Prestazione medica di speciale difficoltà e valutazione dell’inadempimento medico

Quando la prestazione medica presenta problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità professionale è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave. Tuttavia, tale limitazione della responsabilità professionale del medico si applica alle sole ipotesi di imperizia, non anche di palese imprudenza o negligenza.

Trovate qui di seguito il mio ultimo articolo per la sezione “Aspetti Legali in Dermatologia” del sito Internet dell’ISPLAD – International-Italian Society of Plastic – Regenerative and Oncologic Dermatology, di interesse generale per professionisti sanitari.

Buona lettura!

Oggi vi segnalo una sentenza del Tribunale di Verona che approfondisce alcuni aspetti della responsabilità del professionista medico in caso di prestazione presentante problemi tecnici di speciale difficoltà.

Il caso

Una signora dà alla luce un bimbo in anticipo sul termine di gestazione previsto. Al dodicesimo giorno di vita, viene segnalata la comparsa di piccole lesioni bollose a contenuto limpido citrino sul braccio del piccolo; il giorno successivo viene prescritta terapia con acyclovir, che prosegue per quattro giorni e poi viene sospesa.

Per quanto la situazione non si risolva, il bimbo viene dimesso; il giorno successivo, tuttavia, i genitori riportano il neonato allo stesso ospedale perché sonnolento e svogliato all’alimentazione, ed il bimbo viene nuovamente ricoverato per anemia acuta.

Durante la degenza il piccolo presenta la nuova comparsa di lesioni vescicolari; viene eseguito esame colturale ed effettuata una visita dermatologica specialistica, che si limita a confermare la presenza di “lesioni vescicolose a contenuto sieroso su fondo aflegmonico” e consiglia, in caso di mancata spontanea risoluzione, ulteriori approfondimenti. Ciò nonostante, dopo una settimana il piccolo paziente viene nuovamente dimesso, senza risoluzione del problema cutaneo.

In seguito, gli accertamenti svolti porteranno ad evidenziare la sofferenza di una meningo-encefalite di probabile origine virale ed all’accertamento della positività del piccolo all’Herpes Virus Simplex, con esiti gravissimi (sofferenza cerebrale, tetraparesi mista e necrosi retinica acuta bilaterale).

L’esito dell’accertamento tecnico preventivo e la difesa dell’ospedale

I genitori ed il fratellino agiscono dunque in causa contro l’ospedale per l’omessa diagnosi della malattia, il quale a sua volta chiama in causa, tra gli altri, lo specialista dermatologo consultato sul caso del piccolo.

Viene svolto un accertamento tecnico preventivo, all’esito del quale i consulenti giungono ad affermare:

  • che i gravi postumi che affliggevano il piccolo paziente erano conseguenza di un’infezione virale herpetica, non diagnosticata dall’ospedale convenuto
  • che “la successiva evoluzione dell’infezione dalla forma muco-cutanea a quella encefalitica era prevedibile, diagnosticabile e curabile con un alto grado di probabilità di successo se la terapia fosse stata immediata, massimale e prolungata
  • che dunque i postumi riportati erano interamente da addebitarsi alla condotta dei medici alle dipendenze dell’ospedale che ebbe in cura il neonato, che omisero di approfondire il sospetto diagnostico di infezione herpetica e sospesero la terapia con acyclovir dopo soli quattro giorni, non rivalutando in seguito il sospetto diagnostico nonostante la persistenza dei sintomi nel piccolo paziente.

La difesa dell’ospedale in giudizio si basa, tra l’altro, sulla considerazione che ci si trovava in presenza di un caso che presupponeva “un grado di esperienza clinica di particolare complessità“, per come riconosciuto dai CTU, e che nessuna colpa avrebbe potuto essere ascritta ai sanitari da esso dipendenti in merito.

Ma come valutare tale difesa? La condotta tenuta dall’ospedale in questo caso può effettivamente essere considerata priva di colpa, o qualificata da un grado di colpa irrilevante? Vediamo la valutazione data dal Tribunale all’esito del giudizio.

La colpa nelle prestazioni mediche di speciale difficoltà

Il Tribunale parte dalla considerazione del fatto che, come indicato dai consulenti nominati dal Tribunale stesso, “a causa della concomitante infezione batterica […] l’attività medico professionale presupponeva un grado di esperienza clinica di particolare complessità anche in relazione alla considerazione che l’infezione herpetica, come evoluta nel caso in oggetto, non è un quadro di frequente riscontro soprattutto in reparti di cure neonatali di II livello…”.

