La preesistente complicata condizione fisica del paziente rende la prestazione medica di speciale difficoltà

La preesistente, complicata condizione fisica del paziente rende la prestazione medica di speciale difficoltà. Risulta pertanto applicabile l’art. 2236 c.c. secondo il quale, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il medico non risponderà dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave.

 

Si segnala questa interessante sentenza del Tribunale di Roma (1° febbraio 2018, G.U. Dott. Massimo Moriconi) in materia di protesizzazione ortopedica.

 

Il caso

Una paziente viene nel tempo sottoposta a vari interventi di protesizzazione ad entrambe le anche e nel 2005, a seguito di lussazione e conseguente mobilizzazione, viene sottoposta ad intervento di revisione per la sostituzione della protesi sinistra (già in precedenza revisionata).

Nei giorni successivi all’intervento si accerta, a seguito di un dolore costante, l’avvenuto sfondamento dell’acetabolo da parte della componente femorale della protesi; la paziente viene dunque sottoposta a secondo intervento di revisione con applicazione di innesti ossei e sostituzione della componente acetabolare. Nell’immediatezza dell’intervento, insorge una riduzione della sensibilità del piede e della motilità delle dita del piede, tanto da far sospettare una lesione del nervo sciatico popliteo esterno (SPE), negata dal chirurgo. Viene quindi accertata una nuova lussazione della protesi e, a soli due giorni dal precedente, viene eseguito ulteriore intervento chirurgico di revisione protesica.

A mesi di distanza, la paziente evidenzia una grave sofferenza del nervo sciatico e problemi di deambulazione, che addebita al chirurgo ed alla Casa di Cura. La paziente dunque intraprende prima un accertamento tecnico preventivo e agisce poi in via ordinaria chiedendo il risarcimento dei danni subiti, quantificati complessivamente in circa € 680.000,00.

Vengono eseguite complessivamente tre consulenze tecniche (una in ATP e due nel corso del processo di merito), all’esito delle quali il Tribunale di Roma rigetta le domande della paziente.

 

Una paziente ad alto rischio in una fattispecie complessa

Il Giudice parte dalla considerazione delle condizioni fisiche della paziente, valutandole “quelle di una persona ad altissimo rischio per questo genere di interventi (caso complesso di revisione di protesi di anca destra impiantata nel 1995… con evidenza di perdita del patrimonio osseo specialmente a carico della cavità acetabolare… con difficoltà tecniche nel posizionare il neo cotile)… con una facilità e predisposizione a mobilizzazione, rotture e dislocazioni delle protesi evidentemente per le precarie condizioni e consistenza dei suoi materiali ossei… Condizioni fisiche (e ossee in particolare) deteriorate e deboli. Viatico perfetto per un’elevata difficoltà degli interventi e rischiosità degli esiti”.

 

L’art. 2236 del Codice Civile letto attraverso la Legge Gelli-Bianco

Alla luce di quanto precede, si è ritenuto appropriato applicare al caso di specie l’art. 2236 del Codice Civile in base al quale,

se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.

Secondo il Giudice, in epoca più recente la giurisprudenza della Suprema Corte ha molto svalutato la portata di tale norma – ritenendo che il paziente non fosse tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità, e che in ogni caso di “insuccesso” incombesse comunque al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione – e ciò nella diffusa ed ampia tendenza, espressa negli ultimi decenni, ad aggravare la responsabilità del medico.

Secondo il Tribunale di Roma, invece, il rilievo dato pur timidamente nella legge Gelli-Bianco (legge n. 24/2017 di riforma della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie) alla sussistenza o all’intensità della colpa nel rispetto o meno di linee guida e buone pratiche cliniche,

consente di affermare il principio che non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici di speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o esse mancando, alle buone pratiche cliniche-assistenziali, quali che siano stati i risultati dell’intervento dal medesimo effettuato”.

 

Nessuna colpa dei medici accertata nel caso concreto…

Peraltro, nel caso di specie non si ritiene essere stata raggiunta la prova dell’esistenza di una condotta erronea e colposa dei medici. Tutt’altro: secondo il Giudice, le accortezze utilizzate dal chirurgo (l’utilizzo di un cotile da revisione, la tecnica chirurgica utilizzata nel contesto dell’epoca di riferimento, nonché l’aver voluto associare a sé un professionista con maggiore competenza ed esperienza per isolare e proteggere il nervo sciatico nel corso dell’ultimo intervento) sono tutti indici di “adeguata valutazione delle implicazioni della difficile operazione”, nonché “testimonianza di accortezza, diligenza e prudenza”.

In questo contesto, ipotizzare una responsabilità del chirurgocostituirebbe un’aporia (non essendo esigibile altro da un medico che sia stato così accorto da richiedere la presenza di altro e maggiormente esperto specialista)” ovvero una indebita applicazione di responsabilità oggettiva”.

 

… e nessuna certezza sulle cause del danno sofferto dalla paziente

D’altra parte, la particolare complessità della fattispecie (testimoniata dalla necessità di procedere a tre diversi approfondimenti tecnici giudiziali al fine di verificare l’accaduto) non ha consentito al giudice di pervenire ad una risposta certa ed univoca in termini di causazione del danno, nemmeno applicando il criterio residuale civilistico del “più probabile che non”.

In altri termini, non è stato ritenuto provato, sulla base delle consulenze tecniche, che le problematiche sofferte dalla paziente (e, in particolare, la lesione del nervo sciatico) potessero essere imputate a “palesi e certi atti medici erronei.

 

L’eventuale incertezza resta a carico del paziente

Secondo il Tribunale di Roma occorre dunque seguire l’opinione della Cassazione secondo cui grava sul paziente l’onere di provare non solo il danno, ma anche il nesso di causalità (il rapporto causa – effetto) fra l’azione o l’omissione del sanitario ed il danno di cui domanda il risarcimento.

Se, al termine dell’istruttoria, resti incerta la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova devono dunque gravare sul paziente-attore (vedi Cassazione Civile, Sez. III, n. 18392 del 26 luglio 2017).

Pertanto, nel caso in commento la domanda di risarcimento del danno è stata rigettata.

 

Niente rimborso delle spese di causa per i vincitori

Alla soccombenza della paziente non segue, tuttavia, la sua condanna al rimborso delle spese di causa delle altre parti, secondo il principio di soccombenza.

Questo perché il Tribunale ha ritenuto ingiustificata la mancata partecipazione del chirurgo e dell’ospedale al procedimento di mediazione, precedentemente disposto dal Giudice, dimostrando così di non voler collaborare nel tentativo di risolvere bonariamente il contenzioso.

 

Per concludere

Alla luce dei principi sopra riassunti il Tribunale di Roma ha dunque rigettato le domande della paziente, considerando che:

  • l’intervento chirurgico in contestazione era da qualificarsi come di straordinaria difficoltà considerando che concerneva una paziente plurioperata, con condizioni ossee fragili e degradate e più volte precedentemente operata all’anca
  • la condotta tenuta dal chirurgo è stata giudicata prudente e conforme alle linee guida di settore, e dunque ineccepibile
  • le consulenze tecniche d’ufficio non hanno permesso di raggiungere una ragionevole certezza in merito alla causa dell’evento dannoso (lesione del nervo sciatico) sofferto dalla paziente
  • l’eventuale incertezza sulle cause del danno deve far carico sulla paziente, non essendo equo gravarla sul medico

 

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A presto!

 

LEGGI I PROVVEDIMENTI

Tribunale di Roma, sentenza 1° febbraio 2018 (G.U. Dott. Moriconi)

Vedi anche Cassazione Civile, Sez. III, n. 18392 del 26 luglio 2017