Prestazioni medico-estetiche ed esenzione IVA

È onere dell’Ufficio dimostrare la natura meramente cosmetica della prestazione

Le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona.

Vi è dunque un’evidente inversione dell’onere della prova a carico dell’Ufficio, il quale dovrà dimostrare – al fine del diniego dell’esenzione dell’IVA sulle ricevute delle prestazioni chirurgiche – che i trattamenti non abbiano carattere “sanitario”, bensì puramente “estetico” o “cosmetico”.

Trovate qui di seguito il mio nuovo articolo scritto per la sezione “Aspetti Legali in Dermatologia” del sito Internet dell’ISPLAD – International-Italian Society of Plastic – Regenerative and Oncologic Dermatology, di interesse generale per professionisti sanitari che si occupano di prestazioni mediche aventi anche finalità estetiche.

Buona lettura!

Prestazioni medico-estetiche ed esenzione IVA

Oggi vi segnalo una sentenza della Commissione Tributaria della Regione Umbria che torna sul tema dell’esenzione IVA per prestazioni medico-estetiche e pone alcune precisazioni, che possono essere d’interesse anche per il dermatologo, sul tema dell’assoggettabilità o meno ad IVA delle prestazioni mediche aventi finalità estetica.

Il caso

A seguito di un’indagine della Guardia di Finanza, ad un medico – specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva – vengono notificati degli avvisi di accertamento. Uno di questi concerne le ricevute fiscali emesse dal medico in esenzione da IVA con la dicitura “interventi chirurgici” che, a giudizio dell’Ufficio, riguardavano prestazioni con mere finalità estetiche, che dunque avrebbero dovuto essere assoggettate ad IVA ai sensi del D.P.R. 633 del 1972.

Seguiva l’instaurazione di contenzioso, poiché:

  • secondo l’Agenzia delle Entrate, la dizione generica “interventi chirurgici” riportata dal medico nelle ricevute non consentiva di individuare il tipo di intervento cui le prestazioni effettivamente si riferivano, ed era onere del contribuente provare che si trattava di “cure mediche” o di “prestazioni mediche” – pur con finalità estetiche – per poter usufruire dell’esenzione IVA;
  • secondo il medico, la qualificazione del tipo di intervento – come curativo o meramente cosmetico – andava rimessa esclusivamente al medico, non all’Ufficio; dall’altro lato, al fine di distinguere le prestazioni esenti da quelle non esenti IVA, andava valutato anche l’impatto psicologico della prestazione sul paziente.

I giudici della Commissione Tributaria Provinciale accoglievano il ricorso del contribuente ritenendo, in sintesi, che da parte dell’Ufficio non fosse stato provato che gli interventi oggetto di accertamento erano di natura puramente estetica e quindi da assoggettarsi ad IVA.

Vediamo qual è l’esito dell’appello da parte dell’Ufficio avanti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria.

Quali prestazioni sono esenti da IVA?

Secondo la Commissione Tributaria Regionale, per poter stabilire quali prestazioni possano andare esenti da IVA occorre preliminarmente distinguere la natura delle prestazioni, tenendo presente:

  • sia l’art. 13 parte A, n. 1, lett. c), della sesta Direttiva Europea, secondo la quale “Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano (…) le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati”;
  • sia la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale l’esenzione IVA va riconosciuta esclusivamente a quelle prestazioni mediche che sono dirette alla diagnosi, alla cura e, nella misura possibile, alla guarigione di malattie e di problemi di salute.

Al fine di delimitare l’ambito di applicazione dell’esenzione occorre altresì individuare il contesto in cui le prestazioni sanitarie sono rese per stabilire quale sia il loro scopo principale.

Uno dei problemi nasce dall’interpretazione del concetto di “salute”, posto che la legislazione italiana non contempla una sua definizione normativa e si riporta alla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale per salute si deve intendere uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o di infermità”. Rientrano dunque nel concetto di prestazioni e cure mediche tutte le attività dirette ad ottenere l’assenza di malattia ed il miglioramento dello stato di benessere fisico, mentale e sociale dell’individuo, basate sul rapporto terapeutico medico-paziente.

Anche l’estetica è una componente fondamentale del concetto di salute

Secondo la Commissione Regionale,

Il concetto di “salute”, come quello, di “malattia”, quindi non va limitato al mero fatto “fisico”, accertabile mediante strumenti diagnostici. Anche “l’estetica” di una persona, nell’accezione in cui la intende l’Agenzia delle Entrate appellante, nella società attuale è una componente non di poco conto dello stato di benessere fisico sociale e mentale che integra il concetto di salute”.

La presenza di un difetto evidente del volto o del corpo comporta infatti molto spesso un senso di “vergogna”, diminuzione di autostima, problemi relazionali e talvolta anche comportamentali in capo al paziente, e tutto ciò comporta uno stato di malessere psicologico e sociale. In tali casi,

Quasi sempre la rimozione con un intervento chirurgico del problema fisico estetico, se ben riuscita, comporta di per sé un effetto benefico sul problema psicologico, contribuendo al benessere e quindi alla tutela della salute”.

