Consenso informato al trapianto: quali i limiti del diritto all’informazione del paziente?

Il paziente messo in lista d’attesa per un trapianto, in qualunque centro trapianti, non può scegliere il donatore e deve essere informato della provenienza e delle caratteristiche dell’organo solo quando ci si trovi di fronte al sospetto o alla certezza che il donatore abbia una malattia infettiva o una malattia neoplastica trasmissibile; non vi è pertanto alcuna informazione che i sanitari siano obbligati a dare sulla provenienza dell’organo da trapiantare al di fuori di questi casi.

Oggi vi segnalo una recentissima ordinanza della Cassazione Civile (n. 30858 del 2.12.2024) in tema di trapianti e conseguenze dell’omesso consenso informato del paziente.

Il caso

Un paziente viene sottoposto ad un intervento chirurgico di trapianto di fegato. Dopo l’innesto dell’organo, durante la rivascolarizzazione, si verificano complicanze e l’organo dev’essere espiantato d’urgenza; i chirurghi provvedono a confezionare un’anastomosi porto-cavale temporanea in attesa di procedere a ritrapianto di fegato da altro donatore, poi avvenuto nella medesima giornata, dopo circa 12 ore.

Il paziente cita in giudizio l’Azienda Ospedaliero Universitaria, allegando:

* che i chirurghi gli avevano impiantato un fegato non idoneo – in quanto proveniente da soggetto deceduto per intossicazione acuta da monossido di carbonio -, circostanza che avrebbe causato lo scompenso metabolico;

* di non essere stato informato della suddetta circostanza, né dei rischi connessi al trapianto di un “organo già danneggiato”.

L’Azienda Ospedaliera si difende sostenendo la correttezza della condotta dei propri sanitari, nonché la completezza delle verifiche preliminari eseguite sull’organo.

Il Centro Interregionale Trapianti, infatti, dopo aver eseguito i necessari accertamenti, aveva qualificato il donatore come soggetto a rischio standard, con valutazione di idoneità alla donazione “discreta”: pertanto, il fatto che l’organo provenisse da soggetto deceduto per intossicazione da monossido di carbonio non aveva in alcun modo influito né sull’idoneità dell’organo né sull’esito dell’intervento. Quanto all’obbligo di informazione al paziente, la struttura sostiene che nessuna carenza di informazioni poteva ravvisarsi nel non avere reso noto al paziente che il fegato proveniva da soggetto deceduto per intossicazione da monossido di carbonio, posto che tale circostanza non aveva influito sull’idoneità dell’organo al trapianto, né esposto il paziente ad alcun rischio e/o complicanza ulteriore rispetto a quelli ordinari dell’intervento di trapianto, di cui lo stesso aveva già ricevuto informazione al momento della sottoscrizione del modulo di consenso.

La consulenza tecnica svolta in giudizio attesta la correttezza e completezza degli accertamenti svolti sull’organo da impiantare e l’assenza di circostanze ostative al trapianto. Il Tribunale conferma la correttezza dell’operato dei chirurghi, e che la “sindrome da vascolarizzazione” sofferta dal paziente era da considerarsi un esito sfavorevole prevedibile, ma inevitabile di tale complesso intervento.

Quanto al consenso informato, il Tribunale afferma l’inidoneità dei due moduli di consenso prodotti dall’Azienda Ospedaliera convenuta: l’uno in quanto generico al punto da non consentire la formazione di un adeguato consenso al trattamento chirurgico; l’altro in quanto non pertinente, essendo relativo alla sola anestesia.

La domanda di risarcimento del paziente viene accolta e l’Azienda Ospedaliera condannata a risarcire oltre 120.000 euro.

La Corte d’Appello sovverte però l’esito del giudizio di primo grado, ritenendo mancante la prova della lesione del consenso del paziente, ed ordina a quest’ultimo di restituire le somme ricevute in forza della sentenza di primo grado.

Vediamo qual è l’esito del ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso

Al di là di alcuni aspetti procedurali, l’intero procedimento di cassazione verte sul tema del consenso informato.

