Infezioni nosocomiali: la Cassazione torna sull’onere della prova (parte I)

Qualora sia altamente probabile l’origine nosocomiale dell’infezione, la struttura e/o il medico, per andare esenti da responsabilità, devono provare il corretto adempimento dei loro doveri e, sul piano generale, l’adozione di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis per scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico, al fine della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica adoperata; sul piano individuale, va provata la prestazione di corretta terapia profilattica pre e post-intervento ad opera del personale medico.

Ma quali sono le cautele e le misure di prevenzione che la struttura ospedaliera deve provare di aver adottato in concreto, per evitare la condanna in caso di danni ad un paziente causati da infezione nosocomiale?

La Cassazione, con due sentenze pubblicate a meno di una settimana l’una dall’altra (la n. 5808 del 27.2 e la n. 6386 del 3.3.2023) torna sul tema, sempre attuale, delle infezioni nosocomiali e del relativo onere della prova in giudizio, per la prima volta precisando analiticamente gli obblighi a carico delle strutture sanitarie in materia di prevenzione delle infezioni nosocomiali ed individuando le figure apicali sui quali gli stessi gravano.

Il caso

Un paziente si sottopone ad un intervento chirurgico al collo del femore, a seguito del quale contrae un’infezione di origine nosocomiale: in conseguenza della stessa, ad un anno di distanza, lo stesso viene nuovamente ricoverato per dolori alla regione coxo-femorale dovuti ad una “necrosi cefalica femorale in sede di pregressa fattura basicervicale sinistra“, che determina la necessità di installare una protesi all’anca.

Anni dopo il paziente agisce in giudizio contro l’ospedale al fine di ottenere il risarcimento degli esiti invalidanti permanenti riportati a seguito dei fatti che precedono.

Il Tribunale accoglie le domande e condanna l’ospedale al risarcimento del danno biologico, liquidato in Euro 152.000,00; la Corte d’Appello sostanzialmente conferma la sentenza di primo grado, riformandola solo con riferimento alle spese del giudizio.

L’ospedale ricorre in Cassazione, articolando la sua impugnazione sulla base della  considerazione della sostanziale inevitabilità dell’infezione contratta dal paziente. Vediamo qual è l’esito della valutazione della Suprema Corte.

Su chi grava l’onere della prova in caso di infezioni nosocomiali?

Nella sua decisione, la Cassazione ribadisce innanzitutto i principi in tema di onere della prova delle infezioni nosocomiali. Anche in questo ambito, infatti, trova applicazione il principio generale secondo il quale

“in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza…”

(così Cass. Civ., n. 26700 del 2018).

In quest’ottica, è dunque da ritenersi corretta, secondo la Cassazione, la statuizione della Corte d’Appello secondo cui

“gravava sulla struttura sanitaria il compito di assicurare, e l’onere di provare, l’avvenuta diligente sterilizzazione dell’ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e di tutte le attrezzature e che, di contro, l’azienda non aveva neppure cercato di provare di aver seguito regolarmente i protocolli di disinfezione e sterilizzazione della sala operatoria”.

Considerato adempiuto l’onere della prova da parte del paziente nel caso concreto, la Corte d’Appello ha escluso che la struttura sanitaria avesse, per parte propria, fornito la prova liberatoria che l’evenienza infettiva fosse imprevedibile o inevitabile e come tale ad essa non imputabile.

Le infezioni nosocomiali sono inevitabili?

Anche la contestazione dell’ospedale secondo cui bisognerebbe comunque tenere conto di una percentuale aleatoria di casi (indicata, sulla base delle considerazioni svolte dal CTU, nel 30%) di infezioni nosocomiali sostanzialmente inevitabili – cioè che si verificherebbero in ogni caso, indipendentemente ed al di là dall’adozione di tutte le più idonee precauzioni da parte delle strutture sanitarie – è, secondo la Cassazione, irrilevante.

Infatti:

  • da un lato, si tratta di una mera considerazione (non di un fatto storico) rimasta, nel caso concreto, totalmente sfornita di prova
  • dall’altro lato, quand’anche provata, tale circostanza inciderebbe sulla sola causalità materiale (cioè sul collegamento tra il comportamento antigiuridico e la violazione del diritto alla salute, in sé considerata), e non sulla causalità giuridica (cioè sul collegamento tra condotta e danno riportato effettivamente dal paziente), né tanto meno sul concorso di colpa del danneggiato, e non potrebbe dunque essere considerata al fine di una riduzione del danno risarcibile.

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha rigettato il ricorso.

Ma quali sono le specifiche cautele e le misure di prevenzione che la struttura ospedaliera deve provare di aver adottato in concreto per evitare la condanna in caso di danni ad un paziente causati da infezioni nosocomiali?

(CONTINUA)

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 5808 del 27.2.2023