Infezione da epatite C derivata da emotrasfusione e morte del paziente: non risponde il chirurgo, solo l’ematologo

In una struttura sanitaria organizzata, ove esista un reparto di ematologia con servizio trasfusionale ed un relativo responsabile, non spetta al primario di chirurgia, né al chirurgo operatore effettuare direttamente il controllo delle sacche di sangue, né la regolare tenuta dei registri o la verifica della preventiva sottoposizione delle sacche di sangue trasfuse a tutti i test sierologici richiesti dalla legge

Oggi vi segnalo una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 25764 del 4 ottobre 2019) che concerne la delimitazione del perimetro delle responsabilità dei diversi professionisti medici – chirurgo operatore, primario di reparto e responsabile del reparto di immunoematologia e servizio trasfusionale – in un caso di decesso del paziente causato da infezione da epatite C contratta a seguito di emotrasfusione.

 

Il caso

Nel 1993 una signora in stato di gravidanza viene sottoposta a parto cesareo, al quale segue un’isterectomia d’urgenza; per reintegrare il sangue perduto a causa del parto, la paziente viene sottoposta a due trasfusioni di sangue con sacche provenienti dal Centro Trasfusionale interno all’ospedale, a seguito delle quali la paziente contrae l’epatite C e, dopo ripetuti ricoveri, decede a causa di cirrosi epatica derivante dall’infezione.

A seguito del decesso gli eredi instaurano una causa contro i presunti responsabili – il primario del reparto di ginecologia ed ostetricia nonché chirurgo operatore dell’intervento chirurgico, il primario del reparto di immunoematologia e servizio trasfusionale, la gestione liquidatoria della soppressa USL di riferimento, la Regione Campania ed il Ministero della Salute – per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni per il decesso della paziente. Viene dedotto, in particolare, che nella cartella clinica erano stati annotati, in relazione alle trasfusioni, solo il gruppo sanguigno ed il numero di sacche, senza indicazione dei test immunologici effettuati e del relativo esito; la struttura ospedaliera era dunque incorsa in una serie di carenze delle procedure di controllo del donatore e del plasma e non era stata in grado di evadere la richiesta di consegna dei registri relativi alla provenienza delle sacche ematiche trasfuse.

Il Tribunale accoglie la richiesta di condanna – fatta eccezione solo per la soppressa USL – al risarcimento dei danni, ritenendo sussistente il nesso di causalità tra le trasfusioni e l’insorgere della cirrosi da HCV: non era stata infatti offerta in giudizio alcuna prova della sussistenza di altri fattori, anteriori o concomitanti alle trasfusioni, potenzialmente idonei a provocare la malattia, i medici convenuti erano stati in grado di fornire la prova che fossero state rispettate le procedure previste per l’identificabilità del donatore e per la sicurezza del sangue trasfuso.

La Corte d’Appello conferma la decisione di primo grado. Con riferimento, in particolare, alla posizione del chirurgo primario del reparto di ginecologia, la Corte afferma che lo stesso non avrebbe dovuto consentire di utilizzare il sangue in presenza di un’etichettatura incompleta, posto che sulle sacche risultava indicato solo il gruppo sanguigno ed il numero di provetta, al quale si aggiungeva – in uno dei due casi – l’indicazione del centro trasfusionale.

Vediamo dunque qual è l’esito del ricorso in Cassazione.

La posizione del chirurgo, primario del reparto di ginecologia

Nel caso in commento, il chirurgo operatore è stato ritenuto responsabile – sia dal tribunale che dalla Corte d’Appello – non per il cattivo esito dell’intervento eseguito, in sé perfettamente riuscito, bensì per il danno da emotrasfusioni riportato dalla paziente, e ciò sia nella sua qualità di chirurgo operatore dell’intervento, sia per la violazione dei suoi obblighi di vigilanza in quanto primario del reparto di ginecologia.

