L’obbligo del sanitario di acquisire il consenso informato del paziente costituisce legittimazione e fondamento del trattamento atteso che, senza la preventiva acquisizione del consenso, l’intervento medico è – al di fuori dei casi di trattamento sanitario obbligatorio per legge o di stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente.
L’inadempimento da parte del sanitario del suddetto obbligo costituisce violazione del diritto inviolabile all’autodeterminazione del paziente.
Dopo aver trattato l’argomento dei doveri informativi del medico con riferimento ai risultati diagnostici (vedi il mio post Come informare correttamente il paziente sui risultati diagnostici), oggi esaminiamo la tematica del consenso informato, ovverosia come si atteggia l’obbligo di informare il paziente in vista – e non all’esito – di un trattamento sanitario.
La materia è stata resa oggetto di numerosissime pronunce, anche recenti, della Cassazione e merita particolare attenzione anche in considerazione delle possibili conseguenze dell’intervento medico in mancanza di consenso o con consenso reso a seguito di informativa inidonea.
Ma facciamo un passo indietro.
Che cos’è il consenso informato? E da dove deriva l’obbligo di ottenerlo?
Per consenso informato intendiamo l’espressione di consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, quale diritto costituzionalmente garantito di ogni persona.
L’obbligo del medico di ottenere il consenso informato del paziente trova fondamento innanzitutto negli artt. 2 e 32, II co. della Costituzione – secondo i quali “la libertà personale è inviolabile” e “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per legge”-, nonché nel Codice di deontologia medica, artt. 33 – 39, nelle convenzioni internazionali (la convezione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina del 1997 e la Carta di Nizza del 2000 su tutte) e in varie norme di legge dello Stato: ricordiamo solo la più recente in ordine di tempo, la Legge 22.12.2017, n. 219 in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (cd. legge sul testamento biologico).
Quando è necessario il consenso?
Il consenso del paziente ad un trattamento sanitario è necessario sempre e comunque, salvo che si tratti di trattamento sanitario obbligatorio per legge o che ricorra uno stato di necessità.
Al di fuori di tali casi, è irrilevante che l’intervento sia eseguito nell’interesse del paziente: se senza consenso, il trattamento è e resta illecito.
Per poter intervenire lecitamente senza previo consenso informato – per esempio, per fare dei cambiamenti durante un intervento programmato e consentito dal paziente – è necessario che si verifichi un fatto nuovo che ponga a repentaglio la vita del paziente stesso e renda il nuovo intervento urgente e necessitato sotto il profilo medico.
Il caso
Nel gennaio 1998, una signora viene ricoverata con una diagnosi di cisti paraovarica sinistra e conviene con il medico di fiducia di essere sottoposta ad intervento in laparoscopia per la soluzione del problema. Nel corso dell’intervento, in considerazione della situazione rivelatasi endoscopicamente, la tecnica operatoria viene mutata dal chirurgo da laparoscopica a lapatoromica.
A seguito dell’intervento, la paziente accusa delle complicanze e deve essere sottoposta ad altri due interventi, a seguito dei quali la stessa presenta denuncia penale e agisce in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni per allegata responsabilità del chirurgo.
La Cassazione, pur prendendo atto che l’intervento era stato eseguito dal chirurgo in conformità alle buone pratiche operatorie, rileva che il passaggio alla tecnica chirurgica invasiva era stato effettuato senza il previo espresso consenso della paziente, sulla base della scelta discrezionale del medico, di scopo eminentemente pratico, di evitare alla paziente la necessità di una nuova anestesia.
Sulla base di quanto precede la Corte ha ritenuto essere stato violato il diritto della paziente al consenso informato, in quanto il passaggio alla tecnica invasiva era avvenuto senza alcuna urgenza che comportasse “gravissimo pericolo per la vita della persona” (vedi la sentenza della Cass. Civ., Sez. III, n. 16543 del 28.7.2011).
Ma come deve venire raccolto il consenso?
Ricordiamo innanzitutto che l’acquisizione del consenso (o del dissenso) del paziente è “atto di specifica ed esclusiva competenza del medico” e che non è delegabile (art. 35 Codice di deontologia medica).
Il consenso alla prestazione medica deve poi essere personale (salvi i casi di incapacità di intendere e volere del paziente), specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo.
No al consenso verbale, né presunto o tacito
Con riferimento all’attività medico-chirurgica, la Corte di Cassazione ha espressamente e ripetutamente escluso la validità del consenso prestato verbalmente, affermando che
“il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso” (Cass. Civ., sentenza n. 2369 del 31 gennaio 2018).
Si segnala tuttavia anche una recentissima pronuncia che ritenuto accettabile il consenso prestato in forma verbale da una paziente in relazione all’assunzione di un trattamento farmacologico, in specifica considerazione “della situazione concreta e della natura del trattamento stesso, dopo che le erano stati adeguatamente illustrati sia i potenziali rischi che comportava la sua sintomatologia, sia le ragioni che consigliavano la scelta terapeutica, sia le relative conseguenze” (Cass. Civ., sentenza n. 9179 del 13 aprile 2018).
In ogni caso, il consenso non potrà mai essere presunto (perché, per esempio, si assume essere stato prestato in occasione di precedenti analoghi trattamenti) o tacito, ma dovrà essere pienamente consapevole e completo. Inoltre, dovrà essere fornito dal paziente in modo espresso dopo aver ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita.
Attenzione, perché a fronte di una contestazione da parte del paziente, la prova sul se e come il consenso è stato prestato ricade sul medico.
Per completezza, ricordiamo che l’Art. 1 Legge 22.12.2017, n. 219 ha stabilito che
“Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare.”
Il caso
Una signora straniera è vittima di un incidente sciistico, all’esito del quale riporta lesioni al ginocchio destro. Ricoverata in clinica, viene sottoposta ad intervento chirurgico ad entrambi gli arti inferiori, all’esito del quale cita in giudizio clinica e chirurgo, contestando di non aver prestato alcun consenso verbale all’intervento al ginocchio sinistro: e ciò in quanto l’eventuale consenso dato non poteva essere considerato valido, posto che era stato prestato da soggetto sotto narcosi e che non conosceva l’italiano.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano le richieste della paziente; la Corte di Cassazione riforma la sentenza impugnata, ritenendo non validamente prestato il consenso espresso oralmente dalla paziente (vedi la sentenza della Cass. Civ., Sez. III, n. 19212 del 29.9.2015).
In sintesi
È sempre necessario discutere col paziente ogni aspetto rilevante del trattamento proposto ed assicurarsi che la prestazione del consenso da parte di quest’ultimo sia data in modo espresso ed adeguatamente tracciata in un documento (scritto o anche videoregistrato) che non lasci dubbi in merito alla completezza dell’informazione fornita dal medico e del consenso manifestato da parte del paziente, in modo da evitare future contestazioni sul punto.
Torneremo la prossima settimana sul tema del consenso informato, con specifico riferimento al contenuto ed estensione degli obblighi informativi del professionista medico.
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LEGGI I DOCUMENTI
Codice di deontologia medica, artt. 33 – 39
Art. 1 Legge 22.12.2017, n. 219