Il divieto di revoca del consenso informato alla procreazione medicalmente assistita, che scatta una volta intervenuta la fecondazione dell’ovulo e la creazione degli embrioni, è costituzionalmente legittimo, oppure no?
Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza n. 131 del 2022, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 3 della legge n. 40/2004, investendo la Corte Costituzionale della relativa decisione.
Il caso
Una coppia sposata con problemi di infertilità si rivolge ad una struttura per intraprendere il percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA). Entrambi i coniugi acconsentono, con la sottoscrizione del modulo di consenso informato, alla crioconservazione dell’embrione in vista del successivo impianto.
Gli embrioni vengono creati, ma la procedura per il trasferimento in utero dell’embrione viene rinviata a causa della necessità di sottoporre la moglie a varie terapie. Nel frattempo, la coppia si separa e successivamente il marito chiede il divorzio.
L’ex moglie, stante il proprio desiderio di maternità, chiede alla struttura sanitaria di concludere il ciclo di PMA mediante il decongelamento ed il trasferimento dell’embrione in utero, ma la struttura rifiuta. Anche l’istanza giudiziale, avanzata dalla signora in via cautelare allo stesso scopo, viene rigettata dal Tribunale di Roma per assenza del requisito del periculum in mora (pericolo nel ritardo); la signora agisce dunque con un procedimento giudiziale in via ordinaria avanti allo stesso Tribunale.
La posizione della moglie sulla PMA: cosa dice la legge
Il fulcro della discussione del caso oggi in commento è rappresentato dall’art. 6, co. 3 della legge n. 40/2004 in tema di PMA, rubricato «consenso informato», il quale prevede l’irrevocabilità da parte dei futuri genitori, una volta avvenuta la fecondazione dell’ovulo, del consenso alla procedura:
“La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura, secondo modalità definite con decreto dei Ministri della giustizia e della salute… Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni.
La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo”.
Nel caso in esame, la condizione determinante l’irrevocabilità del consenso si era già avverata, in quanto la fecondazione dell’ovulo (poi crioconservato) aveva avuto luogo circa tre anni prima, sulla base del consenso alla PMA regolarmente rilasciato dai coniugi in costanza di matrimonio.
A quanto sopra va aggiunto che le Linee Guida del Ministero della Salute “contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita” del 2015, ultima pagina, precisano che
“La donna ha sempre il diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni crioconservati. Tutti gli embrioni non immediatamente trasferiti verranno congelati e crioconservati presso i centri dove le tecniche sono state effettuate e i relativi oneri sono a carico dei medesimi centri”.
Secondo la ricorrente, le Linee Guida ministeriali, affermando il diritto della donna ad ottenere sempre il trasferimento degli embrioni crioconservati, confermerebbero anche che «la convivenza e il coniugio non siano dalla legge richiesti al momento dell’impianto»; il diritto «di essere madre è un diritto assoluto, fondamentale della persona, garantito dalla Costituzione», e l’ex marito avrebbe revocato il consenso (con un atto, pertanto, inefficace sulla base della legge) al solo fine di sottrarsi all’obbligo di mantenimento.
…E la replica dell’ex marito:
L’ex marito, in replica a quanto precede, solleva in via preliminare e pregiudiziale il già citato dubbio di costituzionalità dell’art. 6, co. 3, legge n. 40/2004.
Secondo il resistente, la norma in questione sarebbe infatti in contrasto:
° con i principi che regolano il rapporto tra medico e paziente nella prestazione del consenso informato
° con il diritto all’autodeterminazione e alla bigenitorialità anche in relazione all’art. 8 CEDU.
Sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 3 Lg. 40/2004
Il Tribunale di Roma accoglie i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal resistente sulla norma in discussione, quanto meno “nella parte in cui non prevede, successivamente alla fecondazione dell’ovulo, un termine per la revoca del consenso”, e rimette alla Corte Costituzionale la decisione sul punto.
Infatti, la chiarezza del testo non permette interpretazioni diverse dal suo significato evidente (cioè quello di escludere la possibilità di revoca del consenso alla PMA dopo la fecondazione dell’ovulo) e dunque
“non permette di addivenire, ad avviso di questo giudice, a una interpretazione costituzionalmente orientata” della norma.