Il chirurgo si è tuttavia difeso contestando che la normativa di settore non impone al chirurgo – che faccia richiesta di sangue al reparto di medicina trasfusionale – alcun obbligo di effettuare controlli sul plasma da somministrare: il medico deve infatti poter fare affidamento sul preventivo controllo eseguito dalla struttura di riferimento e sul fatto che il sangue risultato eventualmente infetto ai controlli venga immediatamente eliminato.

La Cassazione conferma questa impostazione:

“nessuna responsabilità può esser(e) ascritta (al chirurgo, N.d.R.), avendo egli acquisito le sacche di sangue attraverso la procedura in uso in quell’ospedale, che disponeva di un centro trasfusionale interno e avendo riportato sulla cartella clinica le indicazioni minime indispensabili a consentire la tracciabilità del sangue.”

Quali sono i compiti del chirurgo operatore quando deve disporre un’emotrasfusione…

Secondo la Corte, quando la struttura ospedaliera sia organizzata in una pluralità di reparti, esista un responsabile del reparto di ematologia e del servizio trasfusionale e si profili la necessità di procedere ad un’emotrasfusione, i compiti del chirurgo operatore (sul quale il primario del reparto ha obbligo di vigilanza) si limitano ai seguenti:

  • acquisire preventivamente la disponibilità del sangue che può essere necessario per una operazione seguendo i protocolli in uso all’interno della struttura in cui opera
  • indicare sulla cartella clinica gli elementi indispensabili per individuare se c’è stata trasfusione
  • al di fuori dei casi di urgenza, acquisire ed indicare che è stato prestato il consenso del paziente
  • in caso affermativo, verificare ed indicare in cartella che il gruppo sanguigno del paziente è compatibile con il gruppo sanguigno del donatore – verifica obbligatoria prima di somministrare il sangue – e riportare sulla cartella gli elementi identificativi della singola sacca di sangue somministrata (nel caso di specie, il numero della provetta e la provenienza dal centro trasfusionale).

“Non spetta al primario di chirurgia, né al chirurgo operatore effettuare direttamente il controllo sul sangue, né la regolare tenuta dei registri o la verifica della preventiva sottoposizione a tutti i test sierologici richiesti dalla legge delle sacche di sangue trasfuse”.

Si tratta infatti di controlli di competenza del centro trasfusionale, che trasmette al reparto richiedente le sacche di sangue e plasma regolarmente etichettate, il che presuppone la tracciabilità del donatore come risultante dai registri alla cui tenuta è obbligato il centro trasfusionale, ed il superamento dei test obbligatori.

… e quali quelli del centro trasfusionale

Occorre tenere distinte, quindi le annotazioni che devono comparire sulla cartella clinica, di competenza dell’equipe chirurgica, e le annotazioni che devono comparire sulle sacche di sangue, di competenza del servizio ematologico dell’ospedale.

La mancata annotazione sulla cartella del superamento degli esami sierologici non può essere elemento idoneo a ritenere il chirurgo somministrante responsabile per il contagio, in quanto questo controllo ricade sul centro trasfusionale interno – che con la trasmissione stessa della sacca (che avrebbe dovuto essere corredata delle prescritte annotazioni) in chirurgia attesta che la sacca di sangue ha superato i controlli – e sul primario di ematologia, comunque responsabile delle modalità di acquisizione del sangue.

Solo il responsabile delle modalità di acquisizione del sangue – il primario di ematologia, responsabile del centro trasfusionale – può essere responsabile della non completa compilazione della scheda di ciascuna sacca di sangue o della mancata esecuzione da parte del centro da lui diretto, dei controlli previsti dalla legge o della mancata annotazione sulla sacca delle indicazioni previste dalla legge”.

Per concludere

Sulla base di quanto precede, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del chirurgo e ha rigettato la domanda di condanna nei suoi confronti, con condanna delle altre parti al rimborso a suo favore delle spese legali dei tre gradi di giudizio.

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LEGGI LA SENTENZA

Cassazione Civile, Sez. III, n. 25764 del 4 ottobre 2019