Su chi grava l’obbligo di conservazione della cartella clinica?

Il medico è responsabile della compilazione e della conservazione della cartella clinica per tutta la durata del ricovero del paziente.

Tale obbligo si esaurisce nel momento in cui il medico consegna la cartella all’archivio centrale, momento a partire dal quale la responsabilità per omessa conservazione della cartella si trasferisce in capo alla struttura sanitaria e, per essa, alla direzione sanitaria.

Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Corte di Cassazione (Cassazione Civile, Sez. III, n.18567 del 13 luglio 2018) in materia di conservazione della documentazione clinica.

 

Il caso

Un paziente, affetto da sindrome coronarica acuta e stenosi dei vasi coronarici, viene sottoposto ad intervento di rivascolarizzazione miocardica con l’innesto di cinque bypass.

Dopo l’intervento si evidenziano problemi di instabilità emodinamica e di tenuta delle suture, che rendono necessario un secondo intervento di revisione delle suture.

A seguito di un’infezione da stafilococco aureo con ascesso nel cavo mediastinico si rende necessario un terzo intervento di revisione sternale, ma l’infezione non si arresta ed il paziente decede.

Gli eredi del paziente agiscono dunque contro la clinica per ottenere il risarcimento del danno subito; la clinica chiama in causa il cardiochirurgo, l’anestesista e l’assistente.

Il Tribunale accerta che il decesso è ascrivibile ad infezione nosocomiale, imputabile a carenze strutturali ed organizzative della casa di cura, ma anche che la condotta dei sanitari non è del tutto esente da responsabilità, avendo comunque svolto un ruolo nel decesso del paziente; la clinica e due dei medici vengono dunque condannati a risarcire agli eredi un importo di circa 900.000 Euro.

La Corte d’Appello modula diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale le responsabilità tra i convenuti, estendendo la responsabilità per il decesso del paziente anche al terzo sanitario.

Uno degli elementi chiave evidenziati nel corso dell’istruttoria è la mancanza, in atti, di intere parti della cartella clinica del paziente, che la casa di cura – dopo l’inizio della causa – aveva denunziato essere stata smarrita.

La Corte d’Appello rileva che, a fronte del deficit di diligenza e perizia rilevati a carico dei sanitari, sarebbe stato onere degli stessi provare che la causa dell’insorgenza dell’infezione era avulsa dall’intervento medico. Non avendo fornito la prova liberatoria, la Corte ritiene i medici parzialmente responsabili della morte del paziente, argomentando che le carenze della cartella clinica – la quale, pur incompleta, aveva comunque evidenziato mancanze dei sanitari – non possono ripercuotersi a danno del paziente, posti gli obblighi non solo di corretta compilazione, ma anche di conservazione della documentazione clinica sussistenti a carico dei medici e della struttura sanitaria.

Uno dei principali motivi del ricorso in Cassazione dei sanitari concerne dunque l’applicazione del principio di vicinanza della prova nel caso di specie, posto che – secondo la difesa dei professionisti – l’obbligo di conservazione della documentazione clinica dovrebbe gravare, dopo la consegna all’archivio centrale, solo sulla struttura sanitaria: pertanto, in caso di smarrimento della cartella clinica da parte di quest’ultima, il medico non dovrebbe subirne alcuna conseguenza pregiudizievole sotto il profilo della difesa.

 

Obbligo di compilazione ed obbligo di conservazione della cartella clinica

Nella motivazione, la Suprema Corte distingue innanzitutto l’obbligo di compilazione della cartella clinica, certamente gravante sui medici, dall’obbligo di conservazione della stessa.

Ai sensi dell’Art. 7 D.P.R. n. 128 del 1969, per tutta la durata del ricovero, responsabile della compilazione e della conservazione della cartella clinica è il medico; in particolare, il responsabile dell’unità operativa ove è ricoverato il paziente. Tali obblighi cessano nel momento di consegna della cartella all’archivio centrale, momento a partire dal quale la responsabilità per omessa conservazione della cartella si trasferisce in capo alla struttura sanitaria, e quindi alla direzione sanitaria (Art. 5 D.P.R. n. 128 del 1969).

