Cartella clinica lacunosa: le regole dell’onere della prova in giudizio

Il medico ha l’obbligo di curare e di controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati, la cui violazione comporta un difetto di diligenza.

Pertanto, in caso di giudizio, eventuali mancanze nelle annotazioni di fatti medici essenziali in cartella clinica e nei referti, che pongano il paziente nell’impossibilità di provare i propri asserti, potranno essere interpretate nell’interesse del paziente e contro il medico che ne abbia omesso l’annotazione.

Oggi vi segnalo una sentenza della Cassazione (Cass. Civ., Sez. III, n. 29498 del 14 novembre 2019) concernente il tema della possibile lacunosità dei documenti medici ed il relativo impatto sull’onere della prova in giudizio.

Il caso

Un paziente, ricoverato in una struttura sanitaria per un intervento di ernia inguinale, vede le sue condizioni progressivamente peggiorare, fino al decesso per defedamento.

Gli eredi agiscono in giudizio contro l’ASL ed il policlinico dove il paziente era stato ricoverato, allegando che il defedamento sarebbe stato originato da una condotta medica o infermieristica ed avrebbe avuto poi esito letale perché non adeguatamente curato durante la degenza.

Il Tribunale accoglie le pretese dei parenti e condanna l’ASL al risarcimento.

La Corte d’Appello rivede invece la decisione, ritenendo incensurabile la condotta dall’ASL.

Vediamo qual è l’esito del giudizio degli eredi avanti alla Corte di Cassazione.

Il motivo principale di impugnazione

Uno dei motivi di impugnazione della sentenza d’appello da parte degli eredi del paziente concerne l’erronea valutazione, da parte della Corte d’Appello, di pretese mancanze presentate dalla cartella clinica.

In sintesi, secondo gli eredi, i giudici avrebbero erroneamente accolto la tesi dell’ASL secondo cui il paziente era entrato in ospedale già in condizione di defedamento; in realtà, la cartella clinica non indicava l’esistenza di tale condizione al momento del ricovero. Pertanto, la condizione stessa non poteva essere preesistente al ricovero, ma sarebbe stata causata da un errore o da noncuranza del personale medico o infermieristico.

In altri termini, la mancanza di annotazione in cartella clinica della condizione di defedamento del paziente avrebbe dovuto essere interpretata, nel dubbio, contro i medici – e cioè nel senso dell’origine iatrogena della sindrome da defedamento – che avevano il dovere di curare con diligenza la compilazione e completezza della cartella clinica.

Se la cartella clinica è lacunosa, il giudice può considerare come provati i fatti mancanti…

In effetti, la giurisprudenza della Cassazione è ormai stabilizzata nell’attribuire una incidenza decisiva alle eventuali lacune della cartella clinica nella ricostruzione delle vicende sanitarie del paziente, al fine di evincerne la sussistenza o meno di una responsabilità dei sanitari tenuti a compilare la cartella stessa o della struttura di appartenenza.

In altre parole, qualora il paziente sia impossibilitato ad ottenere ed a produrre in giudizio un documento medico che costituisca la prova delle sue affermazioni e questa impossibilità sia imputabile alla condotta dello stesso sanitario convenuto in giudizio – che non ha compilato in modo adeguato la cartella clinica o il documento in questione per tentare in qualche modo di eclissare il suo comportamento – il Tribunale potrà presumere che le affermazioni del paziente siano provate.

… a certe condizioni

Ma ciò a determinate condizioni:

“l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno”

(così Cass. Civ. Sez. III, n. 27561 del 21 novembre 2017, pubblicata e commentata nel mio postLa lacunosità della cartella clinica non può ricadere sul paziente”.

Ciò significa innanzitutto che l’incompletezza della cartella potrà andare a scapito del medico soltanto se l’omessa annotazione concerna una condotta medica astrattamente idonea a causare il danno patito dal paziente: qualora, al contrario, la condotta del sanitario (non menzionata in cartella clinica) sia inidonea a causare il danno, non occorrerebbe alcuna ricostruzione del preteso contenuto mancante della cartella.

Il fatto mancante deve porsi come anello essenziale nella catena causale che ha condotto al danno

In secondo luogo, l’incompletezza della cartella deve essere tale da impedire la ricostruzione della catena causale dei fatti che hanno condotto all’evento di danno.

Solo in questo caso opererà il cd. principio di vicinanza della prova: se il paziente, senza sua colpa ma anzi per colpa del medico che ha mal compilato la documentazione clinica, non disponga dei documenti necessari per provare la condotta medica che l’ha danneggiato, tale mancanza verrà interpretata a favore del paziente stesso, presumendo la realizzazione della condotta del medico.

Diversamente argomentando, dell’incompletezza della documentazione medica verrebbe a giovarsi proprio colui che, violando il proprio obbligo di diligente compilazione della documentazione stessa, ha dato origine a tale incompletezza:

“il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 1176, comma secondo, cod. civ. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale”

(così Cass. Civ., Sez. III, n. 20101 del 18 settembre 2009).

Questo principio interpretativo a favore del paziente delle eventuali mancanze della documentazione clinica opera non solo al fine dell’eventuale accertamento della colpa del medico, ma anche del nesso eziologico (ovverosia di causa-effetto) fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente.

In sintesi

Nel caso in commento, la Cassazione ha ritenuto l’impugnazione degli eredi del paziente infondata posto che, in realtà, il tema della discussione in giudizio concerneva non tanto l’origine della patologia che aveva condotto il paziente al decesso e le eventuali lacune della documentazione clinica al riguardo, quanto il preteso difetto di assistenza in ordine alle conseguenze della patologia stessa in corso di ricovero (assistenza che era stata in realtà giudicata ineccepibile).

Pertanto, l’omessa annotazione dell’eventuale preesistenza o meno della patologia non concerneva una condotta centrale ai fini della prova del nesso causale in giudizio. Il motivo è stato dunque giudicato inammissibile e rigettato.

 

Per concludere

È sempre consigliabile che la compilazione della cartella clinica e dei referti sia completa ed accurata ed evidenzi ogni circostanza del caso concreto ed aspetto dell’attività svolta che possa risultare importante in caso di future contestazioni da parte del paziente, per evitare il rischio di presunzioni operanti contro il medico annotante.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un altro interessante argomento!

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A presto!

LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 29498 del 14 novembre 2019