Costrizione all’esecuzione di un esame in regime intramoenia e delitto di concussione

Integra il delitto di concussione la condotta del medico ospedaliero che, abusando della funzione ricoperta, prospetti ai genitori di piccoli pazienti la necessità eseguire esami diagnostici in regime intramoenia con la minaccia che, qualora non accettino, lo stesso rifiuterà di eseguirli tout court, pur essendo l’unico operatore in grado di provvedervi nell’ospedale di riferimento.

Oggi vi segnalo una recente sentenza della Sesta Sezione della Cassazione Penale (la n. 27292 del 10 ottobre 2020) in materia di esecuzione di esami diagnostici in regime intramoenia e delitto di concussione.

Il caso

Un medico, operante in un ospedale pubblico, prospetta a varie coppie di genitori di neonati nati prematuri la necessità di eseguire un’ecografia dell’encefalo dei loro piccoli per valutare l’eventuale presenza di danni cerebrali.

Fin qui niente di anomalo, se non fosse che i genitori in questione vengono dal medico letteralmente costretti ad accettare di eseguire l’esame a pagamento, in regime intramoenia – nonostante il loro diritto all’esenzione – con la minaccia che, se non avessero accettato tale modalità di esecuzione dell’esame, il medico stesso si sarebbe rifiutato di eseguirlo (essendo l’unico nell’ospedale in grado di provvedervi).

Due coppie di genitori accettano la costrizione, altre due coppie rifiutano: il medico viene arrestato per concussione sia tentata, che consumata. Il Tribunale del Riesame conferma l’ordinanza di custodia cautelare che gli impone gli arresti domiciliari.

Vediamo qual è l’esito del ricorso avanti alla Corte di Cassazione.

In cosa consiste il delitto di concussione?

Sulla base dell’art. 317 del Codice Penale, commette il reato di concussione

il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità”.

La pena prevista è la reclusione da sei a dodici anni.

Gli elementi qualificanti di questo delitto, che sostanzia una forma di estorsione qualificata, sono:

  • la qualifica di pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio dell’agente
  • la commissione del delitto mediante l’abuso, da parte dell’agente, della propria qualità (facendo cioè valere la propria posizione) o dei propri poteri (ovverosia mediante utilizzo distorto dei poteri inerenti al proprio ufficio)
  • la condotta di costrizione, che si manifesta tipicamente mediante minaccia (più raramente mediante violenza) tale da coartare (cioè da limitare senza escludere totalmente) la volontà della vittima verso un dato comportamento.

La condotta di induzione, che originariamente era parte integrante del reato, è confluita a partire dal 2012 nella meno grave fattispecie penale dell’“induzione a dare o promettere utilità”, prevista dall’art. 319-quater c.p..

Un vero e proprio “sistema” a danno dei pazienti

Le indagini svolte nel caso in questione hanno evidenziato l’esistenza di un vero e proprio “sistema” uniformemente imposto dal sanitario ai genitori dei piccoli pazienti affinché questi ultimi, dopo la prima visita, si avvalessero del sistema intramoenia anziché di quello ambulatoriale, in regime di esenzione, per l’esecuzione degli esami diagnostici. Il ricorrente, infatti, dopo avere rappresentato ai genitori la necessità per la salute dei piccolissimi pazienti di eseguire l’esame ecografico, facendo leva ed approfittando della naturale e giustificata elevata apprensione degli stessi, li avvertiva che l’esame poteva essere eseguito solo a pagamento, minacciando diversamente il rifiuto di eseguire detto accertamento.

Essenziale al fine della ricostruzione dell’abuso di funzione è stata anche la valutazione del contenuto del Regolamento dell’ASL di riferimento, allo scopo di ricostruire il contenuto delle indicazioni che il sanitario della struttura può e deve fornire all’utenza, e delle dichiarazioni di un funzionario preposto al sistema di somministrazione degli esami. Al riguardo, è stato ritenuto corretto che il Regolamento – pur prevedendo che il sanitario prospettasse al paziente la possibilità di esecuzione degli esami e delle visite successive alla prima (prenotata attraverso il CUP) in regime intramoenia – fosse univoco nel prevedere che il sanitario non potesse imporre le modalità di relativa esecuzione, ponendo a suo carico un mero onere di informativo dei pazienti.

Ma quale comportamento può costituire “costrizione” ai danni del paziente in relazione alle modalità d’esecuzione di esami diagnostici?

Secondo la Cassazione, nel caso di specie,

“La costrizione è consistita nel comportamento del pubblico ufficiale che, abusando delle sue funzioni, ha agito con modalità e con forme di pressione tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione dei destinatari vistisi costretti ad accettare il più costoso regime di prestazione intramoenia per evitare che gli esami, loro prospettati come necessari, non venissero eseguiti dall’indagato che era l’unico, secondo la ricostruzione in fatto, ad eseguirli presso la struttura sanitaria.”

In tale ottica, nessun rilievo poteva avere la sottoscrizione del documento di adesione all’esecuzione dell’esame in regime intramoenia e il versamento dei relativi importi a favore della struttura sanitaria da parte dei genitori dei piccoli pazienti, posto che gli stessi non erano il frutto di una libera scelta, bensì il risultato della coartazione psicologica fatta valere dal medico ai loro danni.

Nel caso in commento, sono stati considerati particolarmente qualificanti della condotta illecita:

  • il fatto che il medico in questione fosse l’unico operatore in grado di eseguire gli accertamenti diagnostici in questione
  • la reiterazione del reato in spregio dei doveri istituzionali
  • l’abuso della funzione anche tramite altre condotte illecite (lo stesso medico aveva già riportato una condanna per violenza sessuale, commesso con abuso di autorità sulla madre di un suo paziente).

Per concludere

Alla luce di quanto precede, la Suprema Corte ha rigettato l’impugnazione e condannato il medico ricorrente al rimborso delle spese del processo.

Al di là del caso in commento, che ci si augura essere un episodio isolato, si evidenzia l’importanza di strutturare con particolare attenzione le procedure interne di operatività ed i regolamenti concernenti i rapporti con l’utenza, in modo da evitare sempre possibili spazi grigi ed ambiguità.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un altro, interessante argomento!

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A presto!

LEGGI I DOCUMENTI

Cassazione Penale, Sez. VI, n. 27292 del 10 ottobre 2020

Art. 319-quater c.p.