Quando la complicanza esclude la responsabilità medica

Il concetto medico-clinico e medico-legale di “complicanza” è irrilevante e comunque inutile per il diritto.

Per avere rilievo in sede giuridica, l’evento dannoso insorto nel corso dell’iter terapeutico deve essere imprevedibile ovvero inevitabile nel caso concreto, restando altrimenti irrilevante il fatto che sia annoverato dalla statistica clinica tra le teoriche complicanze possibili.

 

Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 2807 del 5 settembre 2017 (G.U. Dott. Calvani), è tornato ad occuparsi del concetto di complicanza rispettivamente in ambito clinico, medico legale e giuridico, richiamando i concetti già espressi nel 2015 dalla Cassazione Civile, che ripercorreremo brevemente insieme.

 

Il caso

Nel 2011 un paziente viene sottoposto ad intervento di impianto di pacemaker (ICD bilaterale).

Nel corso dell’intervento il paziente avverte forte bruciore, dolore intenso e sensazione di calore al collo e torace, di cui informa il chirurgo. Il malessere persiste anche dopo la dimissione, e una decina di giorni dopo l’intervento il paziente viene trasportato al pronto soccorso e ricoverato nel reparto di chirurgia intensiva cardiochirurgica per “sopraslivellamento ST”.

A seguito di ecografia transtoracica viene evidenziata “una breccia sulla parete posteriore del ventricolo destro con versamento pericardico di circa 3 cm in parete organizzato”, in ragione del quale il paziente viene sottoposto a nuovo intervento chirurgico di “chiusura di lacerazione cardiaca”.

Il paziente agisce dunque in giudizio contro l’azienda USL per chiedere il risarcimento dei danni, quantificati in € 51.000,00.

 

Una rara complicanza

Sulla base della consulenza tecnica d’ufficio svolta in corso di causa, il paziente ha riportato un tamponamento cardiaco dovuto a lacerazione del ventricolo destro per il posizionamento di elettrocatetere ventricolare durante l’impianto del defibrillatore.

Secondo il CTU, tale perforazione è una delle complicanze rare (circa 1% dei casi) dell’intervento, ma contemplate durante la procedura e ben descritta nel modulo di consenso informato firmato dal paziente. Peraltro, la complicanza nel caso di specie è stata ancora più rara del comune, posto che la lacerazione della parete del ventricolo si è autolimitata (ovvero non ha determinato la fuoriuscita di sangue) ed è stata dunque più difficile da individuare.

 

Il concetto medico di complicanza è irrilevante per il diritto

Secondo il Tribunale fiorentino, col lemma “complicanza” la medicina clinica e la medicina legale designano solitamente

un evento dannoso, insorto nel corso dell’iter terapeutico, che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile”.

Tuttavia tale concetto – come già chiarito dalla Corte di Cassazione e ribadito la sentenza in commento – è irrilevante, ed anzi inutile nel campo giuridico.

Quando, infatti, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una:

  • o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”;
  • ovvero tale peggioramento non era prevedibile o non era evitabile; ed in tal caso esso integra gli estremi della causa non imputabile al medico di cui all’Art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”.

Conclude la Suprema Corte:

al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa solo se quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile”: ma è evidente che tale accertamento va compiuto in concreto e non in astratto.

 

La dinamica dell’onere della prova

Da quanto precede segue che, sul piano dell’onere della prova, nel giudizio di responsabilità tra medico e paziente:

  • o il medico riesce a dimostrare di aver tenuto una condotta conforme alle leges artis ed allora andrà esente da responsabilità, a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle complicanze;
  • ovvero, all’opposto, il medico non sarà in grado di fornire quella prova; in tal caso, non gli sarà d’aiuto la circostanza che l’evento dannoso sia, in astratto, imprevedibile ed inevitabile, posto che ciò che è rilevante è la prevedibilità ed evitabilità nel caso concreto, che è onere del medico dimostrare.

Si tratta, in sostanza, di una presunzione di colpa del medico che si applica in caso di di interventi ordinari, considerati di routine o di “facile esecuzione”, nei quali il risultato positivo è di regola conseguente all’intervento operatorio, salvo il sopravvenire di eventi imprevisti ed imprevedibili secondo le conoscenze tecnico-scientifiche del momento, o l’esistenza di particolari condizioni fisiche del paziente, che andranno dunque provati da parte del medico.

 

L’esito dell’istruttoria fiorentina

Nel caso oggi in commento, il consulente tecnico d’ufficio ha ritenuto che:

  • l’indicazione all’impianto è stata una scelta terapeutica conforme al protocollo e corretta in relazione alla situazione clinica del paziente, che si trovava in pericolo di vita
  • l’intervento è stato eseguito correttamente e con la migliore tecnica operatoria (considerati la scelta dei materiali, il sito di puntura per gli accessi venosi, la scelta dei cateteri, la procedura, i controlli successivi etc.)
  • trattandosi di intervento di media difficoltà, sono state adottate tutte le cautele opportune, per quanto più laboriose (per esempio nella scelta della vena d’accesso), per ridurre il rischio di altre complicanze
  • la complicanza sofferta dal paziente, sebbene prevedibile, non era evitabile

Sulla base di quanto sopra, il Tribunale ha qualificato l’evento dannoso occorso al paziente (lacerazione del ventricolo destro) come causa non imputabile al chirurgo e ha dunque rigettato le domande del paziente, compensando le spese di lite.

 

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LEGGI I PROVVEDIMENTI

Tribunale di Firenze, sentenza n. 2807 del 5 settembre 2017 (G.U. Dott. Calvani)

Cassazione Civile, Sez. III, n. 13328 del 30 giugno 2015

Art. 1218 c.c.