Ma in quali casi l’intervento a fini estetici è considerato utile per la tutela della salute del paziente?

Il riferimento è innanzitutto agli interventi chirurgici necessari per eliminare tutti quegli inestetismi sia di natura congenita, sia dovuti ad eventi di vario genere – per esempio incidenti stradali, ustioni o tumori – suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone.

Secondo la Commissione, però, il confine tra l’intervento di tipo medico prettamente sanitario per tutelare la salute e l’intervento estetico da ritenersi finalizzato a migliorare solo l’aspetto del paziente per le più varie ragioni, è sottile:

Basti pensare per esempio a taluni interventi che potrebbero sembrare solamente di natura estetica ma che invece assicurano una soluzione a molte questioni di salute oltre che a migliorare un equilibrio psichico e sociale”.

Vengono fatti vari esempi emblematici:

  • gli interventi di rinoplastica, che rimodellano il naso del paziente a fini estetici, ma che spesso implicano anche la correzione di una imperfezione respiratoria;
  • gli interventi di blefaroplastica, che consentono di rimuove il grasso in eccesso dalle palpebre superiori ed inferiori di una persona e che hanno un effetto estetico importante, ma frequentemente eliminano anche un problema visivo di non poco conto, la “blefarocalasi con riduzione del campo visivo”;
  • la mastoplastica riduttiva, indubbiamente spesso fatta per migliorare l’aspetto estetico della paziente ma che – escludendo i casi di rimozione di carcinoma al seno – spesso si abbina alla correzione della postura, riducendo l’aggravio di carico della colonna vertebrale ed evitando la deformazione della stessa.

Viene però meno l’esenzione per i trattamenti di natura puramente estetica”, dove viene meno la giustificazione dell’esenzione IVA della prestazione, secondo gli insegnamenti della Corte di Giustizia (si veda la sentenza del 21 marzo 2013 in causa C-91/12) e della Corte di Cassazione (si veda la sentenza n. 21272 del 2005, in materia di esenzione IVA dei trattamenti dermatologici di dermocoagulazione).

Il confine tra un trattamento medico-estetico, avente finalità di tutela della salute, e un trattamento di natura puramente estetica si presta, per la natura stessa della finalità della prestazione medica, ad essere labile e va esclusivamente rimesso all’interpretazione di professionisti medici. Ciò posto,

La cosa si presenta alquanto problematica se tali classificazioni debbano scaturire dallo stesso medico-chirurgo accertato, dove l’interesse di parte potrebbe far venir meno la causa oggettiva o le concause stesse dell’intervento” .

Va quindi prestata particolare attenzione e prudenza quando si procede alla classificazione delle prestazioni onde evitare contestazioni da parte dell’Erario.

L’onere della prova sulle prestazioni non esenti da IVA è invertito

Sul punto dell’onere della prova dei presupposti per l’applicazione delle esenzioni, che secondo l’Agenzia delle Entrate grava sul contribuente accertato, la Commissione Tributaria Regionale ritiene che

la stessa circolare n.4/2015 dell’Agenzia delle Entrate -Direzione Generale Contenzioso, art. 8) – Prestazioni di chirurgia estetica – recita: «Le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve fa prestazione e quindi alla tutela della salute della persona».

Trattasi quindi di una evidente «inversione dell’onere della prova» spettante all’Ufficio, per dimostrare la prova contraria per il diniego dell’esenzione dell’IVA sulle ricevute delle prestazioni chirurgiche, prova che il Collegio ritiene non avvenuta da parte dell’Ufficio o per lo meno non in modo convincente, essendo stato affermato semplicemente che a parere dell’Ufficio i suddetti trattamenti, “per la grande maggioranza dei casi, non paiono avere carattere ‘sanitario’, ma ‘estetico’.

Nel caso in commento, il medico specialista – a fronte della richiesta della Guardia di Finanza – si era premurato di inviare una tabella riepilogativa di tutti gli interventi chirurgici effettuati ed altresì di specificare, per ogni singolo intervento chirurgico in contestazione, il tipo di trattamento cui erano stati sottoposti i pazienti ed i dettagli di ciascun intervento, oltre che di inviare l’elenco completo con i dati identificativi dei pazienti alla Direzione dell’Agenzia delle Entrate competente.

La Commissione Tributaria riteneva dunque, da un lato, che non potesse essere negata la collaboratività del professionista sottoposto ad accertamento (contestata dall’Ufficio) e, dall’altro lato, che l’Ufficio fiscale aveva ben avuto la possibilità di indagare e di chiedere informazioni sulla natura degli interventi chirurgici anche interpellando i clienti-pazienti e chiedendo una consulenza medica, al fine di provare che gli interventi in parola avevano natura meramente cosmetica, onere che l’Ufficio non aveva dunque assolto.

Il ricorso dell’Ufficio è stato dunque rigettato.

Scarica le sentenze

Cassazione Civile, n. 21272 del 29 novembre 2005

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Avv. Elena Bassan – in collaborazione con il  Dottor Giorgio Bassan, dottore commercialista e revisore contabile (www.studiobassan.net)