Responsabilità del medico di base per l’assistenza prestata a paziente fuori porta: risponde anche l’AUSL

Incombe sulla AUSL provare che un medico di base sia intervenuto nell’assistenza di un paziente – non iscritto nelle liste del medico stesso – non quale medico convenzionato, bensì come libero professionista.

In mancanza di tale prova, l’AUSL di riferimento resta solidalmente responsabile col medico convenzionato per gli eventuali danni derivanti dalla condotta colposa di quest’ultimo.

Oggi vi segnalo una recente ordinanza della Cassazione Civile (n. 5673 del 4.3.2025) in tema di responsabilità del medico di base.

Il caso

Una signora, in vacanza in un albergo romagnolo benché affetta da un grave quadro patologico cronicizzato, è vittima di un malore. Il personale chiama un medico di medicina generale del luogo, che visita la paziente due volte e le prescrive alcuni farmaci, senza disporne il ricovero per accertamenti diagnostici e clinici.

La paziente decede il giorno della seconda visita e il figlio avanza domanda di risarcimento del danno nei confronti del medico e dell’AUSL di riferimento.

Il Tribunale accoglie la domanda e condanna in solido medico e Ausl, riconoscendo che il medico aveva prestato assistenza alla signora in qualità di medico convenzionato con il SSN, anche se la paziente si trovava al di fuori del suo Comune di residenza.

Anche la Corte d’Appello conferma la responsabilità del medico per aver sottovalutato il quadro clinico della paziente e per non aver disposto l’invio della stessa al più vicino pronto soccorso ospedaliero; la Corte pone però a carico dei soli eredi del medico, nel frattempo deceduto, l’obbligo di risarcire il danno, in considerazione della mancanza di prova (da parte degli stessi eredi) che l’attività professionale svolta dal medico nel caso concreto fosse inseribile all’interno del rapporto di convenzionamento col SSN.

Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.

La responsabilità dell’AUSL per il fatto del medico di base vista dalla giurisprudenza

Secondo la Cassazione, il ricorso da parte degli eredi del medico è fondato.

Va premesso che è principio ormai consolidato nella giurisprudenza superiore che

“la ASL è responsabile, ai sensi dell’art. 1228 c.c., del fatto colposo del medico di base, convenzionato con il SSN, essendo tenuta per legge – nei limiti dei livelli essenziali di assistenza – ad erogare l’assistenza medica generica e la relativa prestazione di cura, avvalendosi di personale medico alle proprie dipendenze o in rapporto di convenzionamento” (Cass. n. 14846 del 2024, Cass. n. 6243 del 2015).

In altri termini:

– il rapporto tra paziente – che fruisce del SSN – e medico convenzionato è un rapporto di durata, che si instaura a mezzo della libera scelta del proprio medico di base effettuata dall’utente iscritto al SSN in un novero di medici già selezionati nell’accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato;

– il soggetto pubblico, che è per legge obbligato a fornire l’assistenza medico-generica ai cittadini, si avvale per l’adempimento dell’obbligazione dell’opera del terzo, cioè del medico, che non è dipendente del soggetto obbligato, ma costituisce personale “convenzionato” (in alternativa a quello “dipendente”, secondo l’indicazione fornita dall’art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978), inquadrato nell’ambito dei rapporti di lavoro autonomo “parasubordinati”;

– in caso di condotte dolose o colpose del medico di base convenzionato, sussiste un’ipotesi di responsabilità diretta della ASL (solidale col medico) per fatto del proprio ausiliario, analoga a quella di qualsiasi struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile (cfr. art. 7 Legge n. 24/2017, cd. Gelli-Bianco).

Esiste responsabilità dell’AUSL anche se il medico visita un paziente non iscritto nelle sue liste?

La peculiarità del caso in esame è che il comportamento del medico denunciato come fonte di danno per la paziente non è stato tenuto dal medico di base della paziente stessa (cioè nell’ipotesi standard sopra vista), bensì da un medico operante a centinaia di chilometri dal luogo di residenza della signora.

L’inquadrabilità del rapporto svolto nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, e di conseguenza la configurabilità anche in questo caso di una responsabilità della struttura sanitaria per il fatto del medico convenzionato suo ausiliario, ha autonomo fondamento normativo nel quarto comma dell’art. 19 della legge n. 833 del 1978, secondo cui

Gli utenti hanno diritto di accedere, per motivate ragioni o in casi di urgenza o di temporanea dimora in luogo diverso da quello abituale, ai servizi di assistenza di qualsiasi unità sanitaria locale.

Come previsto dagli Accordi Collettivi nazionali di categoria, poi, il medico convenzionato non è obbligato a prestare la propria opera in regime di assistenza diretta ai cittadini non residenti (che non siano suoi assistiti), ma se accetta di prestarla, eroga una prestazione che si inquadra nell’ambito delle prestazioni del SSN erogate da medico con esso convenzionato in favore dei pazienti del Servizio Sanitario Nazionale, per la quale peraltro può ricevere anche un compenso, tariffato dall’accordo collettivo.

La soluzione nel caso concreto

Esaminando il caso in commento, la Cassazione ha ritenuto di ricondurre l’insieme delle relative circostanze – ovvero il fatto che la paziente si trovasse ospite della struttura alberghiera per un soggiorno turistico e termale, ove ebbe un malore e venne curata da un medico convenzionato con la ASL, che la visitò in due diverse occasioni e le prescrisse una terapia  – all’ipotesi dell’art. 19, co. 4 della legge n. 833/1978 sopra visto e dunque a classificarlo come un qualsiasi caso di prestazione erogata dal medico del Servizio Sanitario Nazionale, con conseguente instaurazione di un contatto sociale tra medico e paziente la responsabilità della ASL ex art. 1228 c.c. per i danni scaturiti.

Sotto il profilo dell’onere della prova, secondo la Cassazione

incombe(va) sulla ASL provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, ovvero che il medico intervenne non quale medico convenzionato ma puramente come libero professionista, del quale l’albergo intendeva avvalersi a favore della ospite che ne aveva necessità.

Non può invece ritenersi che gravi sulla paziente – o sui suoi congiunti, come in questo caso – provare che non esistessero elementi atti a dimostrare che la prestazione erogata, riconducibile in una prestazione sanitaria a carico del Servizio sanitario nazionale non fosse stata invece resa ad altro titolo.

Per concludere

Alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha accolto il ricorso degli eredi del medico di base defunto e rinviato la causa alla Corte d’Appello di provenienza, per verificare, secondo i principi indicati, la sussistenza della responsabilità diretta dell’AUSL, a fianco di quella del medico, per il decesso della paziente.

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Cass. Civ., Sez. III, n. 5673 del 4.3.2025