Infezioni nosocomiali: la struttura sanitaria è sempre responsabile?

Posto che l’infezione si è manifestata durante l’intervento, ergo la struttura sanitaria ne risponde.

Questo ragionamento, secondo la Cassazione, è sillogisticamente incompiuto: manca la premessa minore, che consente di attribuire alla struttura la responsabilità di quella infezione o della sua mancata cura, ossia non si dice perché, su che basi, la struttura sanitaria risponde di una infezione non propagatasi dal suo ambiente, ma per batteri già presenti nel paziente.

Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Cassazione Civile (n. 17889 del 2 luglio 2025) in tema di infezioni nosocomiali ed imputabilità del relativo danno alla struttura sanitaria.

Il caso

Un paziente si sottopone ad un intervento di protesizzazione del ginocchio, a seguito del quale contrae un’infezione, con postumi di natura permanente. Il paziente, la moglie ed i figli agiscono dunque in giudizio verso la casa di cura e verso l’ortopedico per ottenere il risarcimento dei danni.

Viene eseguito un accertamento tecnico preventivo, sulla base del quale il Tribunale condanna la Casa di Cura al risarcimento di Euro 224.667,20 di danni a favore del solo paziente. In particolare il Tribunale, sulla scorta della consulenza svolta in sede di accertamento tecnico preventivo, giudica correttamente eseguito l’intervento chirurgico di protesizzazione ma, avendo il paziente contratto l’infezione all’interno della casa di cura, ritiene altresì la struttura stessa responsabile per i danni derivatine.

La Corte di Appello conferma la decisione di primo grado.

Le motivazioni della sentenza del grado d’appello

La decisione dei giudici di appello si basa sulle evidenze dell’accertamento tecnico preventivo e valorizza i seguenti passaggi:

  • i danni subiti dal paziente non potevano essere ricondotti all’intervento di artroprotesi al ginocchio, che era stato correttamente eseguito
  • piuttosto, i danni in questione erano riconducibili ad un’infezione locale
  • considerato il tipo di batterio individuato, ragionevolmente si poteva ritenere che l’infezione fosse di natura nosocomiale, contratta in sede intra o post-operatoria.

Sulla base di tali premesse, la Corte di Appello conferma la responsabilità della struttura sanitaria per l’infezione contratta dal paziente e la condanna della stessa al risarcimento dei danni.

La posizione della Cassazione sul caso

Sennonché, secondo la Cassazione, il ragionamento della Corte d’Appello è viziato alla base, perché i giudici di appello avrebbero frainteso la consulenza tecnica, attribuendole conclusioni opposte a quelle invece assunte.

Infatti, evidenzia la Suprema Corte, se è ben vero che il paziente aveva contratto un’infezione nosocomiale, la stessa non era però attribuibile a mancanze della struttura sanitaria o dei suoi medici.

La decisione della Corte d’Appello, pur avendoli menzionati, non ha dato adeguato peso ai seguenti elementi:

  • il consulente tecnico d’ufficio, pur ritenendo che l’infezione fosse stata contratta dal paziente durante l’operazione, ha escluso che la stessa potesse attribuirsi ad una situazione ambientale della Casa di Cura
  • la causa della infezione, piuttosto, era riconducibile ad uno stafilococco (Staphylococcus Epidermidis) verosimilmente già presente nel paziente e diffusosi durante l’operazione
  • il danno derivato al paziente non era nemmeno imputabile all’operato dei sanitari della struttura, che avevano correttamente gestito sia l’intervento chirurgico, sia la terapia antibiotica
  • l’infezione stessa era dunque da ritenersi inevitabile ed era stata comunque adeguatamente trattata dai sanitari della Casa di Cura.

Conta la causa, non l’evento di danno in sé

L’errore incorso dai giudici di appello, dice la Cassazione, consiste nell’aver basato la decisione considerando solo l’evento di danno in sé (e cioè che, nel caso in commento, si era verificata una infezione intraoperatoria), senza tenere in debito conto le relative cause (e cioè che l’infezione era dovuta a batterio già presente nel paziente) e senza tenere in alcun conto l’imputabilità (o meno) dell’evento alla struttura o ai medici (che il CTU aveva escluso):

Le premesse, come abbiamo visto, sono che il CTU ha ritenuto che l’infezione sia sorta in clinica, dovuta ad un batterio già presente nel paziente, e diffusosi durante l’operazione. Da queste premesse si deduce che allora la clinica è responsabile. Non si dice perché, ossia non si dice perché mai dal fatto che l’infezione si è sviluppata durante l’operazione, ma per un batterio già presente nel paziente, e dunque non trasmesso dall’ambiente della clinica, quest’ultima debba rispondere dell’infezione.

La motivazione è interamente e solamente quella sopra riportata ed è sillogisticamente incompiuta: posto che l’infezione si è manifestata durante l’intervento (ma per un batterio già presente nel paziente), ergo la clinica ne risponde. Manca la premessa minore, che consente di attribuire alla clinica la responsabilità di quella infezione o della sua mancata cura, ossia, non si dice perché, su che basi, la clinica risponde di una infezione non propagatasi dal suo ambiente, ma per batteri già presenti nel paziente.

Per concludere

Alla luce di quanto precede, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della struttura sanitaria e cassato la sentenza, con la conseguenza che la Corte di Appello di provenienza sarà chiamata a rivalutare integralmente l’intera questione della responsabilità della clinica alla luce dei principi sopra visti.

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LEGGI L’ORDINANZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 17889 del 2 luglio 2025