La responsabilità del medico apicale per l’operato dei collaboratori di reparto

Allorché il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria struttura, di detto evento risponderà eventualmente unicamente il medico subordinato.

A contrario, qualora l’apicale non programmi adeguatamente il lavoro dei collaboratori e non controlli l’ottemperanza ai criteri di organizzazione e di assegnazione a sé o ad altri medici dei pazienti ricoverati, incorrerà in responsabilità per l’inadempimento agli obblighi sia di indirizzo terapeutico, sia di verifica e vigilanza sulle prestazioni di diagnosi e cura affidate ai medici da lui delegati.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Suprema Corte (Cassazione Penale, Sez. IV, n. 50619 del 16 dicembre 2019) concernente il perimetro della responsabilità penale del medico apicale per i fatti commessi dai suoi collaboratori.

Il caso

Un signore viene ricoverato nella struttura organizzativa complessa (SOC) di pneumologia di un ospedale in quanto affetto da broncopolmonite. Solo undici giorni dopo il paziente decede per sopravvenuto shock settico.

Il decesso viene correlato a molteplici errori diagnostici e terapeutici dei dirigenti medici coinvolti nella gestione del paziente; il direttore della SOC, d’altra parte, viene condannato per non avere esercitato le proprie funzioni di indirizzo e di vigilanza sulle prestazioni dei medici da lui dipendenti, omettendo di impartire direttive e istruzioni terapeutiche adeguate al caso concreto e non controllando l’attuazione delle stesse, e così per non aver impedito, in sostanza, la commissione degli errori diagnostico-terapeutici che avrebbero condotto all’evento mortale. Il Tribunale gli irroga altresì la misura della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio per la durata di sei mesi, in relazione a un’imputazione provvisoria di omicidio colposo in regime di cooperazione colposa con altri indagati.

I motivi di impugnazione del Direttore della SOC

Il Direttore della SOC impugna il provvedimento in questione contestando, tra l’altro, di aver affidato il paziente alle cure di medici a lui subordinati e di essere stato presente in reparto durante in tre dei giorni di degenza del paziente, ma senza mai visitarlo e senza essere mai coinvolto direttamente nella gestione del caso clinico dai medici che se ne stavano occupando: non poteva certo esigersi dal primario ospedaliero l’assunzione in carico della cura di tutti i malati, né un obbligo di controllo nei confronti dei medici subordinati tale da non consentire alcun margine di affidamento sulla correttezza del loro operato.

La delega di funzioni del medico apicale (e i suoi limiti)

Secondo la Cassazione, le censure in questione non colgono nel segno.

Da un lato, deve senz’altro escludersi che il medico di vertice abbia in carico la cura di tutti i malati ricoverati nel proprio reparto. Il medico in posizione apicale ha infatti, oltre che compiti medico-chirurgici propri, anche l’obbligo di dividere il lavoro fra sé e gli altri medici del reparto e di verificare che le direttive e istruzioni che impartisce relativamente alle prestazioni di diagnosi e cura che devono essere effettuate siano correttamente attuate.

Come la Suprema Corte ha già affermato in passato,

“L’organizzazione del lavoro attraverso l’assegnazione dei pazienti (anche) ad altri medici assolve ad una funzione di razionalizzazione dell’erogazione del servizio sanitario: con lo strumento dell’assegnazione, il primario suddivide con precisione ruoli e competenze all’interno del reparto. Il che, peraltro, risponde anche ad esigenze di carattere prettamente cautelare, essendo del tutto evidente che il singolo paziente potrà ricevere cure più efficaci ed efficienti se ha a disposizione medici specificamente incaricati di seguirne il decorso patologico e diagnostico-terapeutico”

(Cass. Pen., Sez. 4, n. 18334 del 21/06/2017, depositata 2018).

Tuttavia, al medico in posizione apicale è consentito di trasferire a collaboratori subordinati funzioni mediche di alta specializzazione o la direzione di intere strutture semplici (con riferimento al medico in posizione intermedia) così come la cura di singoli pazienti ricoverati nella struttura (con riferimento al medico in posizione iniziale), solo a fronte dell’adempimento di specifici obblighi di garanzia connessi all’esercizio dell’organizzazione ospedaliera.

La posizione di garanzia del medico in posizione apicale

Il dirigente medico ospedaliero è infatti titolare di una posizione di garanzia a tutela della salute dei pazienti affidati alla struttura,

“perché i decreti legislativi n. 502 del 1992 e n. 229 del 1999 di modifica dell’ordinamento interno dei servizi ospedalieri hanno attenuato la forza del vincolo gerarchico con i medici che con lui collaborano, ma non hanno eliminato il potere – dovere in capo al dirigente medico in posizione apicale di dettare direttive generiche e specifiche, di vigilare e di verificare l’attività autonoma e delegata dei medici addetti alla struttura, ed infine il potere residuale di avocare a sé la gestione dei singoli pazienti”

(Cass. Pen, Sez. 4, Sentenza n. 47145 del 29/09/2005).

Se dunque è vero che il primario non ha l’obbligo di valutare tutti i casi che entrano in reparto, a meno che non gli venga segnalata la portata anomala di alcuno di essi, questo non lo esime totalmente da responsabilità in relazione all’operato dei subordinati, perché

“attraverso (la) delega il medico apicale “delegante” non si libera completamente della propria originaria posizione di garanzia, conservando una posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull’operato dei delegati. Obbligo di garanzia che si traduce, in definitiva, nella verifica del corretto espletamento delle funzioni delegate e nella facoltà di esercitare il residuale potere di avocazione alla propria diretta responsabilità di uno specifico caso clinico”.

Quando può essere esclusa la responsabilità del primario?

Pertanto, la responsabilità del primario ospedaliero va esclusa

“allorché il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria struttura”

(così Cass. Pen., n. 18334/2018), con ciò implicitamente affermando a contrario che la responsabilità è ipotizzabile allorché il medico apicale non abbia svolto in modo adeguato quei compiti.

L’esito del giudizio

Sulla base delle circostanze di fatto accertate nel giudizio cautelare del caso oggi in commento, è risultato che il primario in questione:

* non avesse adeguatamente programmato il lavoro dei collaboratori

* non avesse controllato l’ottemperanza ai criteri di organizzazione e di assegnazione a sé o ad altri medici dei pazienti ricoverati

* avesse omesso di adempiere agli obblighi sia di indirizzo terapeutico, sia di verifica e vigilanza sulle prestazioni di diagnosi e cura affidate ai medici da lui delegati.

Se il medico era stato presente in reparto anche solo per tre giorni, in quei giorni egli avrebbe potuto e dovuto ottemperare ai compiti di verifica e di vigilanza a lui affidati, adempimenti che sono totalmente mancati nel caso di specie.

Il motivo di impugnazione in questione è stato dunque rigettato, per quanto l’ordinanza sia stata annullata e rinviata per nuovo esame del Tribunale per mancanza di rischio di reiterazione delle condotte contestate.

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Cassazione Penale, n. 50619 del 16 dicembre 2019