Consenso informato (parte seconda): l’estensione dell’obbligo informativo

Nell’ipotesi di inosservanza dell’obbligo di informazione in ordine alle conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto, viene a configurarsi a carico del sanitario – e, di riflesso, della struttura per cui egli agisce – una responsabilità per violazione dell’obbligo del consenso informato in sé e per sé, non assumendo alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell’illecito, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.

 

Dopo il post introduttivo della scorsa settimana, torniamo a parlare di consenso informato trattando del contenuto ed estensione degli obblighi informativi del professionista medico.

 

Il contenuto dell’obbligo informativo: quando l’informazione data al paziente può considerarsi adeguata

In tema di attività medico-chirurgica è stato ritenuto che l’informazione da fornire al paziente debba essere specifica e dettagliata e deve concernere, in modo completo ed esaustivo, tutti i dati scientificamente possibili riguardanti le terapie che il medico intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità, onde porre il paziente in condizione di prepararsi ad affrontare l’intervento con maggiore e migliore consapevolezza ed eventualmente rifiutare il trattamento, anche in fase terminale.

Queste informazioni devono includere:

* la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico e/o chirurgico

* le modalità d’esecuzione e le prevedibili conseguenze – rischi e risultati conseguibili – del trattamento prospettato

* in particolare, le possibili conseguenze negative dello stesso, incluso il possibile aggravamento delle condizioni di salute del paziente e l’impatto sui vari aspetti della vita (lavorativo etc.)

* l’eventuale impegno, in termini di sofferenze, del percorso riabilitativo post-operatorio

* le possibili alternative terapeutiche esistenti, così come i possibili esiti del non trattamento

* gli eventuali limiti di adeguatezza dell’organizzazione della struttura ospedaliera al trattamento prospettato

 

Ci sono limiti all’obbligo informativo?

Devono essere comunicate al paziente, con necessaria e ragionevole precisione, le conseguenze probabili, possibili o comunque non imprevedibili dell’intervento del trattamento prospettato.

Secondo varie pronunce, l’obbligo informativo non si estende ai soli rischi imprevedibili, ovvero gli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il nesso di causalità tra l’intervento e l’evento lesivo. Al di là di tale limite, l’obbligo copre tutte le informazioni scientificamente disponibili sulle “conseguenze normalmente possibili sia pure infrequenti (tanto da apparire “straordinarie”) sul bilancio rischi/vantaggi dell’intervento”.

L’informazione deve dunque essere data anche quando la probabilità di verificazione dell’evento sia, da un lato, così scarsa da essere prossima al fortuito e, dall’altro lato, così alta da renderlo pressoché certo, in quanto solo al paziente spetta la valutazione, in ultima battuta, dei rischi che intende correre (vedi Cass. Civ., Sez. III, n. 19212 del 29.9.2015, allegata al mio ultimo articolo).

 

Il caso

Nel 1996, una bambina viene sottoposta ad intervento di tonsillectomia, durante il quale si verificano due eventi concomitanti (ritenuti) straordinari: un distacco precoce dell’escara, avvenuto in seconda giornata post-operatoria, ed un’emorragia eccezionale, che hanno esito mortale.

Di tali possibili eventi – proprio in forza della relativa eccezionalitànon era stata data dai sanitari dovuta informazione ai genitori, i quali agiscono dunque in giudizio contro la struttura sanitaria al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti da mancata informazione.

Il Tribunale accoglie la domanda, la Corte d’Appello riforma poi la sentenza appellata condannando i genitori a restituire quanto ricevuto a titolo di risarcimento del danno morale.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia il caso a nuova valutazione della Corte d’Appello, evidenziando come i sanitari avrebbero dovuto rappresentare ai genitori della piccola tutti i rischi che potevano essere incorsi con l’intervento, indipendentemente dalla loro relativa eccezionalità.

Secondo la Corte, infatti, non può essere rimesso all’apprezzamento del sanitario, sulla base di un mero calcolo statistico, la valutazione se rendere il paziente edotto o meno dei rischi, anche se ridotti, che possano incidere sulle sue condizioni fisiche o, addirittura, sulla sua vita. E ciò è particolarmente quando “il male da estirpare non sia particolarmente grave, l’intervento operatorio non sia particolarmente urgente, ed i rischi connessi ad esso siano presenti anche se statisticamente eccezionali e di scarso rilievo” (si veda la pronuncia della Cass. Civ., Sez. III, n. 27751 del 11.12.2013).

Lo stesso vale, a maggior ragione, quando in gioco c’è un bene considerato essenziale dell’individuo (per esempio, la vista).

 

La forma corretta è essenziale: no a moduli standard e a prestampati

È stato puntualizzato che non adempie all’obbligo di fornire un valido consenso informato il medico il quale ritenga di sottoporre al paziente, perché lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente medesimo abbia ottenuto in modo esaustivo, anche verbalmente, tutte le informazioni necessarie (Cass. Civ., Sez. III, n. 2177 del 4.2.2016).