Ricordiamo che, sulla base dell’art. 2236 c.c., ove la prestazione richiesta ed effettuata presenti problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità del professionista è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave. È dunque esclusa la responsabilità in caso di colpa lieve del professionista, che funge da scriminante proprio in considerazione della speciale difficoltà tecnica della prestazione richiesta.

Per un approfondimento sulla lettura data dalla Cassazione ai presupposti dell’art. 2236 c.c., vedi il mio post “La preesistente complicata condizione fisica del paziente rende la prestazione medica di speciale difficoltà”.

Osserva tuttavia il Tribunale che

“tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione di un intervento o di una terapia medica, provochi un danno per omissione di diligenza”

(si veda Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 9085 del 19/04/2006).

Nel caso in commento, osserva il Giudice, si è certamente in presenza di comportamenti non solo imperiti, ovverosia in violazione delle regole tecniche, ma anche imprudenti e negligenti; inoltre, ed in termini più generali, la colpa ravvisabile nel caso di specie è certamente caratterizza anche da profili di gravità. È stato infatti correttamente evidenziato dai CTU che

  • già all’insorgere della prima eruzione con lesioni bollose venne opportunamente correttamente disposta una terapia antibiotica, con successiva introduzione anche di una terapia antivirale, a riprova della corretta percezione da parte del personale medico che la patologia riscontrata potesse avere origine virale
  • malgrado ciò, tra gli accertamenti diagnostici effettivamente intrapresi non sono stati inclusi anche quelli specifici per l’herpes
  • Inoltre, il dosaggio della terapia antivirale correttamente intrapresa è stato inferiore alla norma e, soprattutto, la terapia venne immotivatamente interrotta dopo soli quattro giorni
  • anche la visita dermatologica si mostrò inadeguata, ma quanto meno il dermatologo aveva consigliato di procedere ad approfondimenti in caso di permanere dei sintomi ma, nonostante ciò, il bambino venne dimesso senza previsione di alcun monitoraggio specifico.

Alla luce di quanto precede, il Tribunale ha giudicato essere stata grave la negligenza nel non dare corso agli accertamenti clinici che la situazione avrebbe imposto e nell’aver omesso conseguentemente la terapia che avrebbe verosimilmente evitato i gravi postumi sofferti dal bimbo.

La posizione dello specialista dermatologo

Un’altra difesa sollevata dall’ospedale in causa concerne la responsabilità dello specialista dermatologo esterno: posto era stato specificamente consultato uno specialista della materia per l’accertamento dell’origine delle manifestazioni cutanee del bimbo, l’ospedale non avrebbe potuto essere considerato direttamente colpevolmente per l’omessa diagnosi dell’infezione virale da parte di quest’ultimo.

Ma i consulenti nominati dal Tribunale hanno accertato, al riguardo, che:

  • da un lato, i postumi permanenti erano verosimilmente già stati riportati dal piccolo prima della nomina dello specialista dermatologo
  • per quanto quest’ultimo avesse effettivamente errato nella diagnosi, aveva comunque sollecitato più approfonditi accertamenti in caso di permanenza delle lesioni, prescrizione che non era stata osservata dai medici dell’ospedale.

Sotto un profilo legale, il Tribunale osserva che, sulla base dell’applicazione delle regole generali, l’ospedale non può comunque andare immune da responsabilità anche ove l’evento fosse da attribuire ad una condotta negligente o imperita del medico specialista di cui si è avvalso.

In forza dell’art. 1228 c.c., infatti, “il debitore, che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro“, a prescindere dal fatto se siano o meno legati da un rapporto di subordinazione o di altro tipo.

Come ribadito anche di recente dalla Corte di Cassazione

“La struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 c.c., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale, e ciò anche quando l’operatore non sia un suo dipendente”

(così Cass. Civ., n. 1043 del 17 gennaio 2019; vedi qui il mio commento).

Attenzione dunque, a curare particolarmente la scelta dei consulenti esterni per eventuali approfondimenti, posto che la struttura sanitaria risponde sempre, verso i pazienti, del loro operato.

La conclusione nel caso in commento

Sulla base di quanto precede, l’Ospedale è stato riconosciuto responsabile per i danni riportati dal bambino (invalidità permanente valutata al 95%, riduzione dell’aspettativa di vita a soli 30 anni, perdita della capacità lavorativa, spese di assistenza personale anche futura) e, di riflesso, dai genitori, e condannato al relativo risarcimento per oltre un milione di euro. Tutti i dettagli nella sentenza allegata.

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LEGGI LA SENTENZA

Tribunale di Verona, sentenza n. 821 del 4 aprile 2019