Sotto un profilo giuridico, allorché, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso, si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”; ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile, e in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”.
Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12596 del 12 maggio 2021) che torna sul concetto di complicanza e sul suo valore giuridico quale esimente della responsabilità medica.
Il caso
Nel 2011 una signora viene sottoposta ad intervento chirurgico di biopsia stereotassica, necessario per indagare una lesione espansiva multiforme nell’emisfero cerebrale sinistro. Subito dopo l’intervento, la paziente cade in stato di coma e, al suo risveglio 4 giorni dopo, riporta una emiparesi destra con afasia, che la costringe in stato di non autosufficienza fino al decesso, sopravvenuto 16 mesi più tardi.
Il marito e la figlia instaurano dunque una causa contro i medici che avevano eseguito l’intervento e la struttura sanitaria d’appartenenza, deducendo che l’esecuzione scorretta della biopsia aveva determinato la morte della paziente, nonché la riduzione del tempo di sopravvivenza ed il peggioramento della qualità della vita della stessa fino al decesso.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano le domande degli eredi, ritenendo inesistente il nesso causale tra l’esame ed il decesso della paziente. Vediamo qual è l’esito della valutazione della Corte di Cassazione.
La posizione delle Corti di merito
Secondo la Corte d’Appello chiamata a decidere il caso, la condizione di emiparesi che aveva colpito la paziente era riconducibile non ad una negligenza medica, bensì all’edema acuto cerebrale e al danno ischemico occorsi durante l’intervento, complicanze non prevenibili, né evitabili nel caso concreto.
Inoltre, la patologia da cui la stessa era affetta (astrocitoma anaplastico), non avrebbe potuto avere un esito differente, indipendentemente dalla biopsia eseguita, anche considerato che il tempo di sopravvivenza della paziente era stato compatibile con la media di vita prevista dalla letteratura medica riguardo pazienti affetti da analoga patologia.
Nel loro ricorso in Cassazione gli eredi contestano tale impostazione, allegando in particolare che la Corte di merito non avrebbe chiarito perché l’emiparesi fosse una complicanza riconducibile a ischemia (e ad altra, più probabile origine); né avrebbe spiegato perché essa fosse inevitabile nel caso di specie.
Quando la complicanza è rilevante per il diritto
Secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata ha correttamente inteso applicare la giurisprudenza di legittimità riguardo al tema della “complicanza”, disponendo che
“allorché, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso, si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una: o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”; ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile, e in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze””.
Sulla differente rilevanza – sotto il profilo medico e sotto il profilo giuridico – del concetto di complicanza, vedi il mio precedente post “Quando la complicanza esclude la responsabilità medica”.
Secondo i consulenti tecnici d’ufficio che aveva valutato il caso, la condizione di emiparesi che aveva colpito la paziente dopo la biopsia era riconducibile scientificamente alla condizione di edema acuto cerebrale e danno ischemico che avevano colpito la signora durante la biopsia. Tali condizioni venivano valutate dai CTU come “complicanze previste nei casi di biopsia diretta e profonda dell’encefalo, ma non possono essere prevenute ed evitate“.
Sulla scorta di tali conclusioni la Corte d’Appello ha (correttamente) ritenuto superata la presunzione di colpevolezza operata dall’art. 1218 c.c. ed esclusa l’esistenza di un nesso eziologico tra l’evento e la biopsia e la condizione di emiparesi, proprio perché la complicanza non era frutto di errore, ma rappresentava un evento possibile e non altrimenti evitabile.
L’onere della prova in tema di inadempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria
A quanto precede, sul tema dell’onere della prova nei giudizi di responsabilità medica, la Cassazione ha aggiunto che, laddove
“sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione”.
Sulla base di quanto sopra e posto che, nel caso concreto, sono risultati provati entrambi i requisiti (adempimento della prestazione sanitaria conforme alle leges artis, da un lato, e inevitabilità e imprevedibilità in concreto dell’evento lesivo, dall’altro lato), il ragionamento svolto dalla Corte d’Appello è stato giudicato incensurabile e le domande degli eredi della paziente rigettate, con condanna al pagamento delle spese di lite.
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