In particolare, sotto il profilo del consenso all’intervento, il paziente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe errato nel qualificare le sue domande come strettamente limitate alla mancata informazione circa la provenienza del fegato, anziché estenderle alla violazione, in generale, degli obblighi informativi, “anche sotto il profilo dei rischi e delle eventuali complicanze del trapianto eseguito” (limitazione che aveva condotto al rigetto delle domande del paziente in grado d’appello); inoltre, lamenta non essergli stata data la possibilità di valutare le possibili complicanze e i rischi dell’operazione cui si sottoponeva e dunque di disporre della propria libertà di autodeterminazione.

Quando la mancanza di consenso informato può dar luogo a responsabilità (ed a risarcimento)?

Secondo la Corte di Cassazione, i motivi formulati dal paziente in tema di consenso informato sono tutti inammissibili.

La casistica della giurisprudenza della Suprema Corte individua cinque distinte ipotesi nell’ambito della responsabilità medico-chirurgica, ai fini della risarcibilità del danno sia alla salute (per inadempiente esecuzione della prestazione sanitaria), sia al diritto all’autodeterminazione (per violazione degli obblighi informativi). Vediamole di seguito.

Caso 1)

Se ricorrono:

a) il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso),

b) il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti), e

c) la condotta inadempiente o colposa del medico,

è risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria.

Caso 2)

Se ricorrono:

a) il dissenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’atto terapeutico),

b) il danno iatrogeno, e

c) la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria,

è risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, cioè le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, allegate e provate (anche per presunzioni).

Caso 3)

Se ricorrono:

a) il dissenso presunto,

b) il danno iatrogeno, ma

c) non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (cioè l’intervento è stato correttamente eseguito),

è risarcibile la sola violazione del diritto all’autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – dev’essere valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto.

Caso 4)

Se ricorrono:

a) se ricorre il consenso presunto, e

b) non vi è alcun danno derivante dall’intervento,

non è dovuto alcun risarcimento.

Caso 5)

Se ricorrono:

a) il consenso presunto, e

b) il danno iatrogeno, ma

c) non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria,

il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione è risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente (Cass. Sez. 3, 12/06/2023 n. 16633).

La conclusione nel caso in commento

Secondo la Cassazione, la Corte d’appello ha giudicato il caso correttamente.

Innanzitutto, la Corte ha delimitato correttamente il contenuto della domanda del paziente –  il quale, nel suo atto di citazione, aveva contestato l’inadempimento dei sanitari esclusivamente in ordine alla mancanza di informazione sulle condizioni e provenienza del primo fegato trapiantato e per non avergli spiegato i rischi connessi al trapianto di tale “organo già danneggiato”, senza sollevare doglianze e domande circa il difetto di informazione, in generale, sull’intervento di trapianto di fegato (domande che erano dunque tardive ed inammissibili).

In secondo luogo, gli acquisiti “dati preoperatori, correttamente raccolti, non mostravano alcuna concreta controindicazione al trapianto”, e pertanto la circostanza della intossicazione da monossido di carbonio del donatore non costituiva controindicazione all’utilizzo del fegato da trapiantare.

Infine, la Corte evidenzia che

“il paziente messo in lista d’attesa per un trapianto, in qualunque centro trapianti, non può scegliere il donatore e, soprattutto, deve essere informato della provenienza e delle caratteristiche dell’organo solo quando ci si trovi di fronte al sospetto o alla certezza che il donatore abbia una malattia infettiva o una malattia neoplastica trasmissibile”,

casi del tutto diversi da quello di specie, concludendo pertanto che non vi era alcuna informazione che i sanitari fossero obbligati a dare sulla provenienza del fegato da soggetto deceduto per intossicazione da monossido di carbonio, e dunque nessun inadempimento era loro imputabile sul punto.

Alla luce di quanto precede, le doglianze sollevate dal paziente in punto di consenso informato sono state rigettate.

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Cassazione Civile, Sez. III, n. 30858 del 2.12.2024