In tema di responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti a vaccinazione obbligatoria, il diritto all’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 è riconosciuto solo nei casi in cui sussista un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio, non anche nei casi in cui la malattia successivamente contratta sia conseguenza dell’inefficacia del vaccino somministrato.
Oggi vi segnalo una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione (n. 20539 del 27 giugno 2022) in tema di non indennizzabilità da parte dello Stato dei danni derivanti da inefficacia dei vaccini.
Il caso
Un bambino viene sottoposto ad inoculazione di vaccino cd. trivalente (per la protezione da morbillo, parotite e rosolia); ciò nonostante, in seguito il bimbo contrae la parotite e, in conseguenza ad essa, riporta non meglio specificati danni permanenti.
Dai genitori viene chiesto all’ASUR di riferimento, prima, ed al Ministero della Salute, poi, il riconoscimento dell’indennizzo ex lege 210/1992 – per un’introduzione alla normativa in questione, vedi il mio post “Menomazioni permanenti a seguito di vaccino anti Covid-19: approvata la norma in materia di indennizzi” – ma la richiesta viene rigettata.
Viene dunque incardinata una causa contro l’ASUR ed il Ministero della Salute: il Tribunale accoglie la richiesta di riconoscimento dell’indennizzo, la Corte d’Appello conferma la decisione.
Vediamo qual è l’esito del giudizio in Cassazione.
L’inefficacia del vaccino non equivale alla sua dannosità
Il principale motivo di impugnazione della sentenza da parte del Ministero della Salute si concentra sull’equiparazione – fatta dalle Corti di merito – del contagio conseguente ad inefficacia del vaccino, verificatosi nel caso concreto, ad una reazione avversa causata dallo stesso. Infatti, la mancata risposta del soggetto al vaccino, legata a fattori individuali, non può essere equiparata ad una reazione avversa collegata causalmente al farmaco e dunque – considerate le finalità della legge 210/1992 – non può giustificare il riconoscimento di un indennizzo da parte dello Stato.
Secondo la Cassazione la contestazione coglie nel segno. Al riguardo, la Suprema Corte richiama innanzitutto il proprio orientamento in tema di vaccinazione contro la poliomelite (applicabile anche nel caso concreto), secondo cui
“in tema di responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria …, il diritto all’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 è riconosciuto solo nei casi in cui sussista un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio. Pertanto, non può essere accolta la domanda del ricorrente che deduca l’inefficacia del vaccino somministrato, e non il nesso causale diretto tra quest’ultimo e la malattia successivamente contratta”.
Quali sono i motivi del diverso trattamento?
Ma facciamo un passo indietro.
La legge n. 210 del 1992 ha introdotto nel nostro ordinamento il riconoscimento di un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie. Per l’esattezza, l’art. 1, comma l stabilisce che “Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge“.
Il fondamento di questa previsione è da ricercare essenzialmente nella necessità di un corretto bilanciamento tra il sacrificio della salute del singolo che si sottopone al vaccino, da un lato, e la tutela della salute della collettività, dall’altro lato, che implica che, ove il singolo riporti un danno in conseguenza del trattamento sanitario al quale lo stesso si è sottoposto anche nell’interesse superiore della collettività (ed in quanto tale obbligatorio), lo Stato disponga una protezione ulteriore a suo favore.
Il testo dell’articolo sopra visto depone pertanto nel senso che l’indennizzo è riconosciuto dalla legge solo ove vi sia un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio: il fatto generatore del diritto all’indennizzo è, dunque, l’inoculamento del vaccino che si sia, poi, rivelato dannoso per il soggetto.
Non solo l’interpretazione letterale della norma, ma anche considerazioni di ordine sistematico che tengano conto del suo scopo, portano ad escludere che il diritto all’indennizzo spetti, a contrario, a coloro che contraggano la malattia dopo essersi sottoposti a vaccinazione in conseguenza dell’inefficacia della stessa sul loro organismo.
I danni da inefficacia del vaccino non sono equiparabili a quelli causati dal vaccinato (contagioso)
Ma anche l’art. 1, comma 4, della legge n. 210 del 1992 (richiamato dalla Corte d’Appello per giustificare la sua decisione) non supporta la tesi del danneggiato, bensì quella del Ministero della Salute. Tale articolo dispone infatti che “I benefici di cui alla presente legge spettano alle persone non vaccinate che abbiano riportato, a seguito ed in conseguenza di contatto con persona vaccinata, i danni di cui al comma 1“. Si tratta, quindi, di una disposizione applicabile esclusivamente qualora il non vaccinato sia stato contagiato da persona vaccinata, ancora contagiosa nonostante il trattamento sanitario ricevuto.
Peraltro, nel caso concreto, anche volendo equiparare la posizione del paziente a quella di un non vaccinato, manca la prova della provenienza del contagio da altra persona sottoposta alla vaccinazione c.d. trivalente. Inoltre, trattandosi di un’ipotesi di parotite, il rischio di diffusione del virus da parte di soggetti vaccinati non sussiste.
Pertanto, secondo la Cassazione, la richiesta di indennizzo non può che essere respinta, in applicazione del principio per cui
“ai fini dell’ottenimento dell’indennizzo previsto dalla I. n. 210 del 1992, grava sull’interessato l’onere di provare l’effettuazione della somministrazione vaccinale, il verificarsi del danno alla salute e il nesso causale tra la prima e il secondo, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica”
(Cass., Sez. 6-L, n. 24959 del 23 ottobre 2017).
Per concludere
Alla luce di quanto precede il ricorso è stato accolto e la sentenza impugnata cassata e, non essendo necessario procedere ad ulteriori accertamenti, la causa è stata decisa nel merito, col rigetto dell’originario ricorso e la compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.
Torniamo la prossima settimana su un nuovo interessante argomento!
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