In tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si giunga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi.
Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Cassazione Penale di qualche mese fa (n. 15876 del 14 aprile 2023), concernente il tema del nesso di causalità tra omessa diagnosi e morte del paziente.
Il caso
Un signore si reca in Pronto Soccorso a causa di un forte dolore addominale (“Dolore addominale in ipocondrio lato sinistro”), ma viene presto dimesso, senza approfondimento alcuno, con la diagnosi di “Ipertensione arteriosa”.
Il paziente si ripresenta presso lo stesso ospedale circa un mese dopo, dove gli viene correttamente diagnosticata la presenza di un aneurisma letale e lo stesso viene trasferito d’urgenza presso altra struttura idonea per le cure del caso. Ciò nonostante, il paziente decede a causa di “insufficienza cardio circolatoria in soggetto sottoposto ad intervento di riparazione aortica a cielo aperto per rottura di aneurisma dell’aorta addominale“.
Vengono dunque indagati per omicidio colposo il medico in servizio e la cardiologa del primo Pronto Soccorso:
- per non essersi attenuti, nello svolgimento della propria attività, alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, e
- per aver omesso di effettuare una corretta diagnosi e valutazione del quadro clinico in relazione alla sintomatologia accusata dal paziente sul lato sinistro dell’addome,
condotte che, se adeguatamente tenute, avrebbero verosimilmente evitato il decesso del paziente.
Il Tribunale assolve i due medici, ritenendo che non fosse possibile assumere, con ragionevole certezza, che una condotta clinicamente corretta avrebbero evitato, ogni oltre ragionevole dubbio, il decesso del paziente.
La Corte d’Appello riforma la sentenza di assoluzione e – a seguito del passaggio in giudicato della sentenza per quanto concerne gli effetti penali – afferma la responsabilità civile dei due medici, condannandoli in solido tra loro al risarcimento dei danni a favore della parte civile.
Nesso o non nesso, questo è il dilemma
Ma veniamo al dettaglio delle motivazioni dei due giudizi di merito.
Il Tribunale, pur dando atto del fatto che “i sanitari che ebbero in cura il (omissis) durante il ricovero presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (omissis) in data (omissis), nello svolgimento della propria attività non si attennero alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, omettendo l’esecuzione di un esame obiettivo completo e di approfondimenti diagnostici indispensabili al raggiungimento di una corretta diagnosi”, assolve i due medici, ritenendo che “non era possibile assumere, con ragionevole certezza, oltre ogni ragionevole dubbio, che una diagnosi correttamente impostata al momento del primo ricovero (…) e un eventuale trattamento chirurgico in elezione, avrebbero evitato, ogni oltre ragionevole dubbio, il decesso del” paziente.
La Corte di Appello, per contro, nell’affermare la responsabilità dei medici, sottolinea:
- in primo luogo, come non fosse mai stato messo in discussione dai periti l’evidente errore diagnostico compiuto sia dai due medici nella superficiale diagnosi effettuata (tanto che anche il Tribunale ne aveva pacificamente dato atto, avendo i sanitari omesso sia l’esame obiettivo con palpazione sia ogni altro esame diagnostico, pur a fronte di un’osservazione del paziente che richiedeva un approfondimento);
- in secondo luogo che – in base ai differenti tassi di mortalità in caso di intervento di riparazione di aneurisma intatto, ma anche con aneurisma rotto, come nel caso di specie – la percentuale di riuscita dell’intervento di riparazione dell’aneurisma in elezione avrebbe sfiorato il 60%.
Non essendoci contrasto sugli elementi di fatto del giudizio – cioè trovandosi entrambe le Corti di merito d’accordo sul fatto che i medici avevano tenuto una condotta gravemente colposa, avendo omesso di approfondire la situazione clinica del paziente, di effettuare gli approfondimenti richiesti dal caso e di formulare la corretta diagnosi, violando le linee guida applicabili – il contrasto di giudizio verte su una questione strettamente giuridica, e cioè sull’applicazione del principio di diritto “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”.
Vediamo qual è la posizione della Cassazione sul punto.
La posizione della Suprema Corte
Secondo la Cassazione, il ragionamento alla base della pronuncia della Corte d’Appello è corretto. La Corte ha infatti correttamente applicato i principi della nota sentenza “Franzese”, secondo cui il nesso di causalità nei reati omissivi impropri deve ritenersi accertato e sussistente oltre ogni ragionevole dubbio,
“tutte quelle volte in cui con alto grado di credibilità razionale o probabilità logica, dalla diagnosi omessa o dall’intervento terapeutico non effettuato o male effettuato, sarebbe potuta derivare non solo la salvezza della vita del paziente, ma anche una attenuazione del danno prodotto dalla patologia con conseguente ritardo dell’evento morte.”
Nel caso in commento, sulla base delle conclusioni dei periti incaricati dal Giudice delle indagini preliminari, era ragionevole inferire che, qualora i due medici avessero praticato una corretta diagnosi, l’evento-morte avrebbe avuto diverse modalità di verifica e differenti e più estesi tempi di sopravvivenza:
“La correttezza della diagnosi… avrebbe infatti avuto un elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica di salvare la vita del paziente, ovvero anche solo di ritardare l’evento morte e limitare le conseguenze dannose della patologia, il che equivale a dire che tra l’errore diagnostico commesso e l’evento morte sussiste un chiaro nesso di causalità sotto il profilo giuridico, prima ancora che fattuale.”
Secondo la Cassazione,
“Va, del resto, riaffermato che, in tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi…
e che risponde di omicidio colposo per imperizia, nell’accertamento della malattia, e per negligenza, per l’omissione delle indagini necessarie, il medico che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente”.
Per concludere
Alla luce di quanto precede, i ricorsi dei medici sono stati dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, oltre che alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.
Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!
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