Responsabile il ginecologo che non avvia la paziente ad approfondimenti dopo l’ecografia

La distinta specializzazione medica non esclude la colpa del ginecologo che, eseguendo un esame e dunque assumendosene la responsabilità, lo referta in modo erroneo e senza indirizzare ai necessari approfondimenti (pur concernenti la situazione intestinale della paziente) con la cautela e tempestività richiesti dal caso concreto.

Bentornati dalle vacanze estive! Oggi vi segnalo un’interessante ordinanza della Corte di Cassazione Civile (n. 17410 del 16 giugno 2023) concernente il tema del perimetro della responsabilità dello specialista, nel caso concreto un ginecologo.

Il caso

Una signora si reca al Pronto Soccorso con forti dolori addominali; dopo una breve visita e senza procedere ad alcun accertamento, il medico di guardia la dimette con diagnosi di dismenorrea, iniettandole un antidolorifico.

Il giorno successivo la paziente, permanendo i dolori, si rivolge al proprio ginecologo di fiducia, che la visita, rilevando ecograficamente una cisti liquida e annotando: “forti dolori addominali. Visita: utero fibroso molle, si palpa a destra una tumefazione dura e dolente… A destra l’ovaio presenta due formazioni anecogene con alcuni echi interni in zona periferica centrale. Ricovero“.

Il giorno seguente la paziente, ulteriormente aumentati i dolori, si reca nuovamente presso il medesimo ospedale, dove viene disposto il ricovero d’urgenza con diagnosi di addome acuto e conseguente intervento chirurgico. La paziente decederà poco dopo per una “sindrome da disfunzione multiorgano da sindrome compartimentale addominale secondaria a shock tossinfettivo irreversibile insorta come complicanza di un intervento chirurgico tardivo per volvolo intestinale in quadro clinico già compromesso da una ileocolite con megacolon tossico“.

In seguito il marito, i figli ed altri parenti della paziente agiscono in giudizio contro il ginecologo ed i medici dell’ospedale in questione per ottenere il risarcimento dei danni subiti, ritenendo che il decesso della paziente sia loro addebitabile per aver gravemente sottovalutato lo stato di tossicità in cui la stessa versava.

Le decisioni dei primi due gradi di giudizio

Sia il Tribunale che la Corte di Appello accolgono la domanda degli eredi affermando – per quanto di nostro interesse – la responsabilità del ginecologo:

  • per non aver “dato sufficiente(mente) importanza ad un quadro morfologico di deterioramento della parete intestinale che, di lì a qualche ora, avrebbe portato al quadro di addome acuto conclamato“, e per aver conseguentemente omesso di evidenziare alla paziente l’urgenza del ricovero (prescrivendole anzi di sottoporsi ad analisi per markers tumorali ovarici, incompatibili con l’urgenza del caso)
  • per aver erroneamente refertato l’ecografia, indicando come formazioni anecogene le immagini riferite con tutta probabilità ad anse intestinali dilatate e fisse alla parete addominale.

Una corretta analisi ecografica avrebbe dovuto indurre il ginecologo a correlare i sospetti ai forti dolori addominali manifestati in anamnesi, indirizzando la paziente all’immediato ricovero ospedaliero per accertamenti.

Il ritardo nel condurre i necessari interventi urgenti, eseguiti solo quando la situazione clinica era ormai inevitabilmente compromessa, è stato ritenuto elemento “causalmente efficiente in termini probabilistici”, e cioè decisivo, nell’iter che ha condotto la paziente al decesso.

Il ginecologo può essere ritenuto responsabile per non aver correttamente individuato una patologia intestinale?

Nel suo ricorso il ginecologo contesta, tra l’altro, che la sua specializzazione da ginecologo – e non da internistaimpediva di addebitargli l’ipotizzata imperizia nella refertazione ecografica e nell’errore diagnostico commesso, posto che il decesso della paziente era riferibile ad una patologia di natura intestinale e non ginecologica.

Secondo la Cassazione, il motivo non coglie nel segno. Infatti, eseguendo l’ecografia addominale, il medico:

  1. aveva la responsabilità di leggere correttamente le relative immagini ovvero,
  2. nella consapevolezza dei limiti derivanti dalla propria competenza settoriale, ma pur sempre cointeressata dalle verifiche quanto meno per esclusione delle ipotesi superficialmente formulate (dismenorrea), ovvero ancora nella consapevolezza dalla mancanza di ulteriori strumenti di opportuna indagine,
  3. aveva la connessa responsabilità di correlare quelle stesse immagini a dubbi, infatti, variamente insorti – e la cui presa in considerazione non può che far parte del bagaglio professionale del medicoin uno alla significativa e specifica anamnesi nel caso già emersa e persistente, così da
  4. indirizzare, nello specifico, senza alcun ulteriore ritardo, la paziente presso strutture in grado di risolvere tempestivamente la criticità diagnostica.

“In alcun modo può cioè avallarsi la conclusione per cui la distinta specializzazione medica esclude la colpa di chi, eseguendo un esame e dunque assumendosi la responsabilità di quello, lo referta in modo erroneo e senza indirizzare ai necessari approfondimenti con la cautela e tempestività del caso concreto, traducendosi, altrimenti, la grave imperizia della condotta posta in essere in uno speculare quanto ingiustificato vuoto di tutela”.

Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, nel caso concreto la condotta del ginecologo non solo è stata caratterizzata da imperizia – per aver errato nella diagnosi e prescritto alla paziente solo la ricerca di “markers” tumorali, incompatibili con l’urgenza del ricovero – ma anche da imprudenza e negligenza, considerato che la necessità e l’urgenza del ricovero non vennero rappresentate alla paziente come dovuto.

In un caso analogo che aveva coinvolto un medico radiologo, la Cassazione ha recentemente statuito che

“il medico radiologo, essendo, al pari degli altri sanitari, tenuto alla diligenza specifica di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, non può limitarsi a una mera e formale lettura degli esiti dell’esame diagnostico effettuato, ma, allorché tali esiti lo suggeriscano (e dunque ove, segnatamente, si tratti di esiti c.d. aspecifici del quadro radiologico), è tenuto ad attivarsi per un approfondimento della situazione, dovendo, quindi, prospettare al paziente anche la necessità o l’esigenza di far fronte ad ulteriori e più adeguati esami”

(Cass. Civ., n. 37728 del 23/12/2022).

Per concludere

Alla luce di quanto precede, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del medico ginecologo e condannato lo stesso alla rifusione delle spese di lite delle controparti ed al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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LEGGI L’ORDINANZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 17410 del 16 giugno 2023