In tale ottica, è stato ritenuto insufficiente a provare l’adempimento dell’obbligo di acquisire un valido consenso informato un documento prestampato, privo di data e non indicante il nome della paziente.

 

Attenzione alla firma

Quanto alle modalità di sottoscrizione del modulo, una recente sentenza del Tribunale di Firenze (n. 824 del 20 marzo 2018, G.U. Dott.ssa Zanda) ha condannato la struttura ospedaliera convenuta al pagamento in via equitativa dell’importo di € 10.000 per ciascuno degli interventi chirurgici eseguiti, sulla base della considerazione che la sottoscrizione del paziente non era riportata sia sul modulo contenente l’informativa relativa all’intervento, sia sul separato modulo di consenso.

Il consenso informato non va visto come un atto meramente burocratico, bensì come il frutto di un rapporto onesto e leale tra medico e paziente: anche se firmato, un modulo sottoscritto senza una compiuta spiegazione al paziente del contenuto scritto può dunque essere contestato, e sarà il giudice a valutare l’attendibilità della dichiarazione resa dal paziente con la sottoscrizione, così come quella degli eventuali testimoni chiamati a confermare che le informazioni – o parte di esse – sono state date al paziente verbalmente.

 

Il caso

Una paziente, affetta da miopia corretta con lenti, si sottopone presso una clinica universitaria ad un primo intervento di cheratomia all’occhio sinistro; successivamente, si sottopone presso diversa struttura ad analoga cheratomia radiale all’occhio destro e ad intervento “di ritocco” all’occhio già operato.

Prima del secondo intervento era stato consegnato alla paziente un depliant informativo, redatto dall’oculista, contenente l’indicazione dei possibili rischi dell’intervento di cheratomia radiale cui la stessa si sarebbe sottoposta e contenente l’espresso avvertimento che il vero limite dell’intervento era rappresentato da una relativa imprevedibilità, tale per cui sarebbe potuto residuare un difetto visivo, per quanto inferiore rispetto a quello originario; avvertiva inoltre il paziente che non si trattava di intervento di chirurgia estetica per cui, in mancanza di obbiettivi problemi nell’uso di occhiali ed intolleranza alle lenti a contatto, l’intervento non doveva considerarsi consigliabile.

All’esito del secondo intervento la paziente riporta, dopo un iniziale beneficio, un peggioramento delle condizioni visive iniziali, con residuo visivo di 2/10 all’occhio destro e 3/10 all’occhio sinistro. La paziente agisce dunque contro le due strutture sanitarie per ottenere il risarcimento del danno.

La CTU eseguita in corso di giudizio conferma che gli interventi erano stati correttamente eseguiti: sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano nel merito le pretese della paziente. La Corte di Cassazione giudica invece incompleto e dunque inidoneo il depliant informativo, in quanto contenente sì l’indicazione dei possibili rischi dell’intervento di cheratomia radiale cui si era sottoposta la paziente, ma carente dell’indicazione dei disturbi che erano eventi possibili di rilevanza statistica dell’intervento pur eseguito correttamente. Infatti la regressione del visus, quale conseguenza pregiudizievole di maggior rilievo occorsa alla donna, è stata considerata evento diametralmente opposto quello di un possibile “residuo difetto visivo, seppure di molto inferiore a quello di partenza”, indicato nel depliant (vedi la sentenza Cass. Civ., Sez. III, n. 2177 del 4.2.2016). La sentenza è stata dunque cassata e sottoposta a nuova decisione della Corte d’Appello in diversa composizione.

 

In sintesi

È sempre necessario assicurarsi che le informazioni date al paziente – specialmente quelle relative a rischi, percorso riabilitativo e possibili postumi negativi dell’intervento o trattamento – siano il più possibile complete ed esaustive.

Qualora il testo del modulo a disposizione del sanitario sia limitato o non sufficiente considerate le peculiarità del caso concreto, lo stesso andrà alternativamente sostituito con un modulo ad hoc, oppure integrato verbalmente o per iscritto, anche sulla base delle procedure in uso, ed andrà altresì assicurato che l’integrazione informativa sia adeguatamente documentata in modo tale da essere utilizzabile in giudizio in caso di necessità.

In ogni caso, sia il modulo che le eventuali integrazioni andranno adeguatamente illustrate al paziente e fatte sottoscrivere in ogni loro parte.

 

La prossima settimana torneremo sul tema e ci occuperemo dei dettagli più specifici della veicolazione dell’informazione al paziente.

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A PRESTO!

 

 

LEGGI I DOCUMENTI

Cass. Civ., Sez. III, n. 27751 del 11.12.2013

Cass. Civ., Sez. III, n. 2177 del 4.2.2016