Responsabilità per omesso follow-up: sempre necessario monitorare attentamente il paziente, specie se ad alto rischio

In presenza di situazioni ad alto rischio, il medico, anche in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso e, in particolare, a disporre un attento regime di monitoraggio del paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli, onde evitare eventi lesivi.

Oggi vi segnalo una recentissima sentenza della Cassazione Penale (n. 13375 del 3 aprile 2024) che torna sul tema del lavoro in équipe, concentrandosi particolarmente sugli obblighi di follow-up del paziente a carico del primo operatore.

Il caso

Una paziente, alla quinta gravidanza, viene sottoposta a taglio cesareo programmato. L’intervento e l’immediato post partum non evidenziano problemi; dopo un controllo soddisfacente intorno alle 18:00, la puerpera viene condotta nella stanza di degenza ordinaria dove, alle 18:30, le vengono rilevate (solo) la temperatura corporea e la pressione arteriosa.

Il controllo del chirurgo operatore alle 20:00 riscontra condizioni buone e di utero contratto ma, intorno alle 21:00, l’ostetrica allerta il medico di turno che la paziente presenta un grave quadro di shock ipovolemico, con “dispnea, ipotensione, tachicardia, abbondanti perdite dai genitali esterni”. Dopo un infruttuoso tentativo di terapia farmacologica, intorno alle 22:15 viene praticata una laparotomia esplorativa e, poco dopo, una laparoisterectomia, con diagnosi di atonia uterina postcesareo. Nel corso dell’intervento, la donna ha un arresto cardiocircolatorio, viene rianimata e trasferita al reparto di rianimazione, dove decede una settimana dopo.

L’esito dei due primi gradi di giudizio

Il Tribunale condanna il primo operatore e l’ostetrica per il reato di omicidio colposo; la Corte d’Appello conferma la condanna.

Le consulenze tecniche svolte nel primo grado del giudizio evidenziano l’assenza di dubbi in merito:

– alla causa del decesso della paziente, da ricondurre alla negativa evoluzione di un’emorragia post partum da atonia uterina

– alla corretta esecuzione dei due interventi chirurgici (e cioè del programmato taglio cesareo e dell’intervento d’urgenza per la rimozione dell’utero).

Le contestazioni mosse ai sanitari riguardano, invece, la gestione e il monitoraggio della fase iniziale del puerperio, ovvero delle prime ore immediatamente successive al parto, e cioè di non avere accuratamente monitorato le condizioni cliniche della paziente, verificando i parametri (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, contrazione dell’utero, livelli di emoglobina nel sangue) che avrebbero consentito una precoce diagnosi dell’atonia uterina e dell’emorragia post partum in corso e, in tal modo, di prevenire ed impedire la progressione della patologia.

Vediamo qual è, in particolare, la posizione del chirurgo primo operatore, ed il giudizio della Cassazione in merito.

La difesa del chirurgo

Il chirurgo, nonché ginecologo di fiducia della paziente, si difende deducendo:

– di aver continuato a monitorare la paziente dopo l’intervento e di aver effettuato un’ulteriore visita alla signora intorno alle 20, atto peraltro non dovuto non essendo egli un dipendente della Casa di cura, ma un medico esterno;

– di aver poi affidato la paziente, sollecitando controlli ed esami, alle strutture e all’organizzazione della clinica, che disponeva anche di un ginecologo di turno (il cui ruolo non era stato affatto considerato nei giudizi svolti).

Essendo stato, secondo il medico, eseguito correttamente il passaggio di consegne da parte del chirurgo operatore ai colleghi che avrebbero dovuto successivamente prendersi cura della paziente – e ciò proprio al fine di evitare vuoti di tutela nella delicata fase dell’avvicendamento di un garante con un altro -, le diagnosi e le omissioni realizzate da tali medici non potrebbero essere imputate al chirurgo delegante, avendo carattere della eccezionalità ed imprevedibilità. Trattandosi di fasi di gestione del paziente completamente distinte e svincolate le une dalle altre, si applicherebbe, insomma, il principio del doveroso affidamento del medico sull’attività dei colleghi, tale per cui

“può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui”.

Per approfondimenti sul tema, vedi anche il mio postResponsabilità per lavoro sanitario in équipe: non è una generica responsabilità di gruppo”.

L’emorragia post partum è la causa principale di morte correlata alla gravidanza ed è responsabile del 30% delle morti materne

la fase del post partum deve essere oggetto di attento monitoraggio da parte del personale sanitario proprio al fine di rilevare, con tempestività, i sintomi dell’eventuale emorragia

il ritardo nell’intervenire, in caso di atonia uterina, porta, con estrema frequenza, al decesso della puerpera.

Il giudizio della Cassazione

Secondo la Suprema Corte, le difese del chirurgo sono prive di pregio.