Secondo il Tribunale di Roma l’art. 6 comma 3 della legge n. 40, poteva avere un senso quando la norma venne originariamente approvata, nel 2004: a quei tempi, vigeva il sostanziale divieto di congelamento degli embrioni (successivamente dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale); l’impianto avveniva sostanzialmente nell’immediatezza della formazione dell’embrione, e non venivano considerate situazioni in cui l’impianto sarebbe potuto avvenire a distanza di anni, in una situazione – anche di coppia – che poteva essere concretamente radicalmente mutata rispetto a quella originaria.
Qui di seguito, in sintesi, i motivi della remissione alla Corte Costituzionale:
- l’attuale formulazione dell’art. 6 “non tutela il diritto di scelta dei soggetti alla paternità e/o maternità, ovvero all’assunzione del ruolo genitoriale, quale conseguenza del ricorso alla tecnica di procreazione assistita, in particolar modo nell’ipotesi… in cui venga chiesto il trasferimento dell’impianto a distanza di tempo”
- la scelta del legislatore di rendere irrevocabile il consenso dopo la fecondazione dell’ovulo sembra irragionevole, in quanto la donna potrebbe chiedere il trasferimento dell’embrione anche a distanza di anni dalla fecondazione dell’ovulo, laddove l’uomo sarebbe costretto a diventare genitore anche contro la sua volontà, senza possibilità di poter dare rilievo ad eventuali fattori sopravvenuti
- questo “sacrificio della libertà individuale di una sola delle parti, l’uomo”, contrasterebbe con l’assoluta libertà della donna, alla quale – nonostante la formale irrevocabilità del consenso – il trattamento non può essere imposto, posta la potenziale incidenza sulla sua integrità psicofisica: si profilerebbe dunque una violazione del principio di eguaglianza nella coppia
- la legge n. 40/2004 prevede che il ricorso alle tecniche di procreazione assistita è permesso solo a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi; pertanto, nell’ipotesi in cui venga meno il progetto di coppia prima del trasferimento dell’impianto dovrebbe ritenersi possibile la revoca del consenso.
Lo stato dell’arte sulla revoca del consenso alla PMA
La posizione assunta dal giudice di Roma nella decisione in commento è antitetica a quella espressa anche recentemente da altri Tribunali.
In un mio precedente post dedicato all’argomento odierno (“Il consenso informato in procreazione medicalmente assistita (parte II): i limiti alla revoca del consenso”), ho commentato le decisioni del Tribunale di S. M. Capua Vetere (l’ordinanza 25.11.2020, emessa all’esito di un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., e l’ordinanza 27.1.2021 che ne ha deciso il reclamo) in un caso analogo.
Secondo tale Tribunale
“L’art. 6 espressamente sancisce l’irrevocabilità del consenso successivamente alla fecondazione e l’art. 8 attribuisce alla volontà manifestata, irrevocabile con la fecondazione, funzione determinativa della maternità, della paternità e dello status di figlio…
la legge 40/2004 rende ininfluenti non solo i comportamenti ma anche gli eventi intervenuti dopo che il consenso della coppia sia divenuto irrevocabile: “la libertà di procreare si è esercitata e si è esaurita con la fecondazione”, ammettendo la legge la libertà di ripensamento solo fino alla fecondazione medesima…
con riguardo alla fattispecie in esame deve ritenersi prevalente il diritto dell’embrione a nascere e il diritto alla tutela delle esigenze della procreazione rispetto al diritto del genitore che, nell’esercizio della sua autoresponsabilità, ha comunque la facoltà di revocare il consenso al trattamento fino alla fecondazione”.
Anche il Tribunale di Napoli (ordinanze del 25 novembre 2020 e del 27 gennaio 2021, citate nella decisione oggi in commento), conferma che
«consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni, più volte affermata dalla Consulta».
Per concludere
Non ci resta dunque che attendere la decisione della Corte Costituzionale, che chiarirà quale debba essere la corretta interpretazione della norma in questione alla luce della Carta Costituzionale.
Ci aggiorniamo presto con un nuovo, interessante argomento!
Nel frattempo, resta collegato ed iscriviti alla newsletter per non perdere i prossimi aggiornamenti.
A presto!
LEGGI IL DOCUMENTO