E-mail, sistemi di messaggistica et similia: come la tecnologia cambia il rapporto medico-paziente

Negli ultimi mesi, la posta elettronica, i sistemi di messaggistica istantanea e la tecnologia in generale hanno aiutato medici e pazienti ad affrontare il distacco imposto dal Coronavirus ed a rendere i contatti professionali più fluidi e diretti. Passata la fase calda dell’emergenza, le soluzioni digitali potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel supportare la transizione verso nuovi modelli di cura.

Ma le nuove tecnologie informatiche pongono numerose problematiche: quali i pro e quali i contro da considerare?

Trovate qui di seguito il mio ultimo articolo per la sezione “Aspetti Legali in Dermatologia” del sito Internet dell’ISPLAD – International-Italian Society of Plastic – Regenerative and Oncologic Dermatology, di interesse generale per professionisti sanitari.

Buona lettura!

E-mail, sistemi di messaggistica et similia: come la tecnologia cambia il rapporto medico-paziente

Come la tecnologia cambia il rapporto medico-paziente

La tecnologia, si sa, ha un impatto non indifferente sul rapporto medico-paziente, e costituisce sia una risorsa sia un potenziale elemento di disturbo nella vita del professionista.

C’è chi mette in evidenza come l’uso di messaggi e WhatsApp faccia risparmiare tempo, incoraggi un rapporto più confidenziale e migliori la relazione e la comunicazione tra medico e paziente, rendendo i rapporti più fluidi e diretti. L’uso della tecnologia risulta particolarmente efficace ed utile per il supporto di soggetti con patologie croniche o nell’immediatezza delle dimissioni, o per il controllo dei pazienti che non accedono alle visite ambulatoriali e per scambiare in tempo reale referti clinici, ricette ed esiti di esami diagnostici.

C’è chi, invece, contesta che la tecnologia, mezzo “freddo” per eccellenza, uccide l’umanità del rapporto e la “relazione di cura” tra professionista ed assistito e rischia di diluire le regole, anche deontologiche, di svolgimento della professione.

D’altra parte, l’(ab)uso della tecnologia implica una reperibilità h24 e rischia di diventare un carico assistenziale non previsto e non retribuito per il medico; un accesso al medico facile e continuativo può comportare richieste di pareri clinici e indicazioni terapeutiche in assenza di motivi validi di urgenza, in quanto erroneamente percepite dal paziente come “poco impegnative” per il professionista.

Non da sottovalutare, infine, la possibilità di “controllo” delle abitudini ed azioni dell’interlocutore tramite le App che, come WhatsApp, consentono di verificare l’ora dell’ultimo accesso dell’utente, se e quando un dato messaggio è stato visualizzato e letto e così via.

Occorre quindi particolare attenzione a mantenere il proprio ruolo in caso d’impiego di tecnologie che forniscono occasioni per ridurre le usuali distanze professionali.

L’uso degli strumenti tecnologici non cambia le regole di condotta professionale

La possibilità di ricevere comunicazioni da parte dei pazienti durante l’orario di lavoro può comportare un approccio “multitasking” alla professione, con potenziale disturbo delle attività di routine e maggior margine di errore nelle decisioni cliniche, magari prese in un ritaglio di tempo tra una visita e l’altra, senza avere a disposizione la cartella clinica del paziente interessato.

Il rischio di errore può essere insito anche nelle caratteristiche stesse della trasmissione online e dell’affidabilità dei documenti così trasmessi: si pensi ad una lastra RX o ad una immagine ecografica, che potrebbero apparire alterati rispetto agli originali, posto che alcuni software comprimono le immagini per alleggerirne il peso di trasmissione.

Ma attenzione: l’uso di strumenti informatici nel rapporto con i pazienti non muta il contenuto della prestazione professionale, né le regole deontologiche applicabili e le responsabilità del professionista a fronte di eventuali violazioni.

Le implicazioni di data privacy impongono prudenza

Una delle preoccupazioni maggiori relative all’uso della tecnologia nel rapporto tra medico e paziente riguarda la riservatezza ed affidabilità dei dati (personali e sensibili) trasmessi.

I potenziali problemi sono numerosi, per esempio:

  • alcuni sistemi di messaggistica consentono di cancellare il messaggio dall’altrui dispositivo, circostanza che non permette di avere il completo controllo delle informazioni scambiate e della relativa archiviazione
  • gli strumenti di chat e messaggistica non danno alcuna garanzia legale sull’identità del mittente o di chi potrà consultare i dati del paziente, posto che molti sistemi consentono l’accesso al software tramite il semplice accesso al dispositivo, senza specifiche modalità di limitazione dell’accesso a determinati dati.

È noto, inoltre, che i dati trasmessi tramite vari sistemi di messaggistica istantanea vengono memorizzati in server dislocati al di fuori dell’Unione Europea, con potenziali problemi di accessibilità di terzi, come ci ricordano scandali recenti.

