L’acquisizione del consenso informato del paziente da parte del sanitario costituisce prestazione diversa, ma accessoria e strumentale rispetto a quella principale avente ad oggetto l’intervento terapeutico, sicché anche per essa opera il principio secondo cui la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente – per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ. – ove tali danni siano dipesi dalla colpa dei sanitari operanti nella struttura stessa, anche qualora gli stessi non siano suoi dipendenti.
Oggi vi segnalo un’interessante sentenza della Corte di Cassazione Civile concernente l’individuazione del soggetto tenuto a risarcire il paziente in caso di danni derivanti dall’omissione di un’adeguata informazione allo stesso.
Il caso
Un paziente si sottopone ad un intervento di rimozione di calcificazioni articolari del cotile ad opera dello specialista di fiducia, che l’aveva già sottoposto a svariati interventi di artoprotesi alle anche, tutti eseguiti presso la stessa Casa di Cura.
All’esito di tale intervento – eseguito apparentemente senza previa acquisizione di un valido consenso informato – il paziente accusa un’accentuata anemia, difficoltà di deambulazione, acuti dolori, nonché l’impossibilità per il piede sinistro di procedere in modo naturale. Rivoltosi, dunque, ad una diversa struttura sanitaria, egli apprende di aver riportato, nel corso dell’ultimo intervento, la rottura del trocantere, poi ingabbiata con presidio metallico, senza che di ciò fosse stato informato, né prima né dopo l’operazione.
Il paziente agisce dunque in giudizio contro la struttura ospedaliera per ottenere il risarcimento del danno derivante tanto per la allegata non corretta esecuzione dell’intervento chirurgico, quanto per l’assenza di adeguato consenso informato alla relativa esecuzione.
Sia i giudici di primo grado che quelli di secondo grado rigettano le domande del paziente. La Corte d’Appello, pur ritenendo “paradossalmente fondata” la domanda di risarcimento per mancanza di acquisizione del previo consenso informato all’operazione, ritiene che tale domanda avrebbe potuto farsi valere esclusivamente a carico del medico, ma non pure della Casa di Cura, non potendo esserle addossato tale “deficit informativo”, e ciò per non essere il suddetto sanitario un suo dipendente ed essendo stato il paziente a scegliere liberamente il professionista dal quale farsi operare.
Vediamo oggi qual è stato l’esito dell’impugnazione in Cassazione relativa a questo specifico punto.
Danni da omesso consenso: chi paga?
Secondo la Corte di Cassazione, l’impostazione data alla questione dalla Corte d’Appello è radicalmente errata. Infatti, i Giudici muovono dalla constatazione che costituisce ormai principio consolidato, con specifico riguardo all’attività chirurgica, quello per cui il consenso informato del paziente si pone come “condizione essenziale per la liceità dell’atto operatorio” e che l’informazione esatta sulle condizioni e sui rischi prevedibili di un intervento chirurgico o su un trattamento sanitario per accertamenti in prevenzione o in preparazione, costituisce, di per sè, “un obbligo o dovere che attiene alla buona fede nella formazione del contratto ed un elemento indispensabile per la validità del consenso”.
Sulla base di tali premesse la Corte giunge alla conclusione che
“sebbene l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, essa si pone, comunque, come accessoria rispetto alla prima (o meglio, strumentale ad essa), sicchè anche per essa opera il principio secondo cui la struttura sanitaria “risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale” e ciò “anche quando l’operatore non sia un suo dipendente”.
