In caso di omessa informativa riguardante l’esistenza di terapie alternative, anche di natura sperimentale, grava sul paziente l’onere di dimostrare che, ove fosse stato informato in modo completo ed esaustivo, avrebbe comunque scelto una terapia diversa da quella effettivamente ricevuta.
Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Cassazione Civile (n. 25771 del 22 settembre 2025) che concerne il dovere informativo del medico in merito alle terapie sperimentali ed il perimetro dell’eventuale responsabilità medica in caso di relativa violazione.
Il caso
Un bambino, affetto da “linfoma anaplastico a grandi cellule in stadio IIE (C.48.6) con coinvolgimento delle strutture mediastiniche (high risk)”, viene curato presso una clinica universitaria austriaca.
Dopo la prima recidiva, il piccolo paziente viene curato secondo il protocollo ALCL Relapse, con somministrazione di chemioterapia e trapianto allogenico da cellule staminali, che viene presentato ai genitori come l’unica terapia possibile.
Il bimbo decede per le conseguenze delle complicanze legate al trapianto di midollo osseo; in seguito, la società gerente la clinica universitaria dove il piccolo è stato curato cita in giudizio i genitori al fine di ottenere il pagamento del corrispettivo residuo delle cure somministrate al piccolo paziente, pari all’importo di circa Euro 109.000.
I genitori contestano la richiesta di pagamento e chiedono a loro volta la condanna della clinica al risarcimento dei danni subiti per responsabilità medica e di annullamento dei contratti terapeutici conclusi con la stessa. In particolare, i genitori contestano:
- quanto alla responsabilità medica, errori nel trattamento del piccolo paziente, incluso il mancato trattamento con i farmaci “Crizotinib” o “Brentuximab Vedotin”, seppure ancora in fase sperimentale;
- l’omissione e comunque l’incompletezza delle informazioni date ai genitori in merito alle terapie disponibili, nonostante le loro ripetute e specifiche richieste in merito all’esistenza di terapie alternative in tutto il mondo, anche di natura sperimentale, alle quali il paziente avrebbe potuto avere accesso.
I genitori sostengono che, laddove correttamente informati, non avrebbero mai dato il consenso alla sottoposizione del loro figlioletto al trapianto da cellule staminali, considerato che si trattava di un trattamento altamente tossico e con alto rischio di gravi complicanze, come purtroppo verificatesi.
Le decisioni dei primi due gradi di giudizio
Il Tribunale accoglie le domande della clinica e rigetta quelle dei genitori, sulla base della considerazione che il protocollo ALCL Relapse, somministrato dalla clinica austriaca, costituiva la terapia “standard” dei casi di linfoma ALCL, con buona prognosi in circa il 50% dei casi, ed era stato somministrato correttamente. D’altra parte, il trattamento con i farmaci “Crizotinib” e “Brentuximab Vedotin” sarebbe stato su base puramente sperimentale: l’efficacia dei farmaci non era stata ancora sufficientemente dimostrata, a maggior ragione nei bambini, e i medici non erano obbligati ad informare i genitori della loro esistenza, né della possibilità di trattamento in uso cd. “off-label” dei farmaci in questione.
La Corte d’Appello, dopo aver disposto una seconda consulenza tecnica medico-legale, conferma la decisione di primo grado, soffermandosi tuttavia sulla circostanza che il trattamento secondo il protocollo ALCL Relapse era stato somministrato conformemente alle leges artis e i genitori non avevano fornito la prova che, qualora avessero ricevuto dai medici una informazione completa sulle cure potenzialmente disponibili, avrebbero rifiutato il trattamento loro raccomandato.
Protocollo terapeutico consolidato vs. opzioni sperimentali
La Corte d’Appello, con la sua decisione, tenta di dare risposta al seguente, annoso quesito: cosa è più probabile che scelgano due genitori, a fronte di una malattia potenzialmente letale per loro figlio, tra
- la somministrazione di un trattamento con promettenti farmaci sperimentali, della cui efficacia e compatibilità non esistono però ancora dati significativi, da un lato, e
- la sottoposizione ad un protocollo consolidato per il trattamento della patologia specifica, con chance di successo in relazione ad efficacia e probabilità di guarigione superiore al 50%, pur presentante rischi di importanti complicanze, dall’altro lato.
Secondo la Corte d’Appello, gli elementi raccolti e le massime d’esperienza applicabili al caso in commento fanno presumere che i genitori, se messi davanti alla suddetta scelta, avrebbero comunque scelto la seconda opzione, anziché la prima.
In mancanza di prova del fatto che, in caso di completa ed esauriente informazione, i genitori si sarebbero decisi per la terapia sperimentale, la Corte d’Appello ha dunque rigettato le domande dei genitori, incluse quelle di annullamento del contratto terapeutico per dolo o errore e di risoluzione del contratto stesso per inadempimento dell’obbligo di cura.
La decisione della Suprema Corte
Secondo la Corte di Cassazione, la decisione della Corte d’Appello è corretta e va confermata. Infatti, secondo la Cassazione, nel caso in esame il criterio di riparto dell’onere della prova è stato applicato in modo corretto.
In particolare, dopo aver compiuto un’analisi completa delle diverse opzioni terapeutiche disponibili, la Corte d’Appello ha valutato in modo puntuale il contesto temporale in cui si sono sviluppate le relative decisioni, tenendo conto dell’evoluzione nel tempo sia delle informazioni disponibili, sia delle opzioni terapeutiche, nonché delle pubblicazioni scientifiche e dei comunicati stampa pertinenti.
Per quanto fosse emerso che effettivamente i medici non avessero adempiuto al loro dovere di informare i genitori in merito all’esistenza di terapie farmacologiche alternative in fase sperimentale, i “rimproveri” indirizzati ex post dai genitori verso i medici curanti non dimostrano che gli stessi avrebbero comunque rifiutato la terapia “standard” raccomandata fino ad allora a favore della terapia sperimentale:
“A fronte di un adempimento parzialmente inadeguato dell’obbligo di informazione… (era) mancata la prova del nesso di causalità tra le conseguenze subite per la salute del piccolo paziente e una corretta somministrazione della terapia curativa secondo le regole dell’arte medica,
non avendo fornito i genitori la prova della volontà di rifiutare la terapia raccomandata, ove fossero stati adeguatamente informati dell’esistenza di quella in fase sperimentale”.
La sentenza impugnata ha dunque correttamente escluso che l’omessa informazione sulle terapie alternative potesse comportare un errore essenziale nel contratto terapeutico, ai sensi dell’art. 1429 c.c. oppure costituire inadempimento grave dell’obbligo curativo.
Per concludere
Alla luce di quanto precede, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo comunque sussistenti idonei motivi per compensare le spese del giudizio.
Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!
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