Sembra significativo che il nostro Garante della Privacy, anche in tempi di Coronavirus, non abbia incluso espressamente i sistemi di messaggistica istantanea (ma solo il telefono, la posta elettronica e gli SMS) tra i mezzi utilizzabili dal medico per inviare all’assistito la ricetta contenente le prescrizioni dei farmaci ed evitare che l’interessato debba ritirala in studio (vedi il mio precedente post sulle FAQ del Garante su Emergenza Coronavirus e trattamento dei dati nel contesto sanitario).

Non si tratta di preoccupazioni virtuali e meramente teoriche: l’adozione di un atteggiamento di cautela e di sistemi che offrano garanzie di sicurezza è d’obbligo, specie considerato che la sanità è uno dei settori più bersagliati dagli attacchi informatici in Rete.

A quanta libertà siamo disposti a rinunciare per sfruttare i benefici delle nuove tecnologie?

In una sua intervista di qualche anno fa, il Garante della Privacy Antonello Soro (medico e primario ospedaliero), ha chiarito molti pro e contro della questione. Vale la pena riportare integralmente un passaggio dell’intervista:

“Lo sfruttamento delle potenzialità dei Big Data in campo sanitario offre indiscutibili vantaggi ma deve svolgersi in un quadro di assolute garanzie, anche e soprattutto in termini di sicurezza dei sistemi destinati a trattarli.

Ed invero, le informazioni che utilizzeranno sono quanto di più delicato appartenga ad una persona: i suoi dati sensibili, se non addirittura quelli genetici, cui sia il nostro Codice che il nuovo regolamento europeo accordano particolari cautele in ragione della loro idoneità ad incidere su diritti e libertà fondamentali dell’interessato. Tutti possiamo comprendere cosa significhi detenere queste informazioni da parte di soggetti quali, ad esempio, compagnie assicurative che potrebbero usare quei dati per negare la copertura o aumentare il premio assicurativo in caso di prevedibili malattie, ovvero datori di lavoro interessati ad assunzioni, o case farmaceutiche desiderose di testare specifici farmaci. Nell’ottica di una sempre più massiccia digitalizzazione dei dati sanitari, occorre inoltre riflettere seriamente sui rischi connessi alla commercializzazione della medicina personalizzata, sempre più di frequente offerta da soggetti privati”.

È il caso, ad esempio, della elaborazione ed implementazione di specifiche applicazioni sanitarie mobili per smartphone che consentono di monitorare il proprio stato di salute. Se oggi ci interroghiamo sui problemi legati ad una massiccia concentrazione di dati di navigazione in mano a soggetti privati, si pensi alla enorme vulnerabilità sociale cui potremmo essere esposti nel caso in cui tali rischi dovessero riguardare informazioni riferite alla nostra salute. Si tratta di tematiche delicate che investono la protezione dei dati ed i fondamentali principi di proprietà e portabilità degli stessi, le condizioni ed i limiti per un utilizzo dei dati sanitari per scopi di ricerca o per eventuali ulteriori finalità”.

Cosa fare per non incorrere in problemi?

Più recentemente, sempre il Garante della Privacy ha chiarito (vedi il mio precedente post GDPR e trattamento dati in ambito sanitario: i chiarimenti del Garante) che i medici possono trattare i dati dei pazienti, per finalità di cura, senza necessità di dover raccogliere il loro consenso, ma a condizione di fornire loro informazioni complete e trasparenti sul trattamento dei dati: condizione che concerne anche le modalità e caratteristiche di trattamento tramite le nuove tecnologie, che dunque bisognerà ben conoscere prima di utilizzare, per non esporsi al rischio di irrogazione di pesanti multe.

Il medico dovrà tuttavia raccogliere il consenso del paziente al trattamento dei dati se, per esempio, utilizza “App” mediche diverse dalla telemedicina, o se utilizza i dati dei pazienti per fidelizzazione dei clienti o per fini promozionali o anche informativi (per esempio per l’invio della newsletter), così come per il trattamento dei dati relativo al fascicolo sanitario elettronico o per la consultazione dei referti online.

Per evitare future ed eventuali contestazioni, è opportuno che il consenso – se richiesto – venga raccolto in forma scritta, con la sottoscrizione di un apposito modulo. Se il medico intenda utilizzare i dati per finalità diverse e ulteriori (ad esempio: per sperimentazione scientifica, oppure per pubblicare i dati del paziente su riviste medico-scientifiche o presentazioni a congressi) sono necessari ulteriori e differenziati consensi.

Un suggerimento cautelativo per usufruire dei benefici della tecnologia, limitandone i rischi, può essere quello di utilizzare, nel rapporto con i pazienti, servizi di messaggistica professionali dedicati, oppure sistemi di file sharing ad accesso limitato e controllato, oppure ancora sistemi di criptazione di dati protetti con password.

L’ultimo e più importante suggerimento resta poi sempre quello di servirsi dei mezzi virtuali per sostenere le interazioni reali, e non per sostituirle.

Ci aggiorniamo la prossima settimana con un altro, interessante argomento!

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