Un principio ormai consolidato
Quello espresso dalla Cassazione rappresenta un principio consolidato in giurisprudenza. In un caso deciso dal Tribunale di Milano, in cui
- il medico era stato scelto direttamente dal paziente
- la struttura sanitaria era stata successivamente individuata su indicazione data dal chirurgo al paziente stesso
- il paziente aveva eseguito il pagamento diretto a favore della struttura delle sole prestazioni – quali la messa a disposizione della sala operatoria – direttamente imputabili alla stessa;
- non esisteva alcun rapporto diretto di dipendenza o di collaborazione professionale apparente tra medico e struttura sanitaria,
è stato ritenuto che
“proprio … la comprovata accettazione della attrice presso la casa di cura per lo svolgimento di prestazioni di medicina … ivi svolte da personale medico in essa comunque operante consente di affermare che alla struttura si applichino gli ordinari criteri di collegamento ai fini della individuazione della responsabilità solidale… la sua accettazione presso la struttura (dove l’attrice è rimasta degente seppure per pochi giorni) e la messa a disposizione della sala operatoria con le attrezzature ed il personale sanitario ed infermieristico di assistenza con piena presa in carico della paziente … (consentono di) evincere la responsabilità solidale della struttura con il medico convenuto ex art. 1218 c.c. rispetto al danno cagionato all’attrice”.
Ferma poi, nei rapporti interni tra medico e struttura, la possibilità di eventuale regresso per quanto pagato dalla struttura al paziente, sulla base delle norme ordinarie.
È l’accettazione del paziente che conta
È dunque l’accettazione del paziente nella struttura, sia essa casa di cura privata o ospedale pubblico, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, a comportare l’insorgere della responsabilità dell’ente ospedaliero verso il paziente per eventuali danni derivati non solo dalla violazione di obblighi per così dire “accessori”, che gravano sull’ente stesso – quali il mettere a disposizione del paziente personale medico ausiliario, paramedico, medicinali, attrezzature nonché adeguato vitto e alloggio – ma anche per la violazione di obblighi primari di carattere medico-chirurgico, ovverosia per l’attività diagnostica e/o curativa riferibile ai singoli operatori, ivi inclusi gli obblighi informativi, per i quali
“è necessario e sufficiente che il medico operi all’interno della struttura, a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato… Il tutto… indipendentemente dal rapporto, fiduciario o no, esistente tra il paziente e il medico che concretamente abbia posto in essere l’attività diagnostico-terapeutica”
(Corte d’Appello di Bologna, n. 49 dell’11.1.2017).
Posto che, nel caso di ricovero in struttura sanitaria privata, il “contratto” intercorre spesso direttamente tra il paziente ed il singolo professionista, l’accettazione presso la struttura ospitante varrà a produrre la concorrente (ancorché autonoma) responsabilità di quest’ultima per gli eventuali errori od omissioni del sanitario, anche in caso di mera occasionalità della collaborazione del medico di fiducia scelto dal paziente con la struttura stessa.
Per un’opinione dissonante, si veda tuttavia la sentenza del Tribunale di Verona del 22.6.2017, commentata nel mio precedente post “Danni da chirurgia plastica? Risponde il chirurgo scelto dal paziente, non la clinica”.
Anche la Legge Gelli ha confermato l’impostazione
Il principio sopra visto è stato da ultimo confermato anche dall’art. 7, co. 1 della L. 24/2017 (cd. Legge Gelli), che ha previsto la responsabilità della “struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa”, per le condotte dolose o colpose degli stessi.
Per concludere
Nel caso in commento, la Cassazione ha dunque cassato la sentenza impugnata e rinviato ad altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà procedere ad una nuova decisione sul caso in applicazione dei principi sopra visti, oltre che stabilire se ed in quali termini fosse stata tempestivamente proposta dal paziente una domanda risarcitoria per lesione del diritto ad un’adeguata informazione.
Alla luce di quanto precede, risulta altresì evidente la necessità che la struttura sanitaria si assicuri che tutti gli operatori sanitari comunque operanti nei suoi locali – siano essi dipendenti o meno – siano adeguatamente formati in materia ed applichino moduli e procedure che diano una garanzia di omogeneità comportamentale e di adeguata tutela dei diritti del paziente, anche in relazione agli aspetti informativi dello stesso.
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