La diligenza del medico? Varia in base al grado di specializzazione e di efficienza della struttura

La diligenza esigibile dal medico non è sempre la medesima, ma varia col variare del grado di specializzazione di cui egli sia in possesso e del grado di efficienza della struttura nella quale egli si trova ad operare.

 

Questa settimana vi segnalo una sentenza del Tribunale di Bergamo (n. 2489 del 4 ottobre 2017) che bene sintetizza i principi fondamentali in tema della diligenza esigibile dal medico nell’adempimento dei suoi obblighi professionali.

 

Il caso

Una signora viene ricoverata presso il reparto di psichiatria di un ospedale per disturbi ansioso – depressivi.

Durante uno dei pasti, la paziente rimane soffocata inghiottendo un boccone di pane, andando incontro ad arresto cardiaco ed asfissia e, in ultima analisi, ad uno stato vegetativo permanente.

I congiunti agiscono quindi in giudizio nei confronti dell’Azienda ospedaliera e del primario del reparto di psichiatria, domandandone la condanna al risarcimento dei danni patiti dalla donna e sostenendo che

° da un lato, la paziente si era soffocata a causa delle difficoltà di deglutizione causate dalla massiccia terapia farmacologica di sedazione prescrittale: pertanto, alla signora non era stata ordinata una dieta adeguata alle sue condizioni e la stessa non era stata assistita nel momento dell’assunzione del pasto;

° dall’altro lato, durante il soffocamento, il soccorso prestatole da parte del personale sia del reparto che del 118 era stato intempestivo ed inadeguato.

 

Solo le condotte doverose possono avere rilievo al fine di un addebito responsabilità al professionista

In merito al primo dei suddetti temi il Tribunale parte dal presupposto che, se una condotta – che ha avuto o potrebbe aver avuto una rilevanza nella causazione di un danno – non è “doverosa” avuto riguardo al parametro della diligenza del medico medio e tenuto conto delle circostanze del caso concreto, è evidente che non si possa elevare nei confronti del sanitario alcun addebito in caso di relativa mancanza.

Nel caso di specie, la paziente era un’ospite storica del reparto di psichiatria della struttura e, prima dell’episodio in questione, mai aveva manifestato problemi particolari nel deglutire o nell’alimentarsi da sola; in secondo luogo, non vi erano elementi per poter ritenere che quel giorno la paziente avesse assunto farmaci tali da compromettere la sua capacità di deglutizione.

In concreto, dunque, le condizioni della paziente non erano tali da richiedere né una dieta liquidaun’assistenza personale ai pasti, e non v’era dunque alcun addebito da sollevare nei confronti dei medici di reparto ai riguardo.

 

Quando sussiste la colpa del professionista

La colpa del professionista si sostanzia, oltre che nell’inosservanza di leggi, regolamenti, regole e discipline, nella violazione degli aspetti della diligenza, della prudenza e della perizia.

La diligenza, in particolare, indica il modello di condotta obbiettivamente dovuto in concreto, lo sforzo a cui il soggetto è tenuto per la salvaguardia dell’interesse altrui, e la cui violazione obbliga al risarcimento dell’eventuale danno.

La diligenza va correlata alla natura dell’attività professionale esercitata ed alla qualificazione del soggetto: lo specifico settore di competenza in cui rientra la suddetta attività richiede infatti la conoscenza ed applicazione delle relative norme tecniche, nonché l’uso degli strumenti tecnici adeguati al tipo di attività ed allo standard professionale della categoria.

Il primo standard di riferimento è dunque quello della diligenza non dell’uomo comune, ma del “buon professionista” (cfr. art. 1176 c.c., co. II).

 

Ma qual è la diligenza richiesta in concreto al medico?

Applicando i principi sopra visti alla materia medica, si considerano il criterio della specializzazione del professionista sanitario e le dotazioni della struttura in cui egli opera: la diligenza esigibile dal medico nell’adempimento della sua prestazione professionale non è sempre la stessa, ma varia col variare del grado di specializzazione di cui egli sia in possesso e del grado di efficienza della struttura in cui lo stesso si trova ad operare. Pertanto

dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza è esigibile una diligenza più elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione od inserito in una struttura meno avanzata.

Tale standard vale a determinare il contenuto della perizia professionale dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità del professionista.

 

Al medico la valutazione della propria adeguatezza professionale

La difficoltà dell’intervento e la diligenza richiesta al professionista vanno dunque valutate in concreto: è il medico stesso a dover valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, rapportandoli al livello della sua specializzazione ed alle strutture tecniche a sua disposizione e ricorrendo anche all’ausilio di un consulto se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo.

Il professionista deve inoltre adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative che possono incidere sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento, ovvero, ove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, fino a consigliarlo – purché che non vi sia urgenza di intervenire – il ricovero in una struttura più idonea.

 

Per concludere

Alla luce dei principi sopra riassunti il Tribunale di Bergamo ha dunque rigettato le domande risarcitorie, ritenendo che:

  • non vi fosse la prova che la paziente era sedata il giorno dell’incidente; inoltre, le sue condizioni non erano tali da richiedere una dieta liquida, un’assistenza personale ai pasti: mancava dunque la “doverosità” della condotta che si allegava essere stata violata dai sanitari;
  • il personale del reparto era intervenuto immediatamente ed in modo idoneo (considerata la rispettiva preparazione) al primo manifestarsi dell’emergenza; anche l’intervento del rianimatore del 118 – a fronte del fallimento della manovra di Heimlich eseguita dal personale del reparto – era stato, tutto considerato, tempestivo.

 

In sintesi

Il medico è sempre responsabile, secondo scienza e coscienza, per le attività che svolge conformemente alla sua specializzazione ed alle dotazioni della struttura in cui opera.

Tale standard costituisce una misura obbiettiva, che prescinde dalle concrete capacità individuali della persona. In altri termini si deve escludere che il professionista sanitario, ove privo delle cognizioni tecniche richieste, possa ritenersi esentato dall’adempiere l’obbligazione con la perizia richiesta dalla natura dell’attività esercitata: egli sarà pertanto responsabile in caso di danni causati dalle sue mancanze.

 

Torniamo la prossima settimana con un altro, interessante argomento!

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LEGGI I DOCUMENTI

Tribunale di Bergamo, sentenza n. 2489 del 4 ottobre 2017

Art. 1176 c.c.