La cartella clinica redatta dal medico di una struttura sanitaria pubblica ha natura di atto pubblico munito di fede privilegiata con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale ed ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza. Tale natura deve essere riconosciuta anche alla parte della cartella relativa al consenso informato, nella quale il medico attesta come avvenuto in sua presenza il fatto della manifestazione del consenso all’intervento chirurgico espresso dal paziente.
Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della quinta sezione penale della Corte di Cassazione (n. 4803/2023, ud. del 10 ottobre 2022) in tema di modificazioni al modulo di consenso informato del paziente da parte del medico e reato di falso in atto pubblico.
Il caso
Un medico, in servizio presso il reparto di chirurgia plastica di un ospedale, modifica il modulo di consenso informato ad un intervento chirurgico sottoscritto dal paziente, apportandovi successivamente alla sua formazione svariate aggiunte.
Per tale condotta, il medico viene successivamente condannato penalmente dal Tribunale per il reato di falso in atto pubblico.
Art. 476 c.p.- falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici)
Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni
La Corte d’Appello riforma parzialmente la sentenza di condanna, riconoscendo il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Il medico ricorre poi in Cassazione: vediamo qual è l’esito del ricorso.
Il consenso informato è considerato un atto fidefacente?
Nel caso in commento, il motivo principale di impugnazione avanti alla Corte di Cassazione ha per oggetto la natura del modulo di consenso informato.
In particolare, il medico contesta che il modulo di consenso informato – pur firmato dal paziente, controfirmato dal medico e parte della cartella clinica – non avrebbe la qualità di “atto fidefacente”, e cioè di atto avente forza di piena prova fino a querela di falso e proveniente da un pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a conferire a quell’atto tale valore.
Ma perché la la qualificazione giuridica del modulo di consenso è tanto importante?
Qualora il modulo di consenso informato non fosse qualificabile come atto fidefacente, il termine massimo di prescrizione applicabile al reato contestato al medico in questione scenderebbe a sette anni e mezzo, con conseguente avvenuta estinzione del reato nel caso concreto.
La posizione del medico
Secondo il ricorrente, assumerebbero la qualità di atto fidefacente solo gli atti attestanti fatti espletati nel corso della terapia o dell’intervento chirurgico, ma non il modulo di consenso informato.
Sotto altro profilo, i fatti oggetto di giudizio risalirebbero ad epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 219 del 2017 la quale, all’art. 1, co. 4, ha prescritto in modo generalizzato la forma scritta per la documentazione del consenso informato del paziente:
“il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare.”
In considerazione della forma libera con la quale, all’epoca dei fatti, poteva essere rilasciato il consenso, mancherebbe uno dei requisiti richiesti dall’art. 2699 cod. civ. (cioè la forma scritta) per attribuire all’atto pubblico la natura di atto fidefacente.
Ai sensi dell’art. 2699 c.c., “L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato.”
Anche il modulo di consenso informato è atto dotato di fede pubblica
Secondo la Cassazione, il motivo di impugnazione è infondato. Secondo la Corte,
“la cartella clinica redatta dal medico di una struttura sanitaria pubblica ha natura di atto pubblico munito di fede privilegiata con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza”.
La natura di atto pubblico munito di fede privilegiata, pertanto, deve essere riconosciuta anche alla parte della cartella relativa al consenso informato, nella quale il medico attesta come avvenuto in sua presenza il fatto della manifestazione del consenso all’intervento chirurgico espresso dal paziente.
Attenzione ai moduli in formato digitale!
E’ dunque di massima importanza prestare la dovuta attenzione alle modalità di gestione dei moduli che cristallizzano il consenso del paziente, anche se gestiti in formato digitale.
A tale ultimo riguardo va ricordato che, al fine di garantire l’affidabilità e l’immutabilità dei file che custodiscono il consenso informato (e dunque al fine di produrre documenti che abbiano valore legale), è necessario applicare le norme in tema di formazione, firma, duplicazione, conservazione del documento digitale previste dal CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale) e le Linee Guida emanate dall’AGID, che rappresentano norme regolamentari tecniche applicabili erga omnes (riferite cioè tanto alla Pubblica Amministrazione, quanto agli operatori privati).
Tali norme si applicano al documento qualificato come digitale, indifferentemente dal fatto che si tratti di un documento nativo digitale o divenuto tale.
Irrilevante anche la forma del consenso
Tornando al caso in commento, vengono giudicate dalla Corte come del tutto irrilevanti anche le argomentazioni del medico in ordine alla forma richiesta per la manifestazione del consenso: secondo la Cassazione, il documento rimarrebbe infatti fidefacente anche se il medico avesse attestato che il paziente ha manifestato oralmente il proprio consenso all’intervento.
Ciò che rileva non è la forma del consenso, ma il fatto che il medico ha attestato falsamente che lo stesso sia stato prestato.
Per maggiori informazioni sui reati di falso connessi alla tenuta della documentazione clinica dei pazienti, vedi anche i miei precedenti post:
Falso nel “foglio unico di terapia”: quando è penalmente rilevante?
Cartella clinica “rimaneggiata” per nascondere l’errore: è falso in atto pubblico
In sintesi
Sulla base di queste premesse la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e confermato la condanna al medico al pagamento delle spese processuali, anche della parte civile, nonché della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.
Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!
Nel frattempo, resta collegato ed iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.
A presto!
LEGGI LA SENTENZA
Cassazione Penale, Sez. V., n. 4803/2023, ud. del 10 ottobre 2022