La responsabilità della guardia medica per omessa prescrizione di accertamenti diagnostici

Il medico di guardia medica non risponde della morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, solo laddove non risulti verificato l’inadempimento del sanitario nella forma di condotta omissiva, ovvero nella forma di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa e, dunque, solo laddove l’evento di danno non si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, alla condotta del sanitario stesso

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Corte di Cassazione (n. 19372 del 7 luglio 2021) in tema di responsabilità della guardia medica per omissione di accertamenti clinici doverosi.

Il caso

Un signore di 43 anni si reca dalla guardia medica lamentando un dolore al petto “sordo, oppressivo, come di mancanza d’aria”.

Il medico lo visita e lo dimette con una diagnosi di “dolore al petto causato da stato d’ansia da stress”, suggerendo – in caso di persistenza dei dolori – di attivarsi per effettuare un elettrocardiogramma.

Il paziente accederà nuovamente alla guardia medica la notte successiva, decedendo poi per dissecazione aortica.

La moglie ed i figli instaurano dunque una causa contro il medico e la ASP d’appartenenza al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa del decesso del loro caro.

Il Tribunale rigetta le domande degli eredi; la Corte d’Appello, dopo aver disposto una nuova consulenza tecnico d’ufficio medico-legale, sovverte però la sentenza di primo grado ed accoglie le domande degli eredi, giudicando il medico e la ASP responsabili per la condotta negligente tenuta dal primo in occasione della visita del paziente e per la sua incauta dimissione.

Ricorrono in Cassazione tutte le parti del procedimento. Vediamo qual è l’esito della valutazione della Suprema Corte.

La posizione della Corte d’Appello

Secondo la c.t.u. svolta in grado d’appello e valorizzata dalla sentenza, “il dolore da stress è l’ultimo dei dolori toracici in una scala da 1 a 10 di possibili cause (IASP) ed è veramente insolito considerarlo tale senza fare altre indagini, tanto più in un paziente giovane, di 43 anni, anamnesticamente esente da patologie di qualunque organo od apparato, con un elemento di rischio costituito dal fumo”.

Secondo la Corte d’Appello, va ritenuta pertanto sussistente nel caso di specie, in base al criterio probabilistico, “l’incidenza della condotta colposa del medico nella determinazione della morte del paziente” e ciò in quanto la sintomatologia dolorosa lamentata dal paziente al momento del primo accesso alla guardia medica era da ascrivere all’iniziale fissurazione a livello aortico.

L’immediato invio del paziente presso l’Ospedale più vicino per i necessari approfondimenti diagnostici avrebbe dunque consentito l’individuazione di tale iniziale fissurazione aortica circa quarantott’ore prima della “drammatica rottura” poi occorsa:

“Se si fosse pervenuti ad una tempestiva diagnosi, sarebbe stato possibile procedere ad un opportuno trattamento chirurgico con buone possibilità di sopravvivenza, anche tenuto conto della giovane età del soggetto”.

Il principale motivo di impugnazione del medico

Il medico impugna la sentenza di condanna sulla base di quattro motivi di impugnazione, il principale dei quali consiste nell’asserito “errore sintattico-lessicale” su cui si sarebbe basata la sentenza, la quale avrebbe mal interpretato l’affermazione resa dallo stesso ricorrente nel corso dell’interrogato formale e secondo cui “se persisteva la sintomatologia, (il paziente) avrebbe dovuto effettuare un elettrocardiogramma”.

Tale dichiarazione non era stata assunta, come era logico, nella sua “natura ipotetica”, bensì come una proposizione affermativa e da essa traendo, erroneamente, la conferma che il dolore toracico del paziente era ancora in essere al momento della dimissione, e che di ciò esso sanitario sarebbe stato consapevole.

Inoltre, la Corte d’Appello aveva erroneamente applicato nel caso concreto una pronuncia della stessa Cassazione (Cass. Civ. 15 maggio 2012, n. 7529), secondo cui “Non risponde il medico di guardia medica della morte del paziente visitato e dimesso che non ha osservato le prescrizioni del sanitario”.

La decisione della Cassazione nel caso in commento

Secondo la Suprema Corte, i motivi di impugnazione dedotti dal medico nel suo ricorso sono inammissibili.

La sentenza della Corte d’Appello basa la sua condanna nei confronti del medico e della ASP non tanto sulla “mancata diagnosi a quel momento di dissecazione aortica, sia pure in fase iniziale”, quanto sulla “mancata prosecuzione dell’iter diagnostico di fronte ad una sintomatologia dolorosa toracica persistente che necessitava di un approfondimento clinico-strumentale al fine di pervenire all’accertamento della natura del dolore”. E ciò perché

“di fronte al quadro clinico presentato dal paziente, anche con negatività all’esame fisico semeiotico, il sanitario avrebbe dovuto prendere in considerazione la necessità di dover effettuare una compiuta diagnosi differenziale circa la natura del dolore toracico e quindi avviarlo presso qualsiasi struttura sanitaria in grado di effettuare esami di primo grado o secondo livello per un adeguato approfondimento diagnostico”.

Il medico di guardia è responsabile se risulta accertato il suo inadempimento a condotte da ritenersi doverose

Inoltre, l’impugnazione del medico si basa sull’erronea comprensione della pronuncia della stessa Suprema Corte richiamata dal medesimo ricorrente a propria discolpa (Cass. 15 maggio 2012, n. 7529), poiché il principio enunciato dalla Corte in quell’occasione poteva essere tutt’al più espresso con la seguente massima:

non risponde il medico di guardia medica della morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, allorché non risulti verificato l’inadempimento del sanitario nella forma di condotta omissiva ovvero nella forma di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa e, dunque, dove l’evento di danno non si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, con la condotta del sanitario stesso”.

Questo è il principio che, secondo la Cassazione, meglio si attaglia al caso di specie giustificando la decisione resa in grado d’appello e che fa anche cadere la stessa accusa, formulata dal medico, di “autoresponsabilità del paziente” per la sua sorte, per non aver seguito la pretesa “prescrizione medica” di eseguire ulteriori esami. In realtà, quella data dal medico era una “mera indicazione al paziente di provvedere, esso stesso, ad un esame diagnostico nel caso di persistenza dei sintomi”, ma nel caso di specie era il medico che avrebbe dovuto inviare il paziente, come misura di cautela per scongiurare l’evento tragico poi occorso, presso una qualsiasi struttura in grado di eseguire l’elettrocardiogramma.

Sulla base di quanto precede il ricorso è stato rigettato, con compensazione delle spese di lite.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 19372 del 7 luglio 2021