 

Come e per quanto devono essere conservati i documenti clinici?

Fino a quando verrà completato il processo di digitalizzazione degli archivi sanitari, volto ad ovviare i problemi connessi allo smarrimento ed alla deperibilità naturale dei documenti cartacei e che comporterà il passaggio dalle cartelle cliniche cartacee alle cartelle cliniche digitali, la documentazione clinica andrà conservata in luoghi appropriati, non soggetti ad alterazioni climatiche e non accessibili da estranei.

L’obbligo di conservazione della cartella, come ribadito dalle successive circolari ministeriali, è illimitato nel tempo, perché le stesse rappresentano un atto ufficiale.

 

La violazione dell’obbligo di corretta conservazione della documentazione da parte della struttura non può andare a danno del medico

Come noto, il principio di vicinanza alla prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella clinica, prevede che le eventuali carenze od omissioni nella compilazione della documentazione clinica non possono andare a danno del paziente, il quale ne è un fruitore solo passivo (vedi, al riguardo, il mio post la lacunosità della cartella clinica non può ricadere sul paziente).

Chiarisce la Cassazione che, per la successiva fase di conservazione, tale principio non può operare nemmeno in pregiudizio del medico: dal momento in cui l’obbligo di conservazione della documentazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’eventuale perdita od omessa conservazione grava esclusivamente su quest’ultima. La violazione dell’obbligo di conservazione non può dunque riverberarsi sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio. Infatti,

i medici possono trovarsi, in caso di smarrimento della cartella clinica ad opera della struttura sanitaria, in posizione simmetrica a quella del paziente, rischiando a loro volta di essere pregiudicati dalla impossibilità di documentare le attività svolte e regolarmente annotate sulla cartella clinica.”

 

Il medico deve avere un ruolo attivo nella difesa

La Cassazione evidenzia tuttavia come, nelle cause di responsabilità sanitaria, il ruolo dei medici chiamati in causa insieme alla struttura sanitaria è un ruolo attivo, nel senso che, ove convenuti, devono attivarsi per articolare nel modo migliore la propria difesa.

Per quanto i professionisti medici non possano dunque ritenersi gravati dagli obblighi di conservazione nei termini sopra indicati, essi non sono esenti dall’ordinario onere probatorio:

sono gli stessi medici, che abbiano scrupolosamente compilato la cartella clinica, a poterne e doverne richiedere copia alla struttura per acquisirne disponibilità al fine di articolare le proprie difese e di produrla in giudizio.

Pertanto, secondo la Cassazione, i medici che non abbiano essi stessi la disponibilità della copia della cartella clinica, hanno l’onere di richiederne una copia all’inizio della causa e di curarne la produzione in giudizio.

In mancanza, non possono pretendere che siano imputate alla struttura sanitaria eventuali lacune della documentazione clinica prodotta in giudizio se, come nella specie, la struttura sanitaria dichiari di aver smarrito l’originale della cartella.

 

In sintesi

Nel caso di specie, la Cassazione ha dunque rigettato il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto di affermare la responsabilità anche dei professionisti sanitari sulla base di titoli autonomi – e non sotto il profilo dell’omessa conservazione della cartella clinica – in forza della documentazione (lacunosa) acquisita agli atti del processo.

La conferma della condanna dei medici è dunque fondata sulla considerazione che, per quanto agli stessi non potesse essere imputato lo smarrimento della cartella clinica, era loro onere di provare che l’insorgenza dell’infezione – che aveva condotto il paziente al decesso – andasse ascritta a causa diversa e specificamente accertata, anomala ed imprevedibile, del tutto avulsa dall’intervento medico, mediante produzione della necessaria documentazione, onere che non è stato concretamente adempiuto.

 

Per concludere

La sentenza in commento è interessante sia perché ribadisce i principi fondamentali in materia di tenuta e conservazione della documentazione clinica, sia perché sottolinea l’importanza dell’assunzione da parte del medico di un ruolo attivo nel processo che lo vede coinvolto.

 

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Cassazione Civile, Sez. III, n.18567 del 13 luglio 2018

Art. 5 D.P.R. n. 128 del 1969

Art. 7 D.P.R. n. 128 del 1969