La posizione di garanzia del medico nelle attività multidisciplinari

In ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico.

Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Cassazione Penale (n. 28316 del 12 ottobre 2020), che riassume i principi in tema di posizione di garanzia del medico nelle attività multidisciplinari.

Il caso

Un paziente, ricoverato presso il reparto di pneumologia di un ospedale in quanto affetto da empiema pleurico e focolaio bronco pneumonico destro, viene sottoposto a toracentesi.

Il giorno successivo, la pneumologa di turno rileva che le condizioni del paziente hanno subito un peggioramento durante la notte e decide di chiedere consulenza chirurgica.

Il chirurgo – lo stesso che aveva effettuato il precedente intervento – ed un collega decidono di eseguire sul posto una nuova toracentesi, senza l’utilizzo di una guida ecografica e senza attendere i risultati della TAC, che la pneumologa aveva nel frattempo richiesto.

Quest’ultima, presente nella stanza di degenza del paziente, convoca l’infermiera di reparto per assistere all’intervento e si pone davanti al paziente – seduto sulla sponda del letto – per sostenerlo e facilitare le manovre operatorie. I chirurghi, posti alle spalle del paziente, commettono l’errore di praticare la toracentesi sul polmone sano, causando la morte del paziente per arresto cardiocircolatorio dovuto ad asfissia acuta.

I tre medici vengono imputati per omicidio colposo.

Il Giudice di primo grado assolve la pneumologa dall’accusa, sostenendo che la stessa non poteva considerarsi parte dell’equipe che aveva effettuato la toracentesi sul paziente, e che non avrebbe potuto in alcun modo rendersi conto dell’errore dei colleghi chirurghi, essendo la sede dell’intervento coperta dal corpo dello stesso paziente.

La Corte d’appello capovolge il giudizio, ritenendo invece che la condotta complessiva tenuta dalla pneumologa confermasse la sua partecipazione attiva all’atto chirurgico.

Vediamo qual è l’esito del ricorso in Cassazione.

Quali le condizioni per ritenere la partecipazione attiva del medico all’équipe operatoria?

La Corte di Cassazione si interroga innanzitutto in merito all’effettiva partecipazione – o meno – della pneumologa all’atto operatorio, che si pone come premessa essenziale al fine dell’affermazione di una sua responsabilità penale, e vi dà risposta positiva sulla base della considerazione che il medico, accettando di reggere il paziente per rendere possibile l’intervento chirurgico e chiamando l’infermiera di reparto munita del carrello con la strumentazione necessaria per l’intervento, accettò di prendere parte all’intervento stesso, “entrando a comporre la equipe medica, di cui condivise le modalità operative.

Tale assunto, spiega la Corte, si fonda sui principi affermati dalla stessa Cassazione in tema di assunzione da parte del medico degli obblighi protettivi nei confronti del paziente e di instaurazione del rapporto terapeutico. Vediamoli brevemente di seguito.

Innanzitutto, al fine dell’individuazione dei destinatari di tali obblighi protettivi, vengono in rilievo non tanto la qualifica formalmente rivestita, quanto le funzioni in concreto esercitate dal garante. In altri termini, la posizione di garanzia può essere generata anche da un comportamento concludente, consistente nella presa in carico del bene protetto (cioè del paziente).

Nel caso di specie, la pneumologa ha assunto una posizione di garanzia nei confronti del paziente non soltanto in forza della sua qualifica formale, appunto, di medico pneumologo addetto al reparto in cui questi si trovava ricoverato, ma anche dalla intervenuta, volontaria partecipazione all’intervento chirurgico.

La presa in carico del bene protetto, nel momento della effettuazione dell’intervento chirurgico, comportò la partecipazione della imputata all’attività di équipe, con conseguente assunzione degli obblighi protettivi nascenti dall’instaurato rapporto, di carattere protettivo e anche di controllo I sanitari, infatti realizzarono una congiunta attività terapeutica, con una ripartizione di compiti e di ruoli: i chirurghi, a tergo, praticarono la toracentesi e la (pneumologa) resse il paziente per consentire la espansione toracica.”

Come opera il “passaggio di responsabilità” tra diversi titolari della posizione di garanzia

, secondo la Corte, è possibile affermare che la responsabilità della pneumologa sia venuta meno per il solo fatto che altri chirurghi – titolari di altrettante posizioni di garanzia – abbiano operato sul paziente, ponendo in essere l’erronea attività invasiva che l’ha condotto al decesso.

Qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela finchè non si sia esaurito il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia

In caso di successione di posizioni di garanzia, in base al principio dell’equivalenza delle cause, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione di una norma precauzionale operata dal primo garante e l’evento, quando tale comportamento non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata.

La cooperazione multidisciplinare e l’obbligo di reciproco controllo

La Corte ribadisce poi che

In tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico.

Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Né può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata”.

Ovviamente, l’esigibilità in concreto di una data condotta da un sanitario deve essere valutata in relazione alla posizione e alle competenze specifiche del soggetto agente. Per approfondimenti sul tema, si veda anche il mio precedente post “Lavoro in équipe e limiti della responsabilità medica per omesso controllo altrui”.

Con riferimento specifico alla posizione del capo équipe, un’altra recentissima sentenza della Cassazione ha precisato che

il capo dell’équipe medica è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, che non è limitata all’ambito strettamente chirurgico, ma si estende al successivo decorso post-operatorio”.

Le conclusioni nel caso in commento

Nel caso in commento, il medico imputato possedeva sicuramente le competenze idonee – la sua qualifica di pneumologa – a far ritenere dovuto un controllo da parte sua sulla condotta dei colleghi chirurghi.

Secondo la Corte la pneumologa, in quanto “primo garante” del paziente, per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto:

  • pretendere dai colleghi che l’intervento venisse eseguito con guida ecografica, attenzione che avrebbe consentito di mantenere il contatto visivo ed evitare il tragico errore, e
  • poi controllare l’operato dei colleghi nel corso dell’attività operatoria, verificando che si intervenisse sul polmone malato.

Alla luce di quanto sopra, il ricorso è stato rigettato e la condanna confermata.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un nuovo, interessante argomento.

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A presto!

Leggi le sentenze

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 28316 del 12 ottobre 2020

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 32871 del 1° dicembre 2020