mancava dunque la connessione causale tra omissione del medico ed evento (decesso) della paziente.

Sulla base di quanto precede, la sentenza di condanna è stata annullata senza rinvio, agli effetti penali, per intervenuta prescrizione, con rinvio al giudice civile anche al fine della quantificazione delle spese del giudizio di legittimità.

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Cassazione Penale, Sez. IV, n. 12353 del 17 aprile 2020

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