Nel caso di specie, proprio perché al quinto parto cesareo, la paziente presentava un elevato rischio di atonia uterina ed era dunque notevolmente esposta al pericolo emorragia, e ciò anche in considerazione del fatto che il taglio cesareo era stato eseguito, per necessità, in una zona più alta dell’utero, maggiormente vascolarizzata e dunque con rischio di maggiore perdita ematica nell’immediato e di complicazione a lungo termine. La tempestività d’intervento era dunque essenziale per evitare esiti irreversibili, quali quelli verificatisi.

In questo contesto, il chirurgo primo operatore, nonché ginecologo di fiducia della paziente, era gravato – nella sua posizione di garanzia – di un dovere di diligenza particolarmente pregnante, che avrebbe dovuto tradursi nel dare, all’esito dell’intervento chirurgico, specifiche direttive per un monitoraggio post partum costante e scrupoloso, volte a garantire un intervento tempestivo in caso di necessità, adempimento che sarebbe mancato nel caso concreto.

Come si articola la posizione di garanzia del capo-équipe nel post-operatorio

Ma quali sono i compiti del primo operatore, con particolare riferimento al post-operatorio?

Secondo la Cassazione,

“La posizione di garanzia del capo dell’equipe chirurgica non è limitata all’ambito strettamente operatorio, ma si estende al contesto postoperatorio…. giacché il momento immediatamente successivo all’atto chirurgico non è avulso dall’intervento operatorio.

Le esigenze di cura ed assistenza del paziente devono poi essere, con tutta evidenza, rapportate alle peculiarità del caso concreto”,

peculiarità che, nel caso in commento, erano ben note al chirurgo che aveva condotto l’intervento, posto che egli era il ginecologo di fiducia della donna e che l’aveva assistita nei parti precedenti.

La soluzione nel caso concreto

Applicando questi principi al caso concreto e sulla base delle risultanze delle consulenze tecniche svolte nel processo, la Cassazione ha concluso che il chirurgo non avrebbe disposto il monitoraggio accurato e costante dei parametri vitali, necessario in considerazione dei profili di rischio evidenziati dalla paziente, e la mancata adozione di tali essenziali cautele avrebbe avuto ruolo causale decisivo nello sviluppo dei successivi eventiimpedendo l’esecuzione tempestiva delle procedure occorrenti per fronteggiare la sopraggiunta emorragia.

In particolare, il chirurgo non solo avrebbe omesso colpevolmente di dare ai colleghi le necessarie istruzioni per il monitoraggio della paziente ma, considerato che l’insorgere dell’atonia uterina e la conseguente emorragia – secondo i consulenti del Tribunale – non furono in realtà immediate, né improvvise – sarebbe stato superficiale anche nell’esecuzione della visita serale della paziente, “proprio per non aver rilevato alcun, ancorché minimo, segnale di una situazione che, solo un’ora dopo, si manifestava già come gravissima.

“In conclusione, deve affermarsi il principio secondo cui, in presenza di situazioni ad alto rischio, il medico, pur in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso e, in particolare, a disporre un attento regime di monitoraggio della paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli, onde evitare eventi lesivi.”

Il ruolo svolto dall’ostetrica

Per quanto concerne l’ostetrica, la sentenza impugnata evidenzia innanzitutto il ruolo spettante alla stessa nell’organigramma dei sanitari del settore ginecologico, come di una

figura infermieristica molto professionalizzata e specifica cui, pertanto, spetta, anche in autonomia, procedere al monitoraggio dei parametri vitali della puerpera.”

Nel caso in commento, la condotta dell’ostetrica è stata giudicata come caratterizzata da negligenza ed imperizia sia per le mancanze nel monitoraggio della paziente, sia per essersi limitata, “nonostante le condizioni della (…) evolvessero in maniera critica, stanti il pallore e lo stato di agitazione”, a somministrarle una bustina di zucchero. Infatti,

spettava proprio all’ostetrica (…) monitorare, anche in autonomia, la situazione, per poi avvisare il medico in caso di necessità che ella da sola non avrebbe potuto fronteggiare.”

Per concludere

Alla luce di quanto precede, pur dovendo ritenere che i reati ascritti ai sanitari dovessero reputarsi estinti per prescrizione, la Cassazione ha rigettato i ricorsi agli effetti civili, al fine del risarcimento del danno sofferto dagli eredi della paziente.

Per un’altra applicazione dei principi sopra riassunti a livello civilistico, in un caso dermatologico, vedi anche il mio postOmesso follow-up del melanoma: anche il chirurgo risponde del decesso del paziente“.

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LEGGI LA SENTENZA

Cass. Pen., Sez. IV, n. 13375 del 3 aprile 2024