Errore nella emotrasfusione e responsabilità dei sanitari per il decesso del paziente

In caso di condotte colpose indipendenti non può invocare il principio di affidamento il sanitario che non abbia osservato una regola precauzionale, su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause nella causazione dell’evento, e ciò salvo che quest’ultimo sia esclusivamente dovuto ad una causa sopravvenuta, eccezionale e imprevedibile

Oggi vi segnalo una recente sentenza della Cassazione Penale (n. 4323 dell’8 febbraio 2022) che evidenzia alcuni interessanti passaggi in tema di lavoro d’équipe e rispettive responsabilità dei sanitari coinvolti.

Il caso

Un paziente, ricoverato per grave insufficienza respiratoria presso il reparto di Rianimazione di un ospedale, viene sottoposto a trasfusione. Sennonché l’infermiera di turno trasfonde erroneamente sangue di tipo “A Rh positivo” anziché “0 Rh positivo”, provocando così un brusco peggioramento del quadro clinico per insufficienza multiorganica con compromissione cardiaca terminale che, a distanza di poche ore dalla errata trasfusione, conduce il paziente al decesso.

Sia l’infermiera sia il medico di turno vengono imputati di omicidio colposo per non aver osservato la procedura trasfusionale prevista dal protocollo ospedaliero.

Il Tribunale accerta la sussistenza del nesso causale tra le condotte colpose ascritte agli imputati e la morte del paziente ed afferma la responsabilità di entrambi per la violazione colposa del protocollo ospedaliero in tema di trasfusioni ematiche; la Corte d’Appello conferma tale giudizio. Entrambi i sanitari impugnano la sentenza d’appello avanti alla Corte di Cassazione: vediamo qual è l’esito dell’ultimo grado del giudizio.

Le procedure cautelative in tema di emotrasfusioni

Le istruzioni ministeriali in tema di emotrasfusioni (D.M. Salute 3/3/2005, ora sostituito dal D.M. Salute 02/11/2015) sono molto dettagliate e prevedono, tra l’altro:

  • la contemporanea presenza di un medico e di un infermiere per i controlli di identità del paziente – che devono essere effettuati al letto e, in quanto possibile, con la collaborazione del paziente, individualmente da due operatori sanitari, immediatamente prima dell’inizio della trasfusione – e di corrispondenza e compatibilità immunologica teorica
  • che il medico e l’infermiere debbano procedere ai controlli confrontando i dati presenti su ogni singola unità di emocomponenti con quelli della richiesta e della documentazione resa disponibile dal servizio trasfusionale, quali il referto di gruppo sanguigno e le attestazioni di compatibilità delle unità con il paziente. Tali controlli devono essere documentati
  • che la trasfusione debba in ogni caso essere eseguita sotto la responsabilità del medico, che deve essere tempestivamente disponibile in caso di reazioni avverse.

Sono numerose le cause associate agli errori trasfusionali: la maggior parte di questi dipendono dal fattore umano e dal fatto che il livello di attenzione degli operatori non è sempre costante.

Il protocollo operativo interno dell’ospedale prevedeva a sua volta:

  • un controllo affidato all’infermiera ed al medico circa la corrispondenza del nominativo della sacca con quello del paziente da sottoporre alla trasfusione e del gruppo sanguigno dello stesso, e
  • che anche le manovre tecniche della trasfusione, per quanto materialmente affidate all’infermiere, fossero sempre compiute sotto sorveglianza medica. La compartecipazione del medico alla fase di inizio della procedura era una precauzione prevista proprio per garantire un controllo esterno sulla individuazione della sacca del paziente e sulla compatibilità del gruppo sanguigno ed evitare errori nella esecuzione materiale dell’operazione.

Le procedure operative per l’esecuzione di pratiche sanitarie sono rivolte ad evitare errori non di tipo valutativo, ma appunto nella fase dell’esecuzione materiale.

Secondo la Cassazione,

“Il medico, che esegue una trasfusione, può delegare ad altri il compito di verificare la corrispondenza del gruppo del sangue da trasfondere con quello del paziente solo in presenza di esplicita normativa ospedaliera che in modo chiaro e motivatamente autorizzi tale delega.”

 

Cosa non ha funzionato nel caso concreto

Nel caso in commento è stato accertato che, una volta eseguita la procedura identificativa del paziente, il medico e l’infermiera di reparto hanno dovuto interrompere l’operazione prima dell’allacciamento della sacca all’ago cannula del paziente: tale situazione avrebbe dovuto comportare la necessità di ripetere la procedura di controllo, atteso che l’associazione della sacca al corretto paziente doveva essere eseguita proprio per evitare il rischio di scambio della sacca (che poi in concreto si è verificato).

Invece il medico ha lasciato alla sola infermiera la responsabilità del corretto avvio della procedura, allontanandosi per far fronte ad altre incombenze di reparto: per questo motivo è stata confermata la responsabilità colposa per l’accaduto di entrambi i sanitari, a fronte della non contestabile “efficienza causale, rispetto all’evento morte, che si deve attribuire all’errore nella trasfusione di sangue di gruppo incompatibile con quello del paziente assistito.”

Perché in questi casi non opera il principio di affidamento

La Cassazione ha ritenuto non operante, nel caso in commento, il cd. “principio di affidamento”, in base al quale risponde di un errore o di un’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile al suo specifico ambito di competenza (sul punto vedi il mio postLavoro in équipe e limiti della responsabilità medica per omesso controllo altrui”). Questo perché

“in caso di condotte colpose indipendenti non può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità.”

Per poter invocare il principio dell’affidamento è dunque necessario che il sanitario:

  • abbia rispettato i canoni di diligenza e prudenza connessi alle sue specifiche mansioni
  • abbia altresì considerato e valutato l’attività (precedente o contestuale) svolta dagli altri componenti dell’équipe e ne abbia controllato la correttezza, se del caso “ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio…”, nell’ottica del perseguimento congiunto del fine comune del miglior trattamento possibile per il paziente.

In tema vedi anche, da ultimo, il mio post “Il consulto all’interno della struttura ospedaliera: regole e responsabilità”.

 

Per concludere

Sulla base di quanto precede, i ricorsi presentati dai sanitari sono stati dichiarati inammissibili e gli stessi sono stati condannati al versamento della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione, in solido, delle spese legali sostenute dalla parte civile.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un altro interessante argomento!

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A presto!

LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 4323 dell’8 febbraio 2022