Deontologia ed estensione dei poteri disciplinari dell’Ordine professionale

Costituisce illecito disciplinare il comportamento tenuto dall’iscritto, anche in attività diverse dall’esercizio della professione, che possa essere considerato pregiudizievole per il decoro della professione.

È però sottratto al potere disciplinare dell’Ordine il comportamento del medico riconducibile all’ambito dell’esercizio di mansioni o funzioni pubbliche, non riferibile ad attività svolte nell’interesse personale del professionista, né all’attività professionale in genere.

Cari lettori,

per ben accogliere il rientro alle attività quotidiane, oggi vi segnalo una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. II, n. 16421 del 30 luglio 2020) in tema di deontologia, concernente specificamente il perimetro del potere disciplinare degli Ordini Professionali.

Il caso

L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bologna irroga la sanzione amministrativa della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi nei confronti di un medico proprio iscritto, dirigente medico del servizio di emergenza-urgenza della locale ASL, per aver partecipato, nel 2006, alla redazione ed all’applicazione di protocolli e linee guida sull’impiego del personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza. Secondo l’Ordine, le istruzioni operative contenute in detti protocolli sostanziavano vere e proprie deleghe di atti di stretta pertinenza medica ed eludevano i limiti posti dalla legge e dal codice deontologico per demarcare la linea di confine dell’autonomia delle professioni sanitarie.

La sanzione viene in seguito annullata dalla Commissione Medica Centrale, la quale tuttavia conferma a favore dell’Ordine professionale la sussistenza della potestà disciplinare in materia, contestata dal ricorrente.

La Commissione osserva al riguardo che, a norma dell’art. 68 del Codice di Deontologia, il medico operante nelle strutture sanitarie pubbliche e private è soggetto alla potestà disciplinare dell’Ordine indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, in quanto l’appartenenza all’Ordine stesso, che si consegue per effetto della iscrizione all’Albo professionale, determina l’accettazione da parte dell’iscritto della disciplina e del conseguente esercizio del potere disciplinare.

La decisione richiama la giurisprudenza di legittimità secondo la quale la competenza dell’Ordine ad irrogare sanzioni disciplinari non viene meno nei confronti del professionista che, regolarmente iscritto all’Albo, sia dipendente della P.A..

Secondo il professionista, invece, se è pur vero che, da un punto di vista soggettivo, il rapporto di dipendenza del medico con l’Azienda sanitaria non esclude la potestà disciplinare dell’Ordine, sul piano oggettivo, tale potestà si estende alle sole condotte che violino la correttezza ed il decoro professionale, non potendo ricomprendere le mancanze attribuibili al medico nell’espletamento di mansioni amministrative, o ricollegabili all’esercizio di attività di dirigente pubblico di una struttura sanitaria, competendo solo all’Azienda l’accertamento dell’eventuale responsabilità dirigenziale del sanitario.

Vediamo qual è la posizione della Cassazione sul punto.

Il potere disciplinare dell’Ordine Professionale: fondamento e limiti

Come noto, gli Ordini professionali sono investiti di funzioni di interesse pubblico a tutela di interessi generali della collettività, garantiti dall’ordinamento e connessi all’esercizio professionale, incluso quello di vigilare sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari”.

Il potere disciplinare dell’Ordine, in particolare, è volto ad assicurare il rispetto delle regole deontologiche che governano il corretto esercizio della professione. Ma il potere disciplinare può essere legittimamente esercitato solo tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti, nelle convenzioni nazionali di lavoro e nei codici deontologici.

“Il legislatore ha inteso, in tal modo, delimitare un potere sanzionatorio che, se non ristretto entro confini ben precisi, potrebbe irragionevolmente invadere la sfera dei diritti dei singoli destinatari delle sanzioni”

(Corte Cost., sent. n. 259 del 2019).

Ma fin dove si estende il potere disciplinare dell’Ordine nei confronti dei professionisti impiegati dalla P.A.?

L’art. 10 del D.Lgs. C.P.S. n. 233 del 1946, dispone, al primo comma, che i sanitari impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’albo, ed aggiunge, al secondo comma, che “essi sono soggetti alla disciplina dell’Ordine o Collegio, limitatamente all’esercizio della libera professione”.

L’art. 38 del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 delimita l’ambito di operatività del potere disciplinare degli Ordini, disponendo che esso possa essere esercitato nei soli confronti dei “sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale”.

Gli appartenenti a categorie professionali, al pari degli esercenti funzioni costituzionali, sono soggetti a sanzioni disciplinari sia per condotte c.d. funzionali, che per fatti extrafunzionali, sempre che le une e gli altri siano idonei a incidere sulla connotazione deontologica della categoria di riferimento.

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro affermato che, sebbene l’art. 10 del D.Lgs. C.P.S. n. 233 del 1944 non escluda che l’Ordine professionale possa sanzionare comportamenti tenuti al di fuori dello stretto esercizio della libera professione, esso implica che il potere disciplinare dell’Ordine non possa incidere sul rapporto di impiego, con la P.A. o con altri.

Sempre la giurisprudenza ha ulteriormente chiarito che se l’organo disciplinare ha la funzione di valutare il comportamento del sanitario sotto l’aspetto deontologico, esso tuttavia non può sindacare l’attività amministrativa dell’ente pubblico, con il quale, con la nomina di un soggetto quale dirigente, si genera un rapporto di immedesimazione organica, con conseguente imputazione all’ente dell’azione del dirigente medesimo.

La CCEPS (Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie), alla luce del quadro normativo sopra illustrato, ha ritenuto

“sottratto al potere disciplinare dell’Ordine il comportamento del medico riconducibile all’ambito dell’esercizio di mansioni o funzioni pubbliche e non riferibile ad attività svolte nell’interesse personale del professionista (decisione n. 16 dell’8 giugno 1991), né all’attività professionale in genere (decisione n. 41 del 21 febbraio 2000).”

La conclusione nel caso in commento

Secondo la Cassazione, nel caso in esame l’Ordine territoriale dei Medici ha agito in carenza di potere, poiché ha sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della sua professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, per atti non compresi fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine.

La decisione impugnata è stata dunque cassata e la controversia decisa nel merito con annullamento della sanzione disciplinare irrogata al medico e compensazione le spese del giudizio.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. II, n. 16421 del 30 luglio 2020