Quando un trattamento innovativo è rimborsabile dal SSN? Il caso del Metodo Di Bella

L’eventuale efficacia meramente individuale di una terapia per la quale non esistano obiettive evidenze scientifiche – quale il cd. multitrattamento Di Bella – non può giustificare l’accollo della relativa spesa al Servizio Sanitario Nazionale e dunque alla collettività.

Oggi vi segnalo una recente ordinanza della Corte di Cassazione (la n. 28541 del 5 novembre 2019) che concerne il tema di rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale dei trattamenti innovativi, con particolare riferimento al cd. multitrattamento Di Bella.

Il caso

Una signora, malata oncologica, si sottopone al c.d. multitrattamento Di Bella per la cura della sua malattia e chiede il rimborso del relativo costo al Servizio Sanitario Nazionale.

A fronte del rigetto della sua richiesta da parte della AUSL, la paziente si rivolge ai giudici: il Tribunale accoglie la domanda volta ad ottenere la somministrazione della cura a carico del SSN, la Corte d’Appello invece riforma la pronuncia di primo grado, rigettando la domanda della paziente.

Vediamo qual è l’esito della valutazione della Corte di Cassazione.

Quando un trattamento innovativo può essere posto a carico del SSN?

Il primo motivo di ricorso in Cassazione della paziente concerne l’omessa valutazione da parte della Corte di merito dell’acclarata efficacia dimostrata dalla terapia Di Bella nel suo caso specifico. L’apprezzamento di tale efficacia, infatti, sarebbe stato sufficiente – secondo la paziente – ad attrarre la terapia nell’ambito dei trattamenti alternativi che, ai sensi del D.l. n. 536/1996, possono e devono essere posti a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

L‘art. 1, comma 4, del d.l. n. 536/1996 stabilisce che, a partire dal 1° gennaio 1997, sono erogabili a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale, qualora non esista una valida alternativa terapeutica:

  • i medicinali innovativi, la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale
  • i medicinali non ancora autorizzati, ma sottoposti a sperimentazione clinica, e
  • i medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, inseriti in apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione Unica del Farmaco.

Secondo la Corte, al fine della valutazione dei requisiti richiesti dalla legge nel caso di specie, va valorizzato l’esito della sperimentazione a suo tempo effettuata ed ormai conclusa, che aveva evidenziato l’assenza di risposte favorevoli in ordine alla verifica dell’attività antitumorale del trattamento in parola. Infatti,

“l’Istituto Superiore della Sanità … (ha) escluso che il c.d. multitrattamento Di Bella possa costituire una valida alternativa terapeutica secondo la formula usata dall’art. 1, comma 4, cit., rispetto a quella tradizionale”.

Pertanto, correttamente la Corte d’Appello ha escluso la rimborsabilità da parte del SSN dei trattamenti utilizzati in questione dalla paziente.

L’eventuale efficacia meramente individuale della cura è irrilevante

Argomentare diversamente, prosegue la Corte, equivarrebbe a sostenere che un trattamento medico-farmacologico dovrebbe essere posto a carico della collettività anche a fronte di una mera “speranza terapeutica” individuale, in contrasto con il consolidato principio secondo cui,

“al fine del riconoscimento del diritto alla erogazione da parte del S.S.N. di cure tempestive non erogabili dal servizio pubblico, l’evidenza scientifica dei benefici apportati alla salute dalla terapia o cura richiesta costituisce requisito imprescindibile della domanda”,

l’adeguatezza della terapia rispetto al singolo caso potendo venire in rilievo solo per escludere che terapie corroborate scientificamente possano comunque essere concesse.

In tale ultimo senso deve intendersi il rilievo alla necessità che il giudice di merito tenga conto del principio di appropriatezza fissato dalla norma di legge e operi in relazione ad esso anche il giudizio di efficacia della terapia,

“non potendo l’eventuale efficacia meramente individuale di una terapia per la quale non esistano obiettive evidenze scientifiche giustificare l’accollo alla collettività della relativa spesa”.

Una posizione consolidata

Con la sentenza in commento la Cassazione ripropone una sua posizione consolidata in materia.

Sul tema della non rimborsabilità, da parte del SSN, del metodo Dikul o R.I.C. – un metodo di rieducazione motoria intensa, continuativa e personalizzata per soggetti colpiti da lesioni midollari – si veda anche l’ordinanza n. 6775 del 17 aprile 2019. Anche in quel caso, la Cassazione ha ritenuto la cura scelta dal paziente priva di validazione scientifica e ha chiarito che, per l’erogazione gratuita di prestazioni sanitarie da parte del Servizio Sanitario Nazionale, si richiede il rispetto dei seguenti criteri concorrenti:

– che le prestazioni presentino, per le specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, validate da parte della comunità scientifica;

– il principio di appropriatezza, che impone che vi sia corrispondenza tra la patologia e il trattamento secondo un criterio di stretta necessità, tale da conseguire il migliore risultato terapeutico con la minore incidenza sulla qualità della vita del paziente;

l’economicità nell’impiego delle risorse, che impone infine di valutare la presenza di altre forme di assistenza meno costose e volte a soddisfare le medesime esigenze, di efficacia comparabile, considerando quindi la possibilità di adeguati e tempestivi interventi terapeutici concorrenti o alternativi erogabili dalle strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale.

Si tratta di requisiti che coniugano ragionevolmente le diverse esigenze, concernenti la sfera della collettività ed i condizionamenti derivanti dalle risorse finanziarie di cui lo Stato dispone per organizzare il Servizio sanitario, da un lato, e la tutela individuale del diritto alla salute come ambito inviolabile della dignità umana, dall’altro lato. D’altra parte,

“la pretesa di scelta della modalità tecnica della cura presso un centro non accreditato con il S.S.N. non può derivare solo dal maggiore gradimento soggettivo, occorrendo l’inettitudine delle metodiche pubbliche anche sotto il profilo psicologico- motivazionale”.

Per concludere

Alla luce di quanto precede, la Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso della paziente, confermando la statuizione della Corte d’Appello e condannandola al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un nuovo, interessante argomento!

Nel frattempo, resta collegato o iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.

A presto!

SCARICA I DOCUMENTI

Cassazione Civile, Sez. L., n. 28541 del 5 novembre 2019

Cassazione Civile, Sez. L., n. 6775 del 17 aprile 2019