Risarcimento del danno da nascita indesiderata: quali presupposti?

I requisiti della gravità del pericolo per la salute della madre e dell’attualità della patologia, anche quale effetto della notizia della malformazione del nascituro, sono il risultato del peculiare bilanciamento dei principi espressi dalla L. n. 194 del 1978, la quale per un verso garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, per l’altro riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. La mera previsione di un pericolo serio (e non grave) per la salute psichica della madre non giustifica l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi novanta giorni di gravidanza.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Cassazione Civile (n. 2150 del 25 gennaio 2022) in tema di risarcimento del danno per nascita indesiderata.

Il caso

A seguito di una gravidanza apparentemente normale, un bimbo nasce privo del piede sinistro, del terzo medio della gamba sinistra e delle unghie dal primo al quinto dito della mano sinistra, nonché con lussazione dell’anca. I genitori agiscono in giudizio contro il ginecologo di fiducia della donna e l’ospedale che ne avevano seguito la gravidanza, deducendo che:

  • le malformazioni del bimbo erano dovute alla presenza di briglie ostruttive amniotiche
  • a causa della non tempestiva diagnosi delle suddette malformazioni, dovuta ad un’erronea lettura delle ecografie morfologiche, e della mancata tempestiva informazione sulle condizioni del bimbo, la madre non aveva potuto esercitare il suo diritto di interruzione della gravidanza
  • inoltre, al nascituro era stata sottratta la possibilità di beneficiare di un intervento chirurgico prenatale, potenzialmente idoneo a prevenire la produzione delle lesioni.

Il Tribunale accoglie la domanda e, accertata la responsabilità della struttura ospedaliera nella misura del 90% e dello specialista ginecologo quanto al residuo 10%, li condanna in solido al pagamento della somma di Euro 1.121.348,10.

La Corte d’Appello riforma parzialmente la sentenza

  • dichiarando l’esclusiva responsabilità della struttura sanitaria nella causazione del danno e ritenendo gli errori diagnostici commessi dal personale della struttura sanitaria (che avevano attribuito l’assenza tibiotarsica dell’arto sinistro alla posizione fetale) di una gravità tale da essere, da soli, sufficienti a cagionare il danno
  • riducendo l’importo del danno patrimoniale in favore dei genitori al solo danno differenziale, ossia al maggior costo cui i coniugi avrebbero dovuto affrontare rispetto alla spesa ordinariamente necessaria per la cura e l’assistenza di un figlio sano, quantificato in Euro 548.694,38.

La decisione viene impugnata avanti alla Corte di Cassazione. Vediamo qual è l’esito del relativo giudizio.

I requisiti previsti dalla legge 194/1978 per l’interruzione volontaria di gravidanza oltre il 90° giorno

Il principale dei motivi di impugnazione della sentenza d’appello da parte dell’Ospedale concerne la mancanza, nel caso in commento, dei requisiti per una possibile interruzione volontaria della gravidanza da parte della gestante.

L’art. 6 della L. n. 194 del 1978 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”) prevede infatti che “l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:

  1. quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
  2. quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.”

Nel caso in questione, secondo l’Ospedale, la malformazione sofferta dal nascituro – mancanza del piede sinistro e del terzo medio della gamba sinistra, oltre che delle unghie dal primo al quinto dito della mano sinistra – non sarebbe stata di gravità tale da porre in “grave pericolo” la salute psichica della madre.

Quando la malformazione fetale è idonea a giustificare l’interruzione volontaria di gravidanza?

La Cassazione parte dalla considerazione che la lesione del diritto ad interrompere la gravidanza per effetto dell’inadempimento del sanitario, può sussistere solo nel caso in cui

  • vi sia una violazione del sanitario all’obbligo informativo in merito ad eventuali malformazioni fetali
  • sia provato un processo patologico della salute della donna stessa, anche se per effetto delle predette malformazioni fetali, suscettibile di evoluzione gravemente pericolosa.

Il solo inadempimento del medico al dovere di esatta informazione della paziente potrà dar luogo, nel concorso degli altri elementi necessari, al diritto al risarcimento del danno eventuale conseguente all’omessa o errata informazione. Sul tema della possibile violazione del diritto all’autodeterminazione della gestante in questi casi, vedi anche il mio precedente postIl medico deve informare il paziente della possibilità di rivolgersi ad una struttura meglio organizzata”.

Il risarcimento del danno conseguente alla lesione del diritto all’interruzione della gravidanza ricorrerà però solo nelle ipotesi in cui sia provata dalla donna anche la sussistenza degli elementi integrativi della fattispecie specifica, e cioè

  • sussistano rilevanti anomalie o malformazioni del feto
  • tali anomalie/malformazioni abbiano generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la salute fisica o psichica della donna
  • la patologia (fisica o psichica) della gestante esista già al momento dell’interruzione della gravidanza (anche se quest’ultima possa essere stata determinata dalla stessa notizia della malformazione del nascituro), che per effetto del prosieguo della gravidanza o per la nascita integri – sulla base di un giudizio ex ante – un pericolo per la sua salute
  • tale pericolo sia grave.

Come sono stati applicati i criteri astratti al caso concreto

Nel caso in commento, con riferimento alla malformazione del nascituro, la Corte d’Appello ha giudicato “arduo sostenere… che le malformazioni che oggi caratterizzano la struttura anatomica di (omissis) non siano gravemente deturpanti“, al di là del fatto che le facoltà psichiche del bambino siano rimaste integre.

Quanto al grave pericolo per la salute psichica della madre, il giudice d’appello ha considerato che l’esistenza di tale rischio poteva desumersi:

  1. dalla gravità delle malformazioni, “le quali avrebbero rappresentato un serio pericolo per la serenità psichica di qualunque futura madre
  2. dall’atteggiamento tormentato con cui la gestante aveva tentato di trovare risposte certe alle sue domande sull’integrità fisica del bimbo (la decisione di effettuare l’amniocentesi, nonostante i rischi intrinseci all’operazione stessa, la richiesta espressa di ispezionare specificatamente gli arti inferiori al ginecologo che aveva provveduto all’ecocardiografia fetale e così via).

Tale secondo punto resta però, secondo la Cassazione, irrilevante, attendendo lo stesso alla prova che la madre avrebbe esercitato il diritto d’interruzione della gravidanza ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale, ma non alle condizioni normativamente previste di esistenza del diritto. Sul punto la motivazione della decisione impugnata va dunque corretta.

 

Qual è il danno patrimoniale in caso di nascita indesiderata?

Infine, la sentenza è stata cassata dalla Cassazione in punto di danno patrimoniale, posto che il giudice d’appello ha limitato la liquidazione del danno nei limiti del maggior costo rispetto ad un figlio sano, sulla base dell’argomento che comunque un figlio era voluto dai genitori.

Il danno liquidato, osserva la Cassazione, è però quello da nascita indesiderata, sicché non può essere esclusa la parte dei costi che si sarebbero sostenuti in presenza di figlio sano perché appunto la nascita non era desiderata e i costi, da liquidare per l’intero ricorrendone le condizioni, derivano da un figlio non desiderato.

 

Le conclusioni nel caso concreto

Sulla base di quanto precede, il ricorso è stato accolto e la sentenza rinviata alla stessa Corte di Appello, in diversa composizione, per la relativa revisione sulla base dei criteri espressi.

 

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 2150 del 25.1.2022