Nessuna responsabilità per il contagio da virus causato da emotrasfusione se quest’ultima era indifferibile

Nonostante sia dimostrato il nesso di causalità tra emotrasfusioni e l’avvenuto contagio del paziente da virus HVC, se risulta che i medici si sono comportati diligentemente e che il paziente fosse in condizioni tali da rendere indifferibile la trasfusione, sussiste uno stato di necessità che scrimina la responsabilità medica, quand’anche abbia causato un danno.

Oggi vi segnalo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. III, n. 15867 del 13 giugno 2019) in tema di danni da emotrasfusione e possibile esclusione della responsabilità medica giustificata dalle condizioni del paziente.

 

Il caso

Nel 1974 un ragazzo – allora quattordicenne – viene sottoposto ad un intervento chirurgico al ginocchio, in conseguenza del quale lo stesso si trova in pericolo di vita. Per cercare di salvare il paziente, i medici sottopongono il ragazzo a trasfusione di quattro sacche di sangue, senza preventivamente acquisire il consenso né dal paziente né dai genitori.

Dalle emotrasfusioni deriva il contagio del giovane da virus HCV, che si manifesta solo molti anni dopo, e la conseguente degenerazione di una patologia epatica in cirrosi.

In conseguenza di questi fatti il paziente ed i suoi congiunti, circa trent’anni dopo, chiedono il risarcimento dei danni subiti alla ASL, al Comune d’appartenenza ed al Ministero della Salute.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano le domande risarcitorie, ritenendo che il contagio non sarebbe stato in alcun modo evitabile e costituisse, al momento in cui fu praticata la trasfusione, il male minore rispetto all’imminente pericolo di vita in cui si trovava il paziente.

Oggi esaminiamo l’esito del ricorso in Cassazione.

Se l’intervento medico è indifferibile, l’eventuale responsabilità per i danni causati è scriminata

Nel caso in commento, la consulenza tecnica d’ufficio svolta ha dimostrato che, sulla base delle conoscenze mediche del tempo, la condotta dei medici era stata corretta dal punto di vista diagnostico e terapeutico e che, viceversa, il contagio da HCV non sarebbe stato evitabile con l’ordinaria diligenza.

Nonostante l’accertamento positivo del nesso di causalità, ovverosia della sussistenza di un rapporto causa-effetto tra le trasfusioni ed il contagio, era risultata altresì certa l’assoluta indifferibilità delle trasfusioni per scongiurare il rischio di vita del paziente.

Le Corti inferiori hanno pertanto ritenuto che il paziente si trovasse in condizioni tali da non poter evitare la trasfusione, sicché

in presenza di uno stato di necessità, la responsabilità dei sanitari, quand’anche foriera di un fatto dannoso, ne è stata certamente scriminata. Il comportamento della struttura sanitaria è stato adeguato, ed alcuna responsabilità può essere validamente riferita alla stessa struttura in termini di evitabilità dell’evento dannoso.

Irrilevante l’omesso consenso informato se manca la prova che il paziente, se adeguatamente informato, non si sarebbe sottoposto all’intervento o trattamento proposto

In merito alla contestazione della circostanza che le emotrasfusioni erano state somministrate in assenza di qualsiasi informativa e consenso sia da parte del paziente minorenne che dei suoi genitori, la Cassazione sottolinea innanzitutto

  • le condizioni molto gravi, di pericolo di vita, del paziente al momento delle trasfusioni
  • la validità, sotto un profilo medico, dell’indicazione delle stesse

e conclude pertanto che era ben possibile assumere che i genitori del ragazzo, se fossero stati debitamente informati sui rischi delle trasfusioni, avrebbero certamente dato il loro consenso alle stesse.

La pronuncia dà continuità alla giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui

per poter configurare la lesione del diritto ad essere informato, occorre raggiungere la prova, anche tramite presunzioni che, ove compiutamente informato, il paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute”.

In caso di condotta medica diligente e conforme alle leges artis, per ritenere risarcibile il danno alla salute derivante da violazione del consenso informato, è dunque necessaria la prova – da offrire anche mediante presunzioni – che, se adeguatamente informato, il paziente avrebbe scelto di intraprendere un percorso terapeutico diverso rispetto a quello effettivamente attuato. Mancando tale prova, non sussiste alcun danno alla salute risarcibile nel caso concreto.

Sul punto delle possibili conseguenze dell’omesso consenso informato a seconda delle diverse situazioni, vedi anche il mio post “Consenso informato (parte quarta): le conseguenze della violazione”.

Per concludere

Sulla base di quanto precede, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso e l’ha dunque rigettato, ritenendo sussistenti validi motivi per compensare le spese del giudizio ma in ogni caso condannando i ricorrenti al pagamento di un importo pari al contributo unificato in forza della loro soccombenza.

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Torniamo la prossima settimana su un nuovo interessante argomento!

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Cassazione Civile, Sez. III, n. 15867 del 13.6.2019