Danno da epatite contratta a seguito di emotrasfusione: quando è risarcibile?

Il danno da lesione della salute, per essere risarcibile, deve avere per effetto compromissione d’una o più abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane: dal fare, all’essere, all’apparire. Se non avesse alcuna di queste conseguenze, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.

Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Cassazione Civile (n. 25887 del 2.9.2022) in tema di emotrasfusioni, che precisa i limiti e le condizioni di risarcibilità del danno alla salute anche cd. lungolatente.

Il caso

Nel 2010, un paziente conviene in giudizio il Ministero della Salute, l’Azienda USL e l’ospedale di riferimento, esponendo di aver contratto il virus dell’epatite HBV e HVC, a seguito di una emotrasfusione con sangue infetto che gli era stata praticata, nel 1979, nel corso di un intervento chirurgico per coxoartrosi, e chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti.

L’infezione, espone il paziente, era stata diagnosticata solo nel 1999, ma da allora la sua vita ne era rimasta completamente sconvolta, poiché lo stesso si era dovuto sottoporre a continue visite mediche, senza prospettive di guarigione, con conseguente stress e depressione.

Il Tribunale accoglie la domanda attorea nei confronti del Ministero e condanna quest’ultimo al risarcimento dell’importo di Euro 73.821, dedotte le somme già percepite dall’attore a titolo di indennizzo ex lege n. 210/1992. La Corte d’Appello riforma in parte la sentenza di primo grado, riducendo il risarcimento.

A quale età fare riferimento per il risarcimento del danno?

Il punto sul quale le parti si scontrano in Cassazione concerne l’età da prendere come riferimento per la liquidazione del danno: l’età del danneggiato alla data di manifestazione del danno (47 anni), come assunto dal Tribunale, oppure la data di esecuzione dell’emotrasfusione, e pertanto della materiale contrazione dell’infezione da HCV (25 anni), come ritenuto invece dalla Corte d’Appello?

Secondo la Cassazione, è preferibile il ragionamento seguito dal Tribunale.

“Ai fini della stima del danno, occorre infatti considerare che:

a) nel danno lungo latente (come quello da emotrafusione, N.d.R.), il nesso tra fatto lesivo e conseguenze pregiudizievoli non è sincronico ma diacronico, il che significa che il danno-conseguenza si “esternalizza” non già immediatamente, bensì dopo un certo lasso temporale, di durata variabile – e, a volte, anche a distanza di anni – dal fatto illecito;

b) finché l’agente patogeno innescato dal fatto illecito non si manifesta, non si realizza alcun danno risarcibile in quanto solo il danno conseguenza costituisce il parametro di determinazione del danno ingiusto.”

Nel caso in commento, per espressa ammissione dello stesso danneggiato nel corso del giudizio, il paziente non aveva accusato alcun sintomo fino al 1999, anno in cui aveva scoperto di essere positivo all’epatite B e all’anti HCV: ne consegue che, secondo la Cassazione, lo stesso non poteva lamentare alcun danno-conseguenza risarcibile fino a quell’anno.

Cosa deve intendersi per danno biologico?

Consolidata giurisprudenza della Cassazione ha da lungo tempo affermato che

“per danno biologico deve intendersi non la semplice lesione all’integrità psicofisica in sé e per sé, ma piuttosto la conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona (…). Il danno biologico misurato percentualmente è pertanto la menomazione all’integrità psicofisica della persona la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti”

(ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 19153 del 19.7.2018).

Questo perché

“non vale la regola che, verificatosi l’evento, vi sia senz’altro un danno da risarcire. Il risarcimento del danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’individuo nel modo preesistente al fatto dannoso”.

In altri termini, la lesione d’un diritto in sé considerata non concreta il danno, ma è solo il necessario presupposto per l’esistenza del danno, il quale dovrà comunque manifestarsi con una perdita afferente all’individuo: patrimoniale o di altro tipo, ma pur sempre una “perdita” concreta, nella sua più ampia accezione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4991 del 29/05/1996)

Pertanto

il danno da lesione della salute, per essere risarcibile, deve avere per effetto compromissione d’una o più abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire. Se non avesse alcuna di queste conseguenze, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile”

Una diversa soluzione – quale quella adottata dalla Corte d’Appello nel caso oggi in commento – non è dunque conforme a diritto, consentendo il (non accettabile) risarcimento d’un danno in re ipsa, e cioè di un danno affermato solo in astratto e non, invece, accertato in concreto.

La stessa definizione legislativa di danno biologico esclude la risarcibilità di per sé dell’evento di danno, consentendola, viceversa, a condizione che la lesione della salute abbia avuto “un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato” (art. 138 C.d.A., come riformato dalla legge 124/2017).

Alla luce di quanto sopra consegue che, nel caso concreto, nessun danno risarcibile (inteso come lesione degli aspetti dinamico-relazionali della vita) era stato nemmeno allegato; viceversa, la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare il solo eventuale – ed autonomo – aspetto della sofferenza morale, conseguente all’apprendimento della notizia dell’infezione da parte del paziente, oltre che considerare, se provate, le eventuali incidenze negative prodottesi nella sua esistenza all’indomani della diagnosi.

Le altre sfaccettature del danno alla salute

Quanto precede, sottolinea la Suprema Corte, non contrasta con l’affermazione secondo cui per “danno biologico permanente” deve intendersi non solo la lesione permanente o temporanea dell’integrità psicofisica, ma anche l’aumentato rischio di contrarre malattie in futuro… ovvero l’aumentato rischio di morte ante tempus(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26118 del 27/09/2021.

Ed infatti, quando il danno alla salute consiste in uno di questi ultimi pregiudizi, sarà pur sempre necessario, ai fini della risarcibilità, che il danneggiato abbia visto pregiudicate in qualunque modo le proprie attività quotidiane, ovvero (almeno) che sia consapevole dell’esistenza del contagio, e che questa conoscenza abbia prodotto un apprezzabile turbamento. In mancanza tanto dell’una, quanto dell’altra di queste conseguenze, mancherebbe quella “perdita” che, come s’è detto, rappresenta l’essenza stessa del danno risarcibile.

Per concludere

Alla luce di quanto precede la Corte ha accolto il ricorso principale, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’Appello di origine, in diversa composizione, per un nuovo giudizio in applicazione dei principi sopra esposti.

Se l’argomento è stato di tuo interesse, vedi anche i miei precedenti post su questa tematica, che trovi elencati a questo link.

Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!

Nel frattempo, resta collegato ed iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.

A presto!

LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 25887 del 2.9.2022