Il consulto all’interno della struttura ospedaliera: regole e responsabilità

Il medico che, all’interno di una struttura sanitaria ospedaliera, venga chiamato per un consulto specialistico, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso d’impossibilità di intervento, è tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico. Questo perché il consulente ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione

Oggi vi segnalo un’interessate sentenza della Cassazione Penale (n. 24895 del 30.6.2021) che torna ad occuparsi del tema della responsabilità medica in caso di cooperazione multidisciplinare e ribadisce le dinamiche e regole giuridiche della collaborazione e dei consulti tra colleghi di diverse specialità all’interno della stessa struttura ospedaliera.

Il caso

Una signora giunge in Pronto Soccorso con febbre alta da tre giorni, cefalea e stato confusionale e di forte agitazione; il medico di turno visita la paziente e fa eseguire una TAC, ipotizzando una diagnosi di meningite e, lasciando le consegne al collega del turno successivo, gli suggerisce un consulto con il neurologo.

Il medico del turno notturno chiama dunque a consulto il neurologo disponibile, il quale visita la paziente e, rilevando rigor nucale e decubito sul fianco, suggerisce di trasferire la paziente presso una struttura dotata di reparto per malati infettivi (non presente nell’ospedale) e prescrive antibiotico terapia, senza tuttavia fare alcuna diagnosi formale, senza controllare che i farmaci vengano effettivamente somministrati e senza prelevare del liquor per coltura.

Il medico del Pronto Soccorso si attiva immediatamente per ottenere il trasferimento della paziente in una struttura idonea, ma – nonostante le condizioni critiche in cui versa la paziente ed il protrarsi della ricerca – non effettua la rachicentesi, né somministra la terapia antibiotica generale disposta dal neurologo; dopo serrate ricerche sarà possibile trasferire la paziente, ma quest’ultima arriverà alla struttura di destinazione già in coma, riportando poi importanti danni permanenti, tra cui un grave deficit uditivo.

A fronte di tali fatti i medici vengono successivamente imputati in sede penale per il reato di lesioni colpose. Il Tribunale di Milano assolve il primo medico del Pronto Soccorso ed il neurologo dal reato di lesioni colpose, ma condannava il secondo medico del Pronto Soccorso alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 4 di reclusione con la non menzione, oltre al risarcimento del danno cagionato alla parte civile; la Corte d’Appello conferma detta responsabilità, ma afferma anche la responsabilità concorrente del neurologo nella causazione del danno alla paziente; entrambi propongono ricorso alla Suprema Corte contro la decisione.

Vediamo di seguito qual è l’esito della valutazione da parte della Corte di Cassazione.

La posizione del medico del Pronto Soccorso

Secondo la Corte, i motivi di ricorso proposti dai medici per contestare la sussistenza dei comportamenti colposi loro imputati sono infondati.

Quanto al medico del Pronto Soccorso perché, indipendentemente dal fatto che il collega neurologo gliel’avesse o meno consigliato o indicato, egli – da medico del Pronto Soccorso – avrebbe dovuto conoscere e seguire il protocollo appropriato e dunque, conformemente alle vigenti linee guida del Ministero della Sanità del 2014 ed al protocollo dell’Ospedale ove prestava servizio, in presenza di un sospetto di meningite, avrebbe dovuto iniziare la terapia antibiotica quanto prima.

Come riconosciuto anche dalla Corte d’Appello, il medico in questione si era adoperato immediatamente e con molto impegno prima nel consultare il collega neurologo e poi al fine di trasferire la paziente presso un idoneo reparto di malattie infettive; ciò nonostante, a fronte delle difficoltà nel reperire un altro ospedale disponibile e proprio perché l’attesa diventava sempre più lunga, avrebbe dovuto somministrare subito la terapia ed attuare quegli interventi previsti dal protocollo dell’Ospedale, anziché restare inerte sul piano terapeutico per quasi tre ore.

L’affidamento in ipotesi di cooperazione multidisciplinare

Con riferimento alla posizione dello specialista neurologo, due dei quesiti posti nella decisione sono i seguenti: doveva e poteva il medico neurologo controllare la condotta del collega di Pronto Soccorso al quale aveva dato il consulto? E quest’ultimo doveva comunque essere considerato responsabile per l’omessa somministrazione della terapia al paziente, nonostante l’intervento del neurologo? La risposta ad entrambi i quesiti, secondo la Corte, deve essere positiva.

Secondo giurisprudenza costante, “in tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario – compreso il personale paramedico – è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.

Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio…

Né vale ad esimere da responsabilità la circostanza che il collega sia più anziano, avendo questa Corte di legittimità in più occasioni escluso che possa invocare esonero da responsabilità il medico che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla”.

Sul tema, vedi anche il mio precedente postLavoro in équipe e limiti della responsabilità medica per omesso controllo altrui“.

I profili di responsabilità dello specialista neurologo

Secondo la Suprema Corte, la colpa della tardata somministrazione della terapia antibiotica alla paziente va dunque ascritta anche al neurologo. Compito di quest’ultimo “non era infatti solo quello di visitare la paziente e di formulare una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi della vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero”: tutti adempimenti omessi nel caso in commento.

Secondo la Cassazione, “il medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico e che accerti l’esistenza di una patologia ad elevato ed immediato rischio di aggravamento, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso d’impossibilità di intervento, è tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità e urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilità di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale…

Ciò in quanto il medico che all’interno di una struttura sanitaria ospedaliera, venga chiamato per un consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione… Va ricordato, peraltro, in linea generale che in tema di colpa professionale, una volta che un paziente si presenti presso una struttura medica chiedendo la erogazione di una prestazione professionale, il medico… assume una posizione di garanzia della tutela della sua salute ed anche se non può erogare la prestazione richiesta deve fare tutto ciò che è nelle sue capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente…”.

La conclusione nel caso concreto

Detto quanto precede sugli obblighi professionali e sulla posizione di garanzia dei medici coinvolti, la Cassazione ha in realtà giudicato ancora aperto il tema del nesso di causalità (ovverosia del rapporto causa-effetto) tra la condotta colposa contestata ai medici e l’ipoacusia manifestata dalla paziente.

In altri termini, la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente approfondito e valutato se il suddetto danno riportato dalla paziente sia stato una diretta conseguenza del ritardo terapeutico colposo nella somministrazione dell’antibiotico da parte dei due medici imputati, oppure un esito (inevitabile) della meningite pneumococcica sofferta dalla stessa.

La sentenza impugnata è stata dunque annullata e la decisione rinviata per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Penale, Sez. IV, n. 24895 del 30.6.2021