Il consenso informato in procreazione medicalmente assistita (parte I): contenuti e criticità

Il post di oggi, concernente il delicato tema del consenso informato in procreazione medicalmente assistita, è stato da me scritto a quattro mani con il Dottor Roberto Liguori, ostetrico-ginecologo con esperienza decennale in ostetricia e ginecologia forense, autore di numerose pubblicazioni scientifiche ed iscritto all’Albo dei CTU del Tribunale di Bari dal 2010, che condivide con noi la sua esperienza in tema di PMA.

Il medico e la procreazione medicalmente assistita

La procreazione medicalmente assistita (PMA), lo sappiamo, comprende una serie di metodiche mediche complesse (che includono inseminazione omologa, fecondazione in vitro e trasferimento embrionale) finalizzate ad aiutare una coppia che desidera, ma non riesce ad avere, un figlio. LA PMA cerca dunque di dare una soluzione ad una situazione molto complessa non solo dal punto di vista clinico, ma anche psicologico, etico ed umano.

Il ruolo svolto dal medico in questa dinamica è in tutta evidenza estremamente importante, in quanto non solo il professionista è chiamato a scegliere la procedura appropriata al caso concreto – secondo scienza e coscienza e sulla base del principio di gradualità terapeutica delle tecniche utilizzabili, sancito dalla legge 40/2004 – ma deve anche gestire la comunicazione con la coppia interessata, in un momento molto delicato della vita della coppia stessa.

Il ruolo della comunicazione e del consenso in PMA

Il consenso informato al trattamento viene a svolgere un ruolo fondamentale nell’accesso della coppia alla PMA.

Da un lato, infatti, la coppia ha la necessità di essere compiutamente informata su tutti gli aspetti concernenti le diverse tecniche disponibili e sul loro impatto nella vita di ciascuno.

Dall’altro lato, la materia è estremamente complessa ed implica tutta una serie di questioni (cliniche, giuridiche e bioetiche) e scelte che non possono in alcun caso essere rimesse alla decisione di un soggetto terzo rispetto alla coppia interessata.

A ciò s’aggiunga che il rapporto medico-paziente è, in questo ambito, uno dei rapporti empaticamente più difficili da instaurare, perchè la difficoltà riproduttiva è frequentemente un fattore limitante del rapporto terapeutico e causa di sfiducia nei confronti del medico.

La complessità degli obblighi informativi ed il delicato equilibrio che caratterizzano questa materia rischiano dunque di esporre il sanitario ad importanti responsabilità nei confronti della coppia.

Per far fronte a questo rischio, gli obblighi informativi del medico sono stati – anche grazie all’opera delle società scientifiche che si occupano di riproduzione e dell’Istituto Superiore di Sanità – specificamente normati (cfr. l’art. 6 della Legge n. 40/2004, nonché il D.M. n. 265 del 28 dicembre 2016) con l’adozione di linee guida e di una traccia di consenso scritto che, pur nelle sue linee sostanziali, è di essenziale supporto alle strutture sanitarie che si occupano della materia.

Il contenuto dell’informazione da dare alla coppia che richiede l’accesso alla PMA

Il professionista medico, nel proporre e concordare con la coppia il ricorso ad una tecnica di PMA, dovrà illustrare e spiegare ai richiedenti una serie di “elementi minimi di conoscenza necessari alla formazione del consenso informato”, elencati nell’art. 1 del D.M. n. 265/2016. Tali elementi includono:

1) gli aspetti giuridici della procedura, e cioè

  • la possibilità della coppia di ricorrere, in alternativa alla PMA, agli strumenti offerti dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di affidamento ed adozione;
  • i requisiti oggettivi e soggettivi di accesso alle tecniche e le conseguenze giuridiche per l’uomo, per la donna e per il nascituro;
  • le sanzioni previste in caso di violazione delle norme di legge;
  • l’informativa sulla raccolta e trattamento dei dati personali raccolti;

2) i problemi bioetici conseguenti all’applicazione delle tecniche;

3) gli aspetti tecnici delle diverse tecniche impiegabili, inclusi:

  • le procedure e le fasi operative di ciascuna tecnica, con particolare riguardo alla loro invasività nei confronti della donna e dell’uomo;
  • l’impegno richiesto ai richiedenti (con riguardo anche ai tempi di realizzazione, all’eventuale terapia farmacologica da seguire, agli accertamenti strumentali e di laboratorio da esperire, alle visite ambulatoriali ed ai ricoveri);
  • gli effetti indesiderati o collaterali relativi ai trattamenti;
  • le probabilità di successo delle diverse tecniche, espresse come possibilità di nascita di un bambino vivo (anche in funzione dell’età della donna);
  • i rischi, accertati o possibili, per la madre e per il nascituro, evidenziati dalla letteratura scientifica;
  • i possibili effetti psicologici per i singoli richiedenti, per la coppia e per il nato, conseguenti all’applicazione delle tecniche di PMA;
  • le caratteristiche della PMA di tipo eterologo e tutti gli aspetti peculiarmente connessi alla stessa (inclusi i rischi specifici ed i mezzi disponibili per attenuarli; la possibilità che il nato da PMA di tipo eterologo, una volta adulto, possa essere oggetto di anamnesi medica inappropriata, se non a conoscenza delle modalità del proprio concepimento; l’impegno di comunicare al centro eventuali patologie insorte, anche a distanza di tempo, nella donna, nel nascituro o nel nato, e di cui è ragionevole ipotizzare la presenza antecedentemente alla donazione, etc.);
  • la possibilità, volontarietà e gratuità della donazione di gameti, nonché la non rivelabilità dell’identità del o dei riceventi al donatore o alla sua famiglia e viceversa;
  • la possibilità ed implicazioni della crioconservazione degli embrioni, incluso il rischio di produrre embrioni soprannumerari;
  • la possibilità di crioconservazione dei gameti per successivi trattamenti di fecondazione assistita, ed eventualmente anche al fine della donazione per fecondazione di tipo eterologo;
  • i limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni;
  • i costi economici totali derivanti dalla procedura adottata.

Le informazioni devono essere fornite in relazione a ciascuna delle tecniche applicate, in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa.

Le modalità dell’informazione e della raccolta del consenso

Le informazioni sopra viste vanno presentate ad entrambi gli interessati, in modo chiaro ed esaustivo, da parte del medico incaricato, nel corso di uno o più colloqui pre-accesso.

Una delle peculiarità della PMA, infatti, consiste nel fatto che il consenso non debba essere prestato esclusivamente dal soggetto che di regola è il destinatario diretto del trattamento terapeutico (ovverosia la donna), ma debba essere necessariamente espresso da entrambi gli aspiranti genitori.

La volontà di accedere al trattamento è espressa mediante una dichiarazione che deve essere tassativamente rilasciata per iscritto in duplice copia dai richiedenti, congiuntamente al medico responsabile della struttura. Una copia di tale dichiarazione dovrà essere conservata presso la struttura stessa.

Ferma la necessità per la struttura di adempiere agli obblighi informativi per ogni fase del trattamento, il consenso dovrà essere rinnovato solo in caso di rilevate problematiche o anomalie del processo.

Ma il consenso alla PMA, dato da ciascun componente della coppia, può essere revocato? Entro quali limiti? E cosa succede in caso di violazione delle regole sopra viste in tema di informazione e raccolta del consenso?

Risponderemo a questi interrogativi la prossima settimana, nella seconda parte del post!

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A presto!

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Legge n. 40 del 19 febbraio 2004D.M. n. 265 del 28 dicembre 2016

D.M. n. 265 del 28 dicembre 2016